Siamo arrivati al secondo numero del notiziario del Centro Studi sulle Migrazioni “Aletheia”. Grazie alla collaborazione con Antonio Cortese, ex Direttore Centrale dell’Istat – è stato docente presso la Facoltà di Economia e Commercio di Urbino e presso la Facoltà di Economia di Roma Tre – avrete modo di venire a conoscenza dell’emigrazione veneta in tre paesi del mondo ben definiti: Ploštine, Chipilo e Grigny. Daremo inoltre spazio a una serie di testimonianze di emigranti bellunesi di ieri e di oggi, tratteremo anche di numeri e degli Agenti di emigrazione. Buona lettura.
Pubblichiamo in questa occasione dieci storie di donne bellunesi che hanno conosciuto l’emigrazione: chi quella temporanea e chi quella definitiva, qualcuna muovendosi entro i confini nazionali altre invece oltre, chi a seguito del marito e dei figli, chi in prima persona. Ognuna di loro è unica, come uniche sono la dedizione di queste donne per la famiglia e il lavoro, la determinazione e la forza nel sopportare le avversità e le sofferenze della vita.
1. Maria Corso De Nando
Maria Corso è nata a Pian del Vescovo di Lamon il 14 marzo 1905. Ancora giovane intraprese la strada dell’emigrazione recandosi per lavoro a Milano, poi in Germania e ancora in Svizzera, a Bellinzona. Nel 1940 sposò Romano De Nando di Arsiè ed insieme si spostarono nel Canton Uri. Nel 1942 nacque la loro figlia Marie-Louise. Due anni più tardi una fatale disgrazia le portò via il marito. Si trasferì quasi subito nel Cantone di Schwyz e nel 1950 ritornò a Erstfeld. Ha sempre lavorato come cuoca nelle mense per operai, soprattutto italiani. Rimasta sempre in Svizzera, è deceduta a Schattdorf il 12 agosto 1993.
2. Maria Flora Viezzer Dall’O
Maria Flora Viezzer nacque a Peron di Sedico nel 1893. Nel 1914 sposò a Libano Antonio Dall’O’, del quale seguì sempre il destino; egli era dipendente della ditta Domenichelli. Nella sua vita Maria ebbe modo di dedicarsi in modo esemplare non solo agli otto figli (una dei quali religiosa in Sud America), ma anche agli altri, soprattutto ai poveri e agli ammalati. Nel 1927 si trasferì con la famiglia a Padova, dove dedicò il suo tempo libero al terzo ordine francescano con l’assistenza ai meno abbienti e ai sofferenti. Trasferitasi successivamente a Verona, svolse le stesse opere caritatevoli a servizio della parrocchia di San Pancrazio in Porto. Fu donna attiva e caritatevole anche presso l’Opera “Dame della Carità”, di cui era presidente, sempre in forma discreta e tempestiva. Morì l’8 novembre 1973 a Verona.
3. Monica Fontana
Monica Fontana è stata una donna venditrice ambulante, una cròmera. Il suo viaggio per le vie della Svizzera è cominciato subito dopo l’ultima guerra mondiale. Percorse sei Cantoni e poi si stabilì in quello di Sciaffusa dove viveva con un nipote. Di là Monica pensava a suo marito, malato, e alla figlia che risiedevano a Belluno e regolarmente mandava loro i frutti delle sue fatiche. Era una camminatrice Monica, sempre portando sulle spalle il suo negozio volante tra i casolari sparsi. E con la merce portava il sorriso e la bontà degli italiani. Si ritirò solo quando la salute non le permise di continuare: chiuso con il commercio ambulante, decise di rimpatriare e di raggiungere i suoi cari per godersi insieme a loro le sue belle montagne. Molti hanno rimpianto mamma Monica e la sua bella figura di donna modesta, che va elogiata per la sua perseveranza e abnegazione.
4. Maddalena Selle
Maddalena Selle era originaria di Tiser di Gosaldo. Fu nominata Cavaliere di Vittorio Veneto, una delle pochissime donne che hanno avuto questa onorificenza, una donna che la Grande Guerra non l’ha solo vissuta ma anche combattuta in qualità di portamunizioni: a soli 16-17 anni, portava nella sua gerla l’occorrente per far saltare le rocce teatro di guerra. Dopo il conflitto seguì il destino di molte donne agordine ed emigrò nella zona di Milano, rimanendovi per tanti decenni e dove si è formata una famiglia. Fu socia della Famiglia Bellunese di Milano, divenendo presto la sua beniamina.
