Oscar Martini
“Ho sempre pensato che la vita dell’emigrante sia come quella della rondine. Con la differenza che quest’ultima emigra alle prime foschie dell’autunno per raggiungere le terre del Sud; per ritornare al nido quando la primavera esplode in montagna. E quando la rondine ritorna l’emigrante parte per ritornare dalle terre del Nord La mia storia incomincia dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Avevo vissuto le albe odorose al mio paese di Zoldo Alto, avevo goduto i tramonti incandescenti delle Dolomiti.
(…) Un intreccio di fantasie e leggende, confidenze di piccole gioie e sudore, fatiche e storia semplice delle generazioni, me le portavo nel cuore mentre lasciavo la mia terra a 14 anni per recarmi in Lombardia, per apprendere il mestiere del gelatiere. Questo lo facevo d’estate mentre d’inverno venivo impiegato come venditore ambulante, proponendo croccanti e mandorle. Nelle giornate nebbiose della terra lombarda entravo nelle osterie (…).
Il primo acquirente era l’oste che, intenerito dalla mia giovane età e dalla mia timidezza, mi offriva pure un bicchiere di vino.(…). Incominciava l’emigrazione verso la Germania, molti miei compaesani avevano intrapreso quella via. Così decisi anch’io e con dei signori di Zoppè di Cadore rimasi due anni per approfondire i segreti del mestiere. Mi misi in proprio nel 1956 e rimasi attivo fino al 1993. Svolgevo il mio impegno con coscienza ed amore, conoscevo persone nuove, mi adattavo ad usi e costumi diversi senza dimenticare le mie origini montanare. Imparavo la lingua senza problemi, mi sentivo appagato sotto ogni punto di vista finché un giorno le mie mani non mi permettevano più l’articolazione necessaria; così dovetti smettere per ritornare definitivamente a Zoldo. Ma questa mia storia comune non mi avrebbe dato le soddisfazioni provate se non avesse avuto un ruolo determinate il sentimento.
Già dalle scuole elementari avevo come compagna di classe una bambina di nome Fioretta. Mi colpiva per la sua aria quasi timida e per la sua serietà nello studio. Una volta terminate le scuole elementari ognuno di noi prendeva un’altra via. Io nella nebbiosa terra lombarda; invece lei a 18 anni si trovava in Svizzera. Ma i fuochi del sentimento, benché piccoli, non si spengono facilmente. (…)
Quel sentimento provato sui banchi di scuola ha lasciato spazio a quel SI scambiato reciprocamente davanti all’altare e che dura ancora. Era l’undici febbraio del 1961. Da quel giorno son passati 55 anni, sempre uniti nel lavoro e nell’ideale della famiglia. Sono nati Mirco, Carmen e Denise. Vivono fuori valle, ma ogni occasione è buona per incontrarci e per godere, assieme a Fioretta, i nipoti Marika, Manola, Mathias, Massimiliano e Giada. Dell’emigrazione porto ancora i ricordi mai sfumati nel tempo. Siamo passati fra tempi difficili e gioie profonde, fra apprensioni ed appagamenti. Oggi ci alziamo con lo stesso amore di un tempo per ammirare il sole che da est irradia il Civetta, cambiandone repentinamente i colori. Godiamo di quelle gioie che il destino ci ha dato e la sera nel coricarci una preghiera va sempre al Signore, per averci dato una famiglia unita negli affetti e nei sacri principi”.
Michelangelo Corazza