A piedi sulle Alpi
Era da poco finita la guerra e le risorse in famiglia scarseggiavano. Mio padre aveva combattuto sia nella Prima che nella Seconda guerra mondiale e tra le due era stato in Eritrea. Nell’ultima era finito prigioniero in India e ritornato nel ’46. Dove stavo io non c’erano le condizioni per poter vivere. La soluzione sembrava apparentemente semplice, andare in Francia, dove c’era richiesta di lavoratori. Solo un problema: bisognava partire clandestini.
Io ero giovane e quindi sono partito da Lentiai, nel ’46. Ero assieme ad altri miei compaesani. Bisognava pagare quelli che ti accompagnavano, i passeurs, cinque mila lire. Arrivato a La Thuile, in una stazione piccola come quella di Busche, dovevi saltar giù. C’erano delle persone che ti aspettavano in un bar e poi ti caricavano su un camioncino aperto, ti portavano fin dove potevano e poi ti consegnavano ad altre due persone, altri passeurs. Prima di tutto li pagavi, poi da La Thuile ti portavano fino al San Bernardo. Erano già d’accordo con le guardie di frontiera che effettuavano i controlli sui sentieri. Intascati i soldi, i passeurs tornavano indietro e andavano a prendere altri gruppi.
Dovevi camminare senza nessuno che ti conduceva, perché ai passeurs interessavano i soldi…
Io sono partito con il primo gruppo. Era settembre e arrivati sul Piccolo San Bernardo c’era acqua e faceva freddo. Ero malvestito, avevo un paio di mocassini che venivano dall’India, me li aveva portati mio padre. Siamo partiti alla sera e siamo arrivati la sera dopo, sempre a piedi – ovviamente – camminando tutta la notte. Dovevi camminare senza nessuno che ti conduceva, perché ai passeurs interessavano i soldi, dopodiché tornavano indietro e cercavano di trovare altre persone che avevano necessità di attraversare il confine.
Una volta giunti a Borgo Saint-Maurice ci hanno mandato a un campo fatto di baracche, dove ci hanno fatto le visite mediche. Al campo è arrivato il padrone e c’è stato uno smistamento. Ti selezionavano in base al lavoro che avevi detto di saper fare. Io sono andato a Marsiglia, a quell’epoca stavano facendo i ponti sull’autostrada. Ho lavorato lì per un periodo e poi sono stato a lavorare su un’isola dove c’era un faro che era stato fatto saltare dai tedeschi durante il conflitto. Poi sono stato a Cavaillon, a costruire un hangar, fino a che ho dovuto tornare in Italia per fare il militare.
Il lavoro era molto duro e pesante, facevo le notti.
Nel ’52 mi sono trasferito a Le Locle, in Svizzera, a lavorare come falegname. Sono andato avanti per sei anni, poi c’è stato un periodo di crisi e allora sono rientrato e sono andato prima ad Arquata Scrivia e poi nelle acciaierie di Genova. Il lavoro era molto duro e pesante, facevo le notti. Da lì sono andato a Milano come falegname e ci sono rimasto per un po’ di tempo, poi sono ripartito per la Francia, da solo, mentre mia moglie è rimasta a Milano e mio figlio era a Lentiai, con i nonni.
Sono andato a finire a Bagnols-sur-Cèze, con un’impresa che si chiamava Mione. Appena ho avuto modo di pagarmi una casa adeguata, mi hanno raggiunto mia moglie e mio figlio. Con la Mione bisognava spostarsi spesso e quindi, per non far girare mio figlio da un cantiere all’altro, ho cambiato impresa e sono rimasto per ventisette anni a Marsiglia.
Nel maggio 2011 sono tornato a Lentiai, perché io e mia moglie volevamo stare in un posto più tranquillo.
Marcello Mione