5. Angelina Zampieri
Angelina Zampieri nacque il 28 dicembre 1898 a Visome di Belluno, figlia di Giuseppe e Teresa Trevisson, una coppia originaria di Polentes di Limana. Angelina apparteneva ad una famiglia povera e quando aveva solo sei anni lasciò famiglia, giochi ed amicizie, per andare in Francia, ospite di parenti. Qui rimase fino ai dodici anni quando era grande abbastanza per dare una mano nei lavori di casa e tornò in famiglia; dovette però rifare ben presto la sua povera valigia e ritornare in casa d’altri, stavolta in condizione di piccola serva, una cioda, come i trentini definivano le donne bellunesi. A Pove di Trento divenne domestica del falegname settantenne Bartolo Maggioli, l’uomo che si rivelò il suo aguzzino e che non tardò a minacciare la ragazza per soddisfare i suoi istinti maschili. Lei lo respinse sempre con decisione e riuscì anche a farsi cambiare di casa, ma lui decise di ucciderla. Lo fece con quindici coltellate sul pianerottolo della casa in cui la giovane prestava servizio. Era il 24 luglio 1913. Migliaia di concittadini presero parte al suo funerale; la salma fu inizialmente tumulata presso il cimitero di Trento, poi, nel 1972, i poveri resti furono portati a Limana. Da molti è considerata la Maria Goretti del Bellunese, dato che prima di morire perdonò il suo assassino chiedendo a Dio che lo accogliesse in Cielo.
6. Luigia Angela Sacchet
Luigia Angela Sacchet nacque a Cesiomaggiore l’8 gennaio 1899. Quando il marito dovette partire per l’America, emigrò da sola per Biella per poter mantenere i suoi figli, provvisoriamente affidati ai genitori. Era il 1932. Trovò lavoro come balia. Ebbe cinque figli, due dei quali morirono giovani, seguiti dal marito, mai più rivisto. Si riunì con i figli a Biella dove visse e trascorse gli ultimi anni circondata dai suoi cari. Aveva una straordinaria forza d’animo che la sorreggeva nei momenti di dolore e nelle fatiche. Aveva sempre un sorriso e affetto per tutti. Morì a Biella il 23 settembre 1987, andando incontro alla morte con pace e serenità.
7. Elena Boschet De Vallier
Elena Boschet è originaria di Celarda di Feltre; dopo due anni di lavoro presso l’ospedale cittadino, all’età di diciotto anni decise di emigrare in Svizzera, dove conobbe quasi subito Adelio De Vallier, originario di Laste di Rocca Pietore, emigrante nella zona di Neuchatel come operaio meccanico specializzato. Era il 1947. Si sposarono dopo un anno e dopo due ebbero la loro prima figlia, Diana, a cui fece presto compagnia il secondogenito, Walter. Dopo quattro anni in terra elvetica, Adelio decise di andarsene dall’Europa e raggiungere il Sudafrica, dove ottenne quasi subito un contratto di lavoro. Elena però era incinta e quindi decise di partorire prima il terzo figlio, Gianni, e di affrontare poi il viaggio da sola, senza il marito. Nel settembre 1958 Elena si imbarcò ad Amsterdam sulla nave Duncan con i tre figli per raggiungere il marito a Vanderbijlpark, città situata nella zona nordorientale del Paese. Qui si sistemarono inizialmente in una casetta in affitto ed Elena ricorda la felicità di vivere in un clima caldo, dove i bambini potevano giocare all’aria aperta per buona parte dell’anno. Dopo alcuni anni si trasferirono a Johannesburg, dove nacque l’ultimo figlio, Patrick. Per un certo periodo, quando i ragazzi cominciarono a frequentare l’università, Elena lavorò in un supermercato, dove era a capo del personale, costituito perlopiù da uomini e donne di colore, dai quali ha sempre avuto rispetto e collaborazione. Dopo più di quarant’anni di Sudafrica, nel 1999 Adelio e Elena decisero di tornare definitivamente a Laste, pur con l’intenzione di ritornare di tanto in tanto a Johannesburg, dove risiedono Walter e Gianni con le loro famiglie; Diana invece si è stabilita a Londra e Patrick a Brisbane, Australia. Purtroppo però, poco dopo il ritorno, Adelio si ammalò di un male incurabile che lo condusse alla morte. Tuttora Elena è in Sudafrica e la pandemia non le consente il rientro nel Bellunese; si gode l’ultima bisnipote, che porta il suo stesso nome. Dolcezza, umiltà e grande spirito di adattamento sono tratti caratteristici di questa donna straordinaria, un’altra espressione di laboriosità e dedizione alla famiglia, tipica della nostra emigrazione.
8. Caterina De MartinRosso
Caterina De Martin Martinon era originaria di Sedico, dove era nata nel 1848. Rimasta vedova del marito Giovanni Rosso, dopo pochi mesi lasciò il suo paese e la povertà che vi regnava e con i sette figli, tutti minorenni, emigrò verso il Brasile. Era il 20 dicembre 1888. Il figlio più piccolo aveva due anni, il maggiore venti ed aveva con sé la moglie diciassettenne, originaria di Barp. Si stabilirono nella zona di Criciuma, nello Stato di Santa Caterina, che raggiunsero da Laguna grazie al treno con uno dei primi viaggi sulla neonata linea ferroviaria. Ottenne inizialmente un unico lotto per sé e per i figli: qui costruirono la loro casa e vissero coltivando la terra. A Morro Albino, Caterina morì nel 1920.
9. Maria CasonTonet
Maria Cason nacque a Pren di Feltre il 14 settembre 1916, decima figlia di Giuseppe e Antonietta Buttol, i quali si erano conosciuti in Svizzera a fine Ottocento, entrambi emigranti. Giuseppe e Antonietta vissero per un certo periodo a Zurigo, dove ebbero i loro primi quattro figli, poi rientrarono a Pren; tra un figlio e l’altro Giuseppe continuò ad emigrare, dapprima in Svizzera e in Francia come muratore e poi nell’Agro Pontino per le bonifiche dell’epoca fascista. Anche i figli conobbero presto l’emigrazione, chi in “Tirol”, come si diceva allora, ciodet presso i contadini trentini, chi nell’edilizia, chi a servizio di qualche famiglia facoltosa della pianura. Maria partì a diciassette anni e la sua prima destinazione fu Milano, a servizio presso una famiglia del centro città. Il lavoro era duro, cominciava presto il mattino e finiva tardi la sera; solo la domenica pomeriggio aveva qualche ora libera. Teneva qualche soldo per sé, il resto lo spediva a casa. Di solito faceva il contratti di un anno o un anno e mezzo, poi finalmente faceva ritorno a casa per riabbracciare genitori e fratelli, quelli che c’erano. Si fermava un mese circa, poi ripartiva, con un altro contratto in mano. Anche se non si trovava bene come lavoro, cercava di tener duro almeno un anno, per timore che si dicesse che non aveva voglia di lavorare. Anche a distanza di tanti anni, Maria ricordava tutti i nomi dei datori di lavoro, dei quali conservava un bel ricordo. Tutte le sue amiche del paese sono partite per andare a servizio, molte sono ritornate, qualcuna ha trovato marito là. Nel ’49 si è sposata con Antonio Tonet. Dopo qualche anno a Pren, ha seguito il marito che emigrava come muratore stagionale in Svizzera; inizialmente lavorò come cameriera in un ristorante, poi prestò servizio presso una famiglia di Zurigo, occupandosi della casa e dei due figli della coppia. Nel 1961 rientrarono definitivamente in Italia e si sistemarono nella casetta che avevano costruito con tanti sacrifici. Maria morì a Pren il 27 aprile 2017.
10. Orsolina Zatta Cecchin
Orsolina Zatta nacque il 6 luglio 1923 a Tomo di Feltre, figlia di Umberto e Ida Marin. Dopo la seconda guerra mondiale, sperando in un futuro migliore al di là dell’oceano, decise di emigrare in Brasile con il marito Guerrino Cecchin e la figlia Rita. Si stabilirono nel Rio Grande do Sul, dove furono agricoltori per i primi quattro anni; poi Guerrino ebbe problemi agli arti inferiori, così decisero di trasferirsi nel centro urbano di Caxias, dove Orsolina fu impiegata nella fabbrica di tavole di compensato Gethal per quindici anni. In Brasile la coppia ebbe altre due figlie, Rosalba e Rosanna. Orsolina e Guerrino seppero mantenere anche in Brasile la loro cultura italiana, specialmente per ciò che concerne la religiosità e la cucina. Ambedue speravano un giorno di poter rivedere l’Italia: “la è dentro qua tel còr” diceva Orsolina riferendosi alla sua amata Patria. Nelle ore libere amava camminare e coltivare il piccolo orto, accontentandosi delle piccole cose. Con allegria, generosità e umiltà lasciò un esempio di vita per tutti. Morì il 3 febbraio 2012.
Nato a Sovramonte, dopo la guerra Franco Zannini era arrivato nel nord della Francia, doveaveva sposato un’emigrata lombarda, dalla quale aveva avuto quattro figli (una ragazza è impiegata al Parlamento Europeo). Egli era personaggio dalle molteplici attività, molto amato e conosciuto a Lexy per la sua disponibilità al dialogo con tutti. Lavorava in un laminatoio e nello stesso tempo faceva il corrispondente del giornale regionale, si interessava di sport e aveva fatto anche attività sportiva. Fu l’artefice del gemellaggio Lexy -Sospirolo e dei rapporti proficui con Longarone: scambi di studenti, visite reciproche, incontri sportivi tra squadre bellunesi e francesi hanno sempre visto Zannini in prima fila. Nonostante gli oltre trenta anni di permanenza in Francia manteneva uno stretto rapporto affettivo con la terra d ‘origine. E’ deceduto a soli 56 anni per un banale incidente stradale proprio mentre stava tornando dalla stazione dove aveva appena accompagnato un gruppo di ragazzi in partenza per Longarone, nel quadro degli scambi culturali che lo aveva visto protagonista a Lexy. In questa cittadina francese egli animava anche la Famiglia Bellunese dell’Est della Francia. Nel momento dell’estremo saluto, la chiesa di Lexy, pur essendo di grande capienza, risultò essere troppo piccola per contenere tutti gli amici venuti a rendergli un ultimo omaggio, un omaggio al loro amico, uomo di grande valore morale e di eccezionale dinamismo. La notizia della sua morte immatura destò profonda costernazione non solo a Lexy, ma anche a Longarone e Sospirolo ed in tutti gli ambienti dell’emigrazione bellunese ove contava numerosi amici. Memorabile è rimasta la sua immagine, davanti all’Altare della Patria, con il casco da minatore, nel corso del raduno mondiale a Roma del ‘73. Lo vogliamo ricordare cosi, sicuri che la stessa luce del casco da minatore sia quella che Franco Zannini ci ha lasciato insegnandoci come si fa ad amare la propria terra d’origine.
Il 10 luglio 1979, all’età di 90 anni, è deceduto Mosè Colle. Era nato a Lentiai il 22 settembre 1889, bellunese di vecchio stampo, partito dal suo paese nel 1921, ha coraggiosamente trascorso la maggior parte della propria vita a Lexy (Francia), cittadina stretta in gemellaggio con Sospirolo. A Lexy Mosè ha lasciato un’impronta di laboriosità e di straordinario attaccamento al lavoro in una fabbrica della Società della Providence di Rehon, dove si è saputo conquistare l’affetto e la stima dei compagni e dei datori di lavoro. Oltre a questo, va segnalato che la sua porta è sempre stata aperta a tutti, ma il più grande piacere per lui era soprattutto, la visita dei Bellunesi, ai quali voleva molto bene. Vecchio combattente della guerra mondiale 1914-1918, era padre di sette figlioli; uno lo perse prematuramente ed un secondo che si chiamava Cleto ha trovato la morte gloriosa sul campo d’onore nella guerra d’Indocina. Quattro figli hanno vissuto nella cittadina di Lexy, e tre di loro, cioè Clio, Settimio e Jean-Marie dirigono una grande società di trasporti denominata «Fratelli Colle».
Mosè Colle è sempre stato un entusiasta sostenitore della Famiglia Bellunese dell’Est della Francia, della quale fu il primo presidente.
Giovanni Baiocco nacque a Lentiai nel 1904. Fu a Monza dove ebbe una rigorosa formazione artistica attraverso l’alternanza tra l’indispensabile esercizio pratico e regolari studi teorici; qui ottenne il diploma di maestro d’arte, per poi specializzarsi nella lavorazione del ferro sotto la guida del maestro Alessandro Mazzucotello, lo stesso che guidò al successo il feltrino Carlo Rizzarda. Poco più che ventenne si trasferì in Argentina, precisamente a Buenos Aires, dove si fece presto conoscere come “quello del ferro battuto” e dove aprì un negozio in Avenida Cordoba, che chiamò “La bottega del ferro”. Le sue opere venivano regolarmente acquistate sia dagli argentini come dai membri della collettività italiana. Nel 1970 un grande settimanale argentino gli dedicò un importante servizio giornalistico, dove si mise in luce che nella sua formazione culturale trovò ampio spazio la storia dell’arte e che quindi egli conosceva e cercava di spaziare negli stili delle diverse epoche, anche se dimostrava una particolare simpatia per il rinascimento spagnolo.
Giovanni Alfonso Baiocco fu membro di molte istituzioni benefiche e associazioni; inoltre faceva anche parte della “Bellunese”. Morì a Buenos Aires nel 1981, dopo più di cinquant’anni di emigrazione.