Archivio di Maggio, 2022

Guerra, amore ed emigrazione

Giovanni e i suoi fratelli, Antonio e Giuseppe, emigrarono nel 1904-1905 arrivando, come tanti altri del nostro paese – Arsiè – a Spring Valley, nell’Illinois, per lavorare come minatori. Dopo alcuni anni le loro mogli li raggiunsero.

La vita era dura nei campi di mina di Marquette, le casette misere, nel fango quando pioveva, fra la polvere quando non pioveva. Il sabato sera i minatori scapoli andavano a Spring Valley nelle osterie, tornando a tarda sera, facendo baccano, usando un linguaggio duro. Giovanni e sua moglie Maria, diventati nel 1910 genitori di una bambina di nome Constantina, decisero che quello non era un posto dove allevare una famiglia e nel 1912 tornarono in Italia.

Col passare del tempo nacquero altri due figli, Gaetano e Gino. Poi, ecco che di lì a qualche anno scoppiò la guerra, e il padre fu chiamato militare e assegnato con gli Alpini del Battaglione Feltre. Dopo la disfatta di Caporetto, Arsiè rimase sotto l’occupazione tedesca e fu solo a ostilità concluse che Giovanni venne a sapere di essere diventato padre di un altro figlio, al quale Maria aveva dato il suo stesso nome, Giovanni, appunto.

La guerra era finita, ma le cose in Italia non andavano bene. Giovanni decise di tentare di nuovo la via dell’America: aveva ancora i documenti di cittadino americano, e nessun problema per rientrare. Così nel 1923 lasciò la moglie e cinque figli, la più piccola, Lina, di tre anni. Quando arrivò, trovò lavoro a far pavimenti di terrazzo e non appena i figli compivano i sedici, diciassette anni di eta, faceva in modo che lo raggiungessero in America. Il più giovane, Giovanni (John), giunse nel 1937.

Dato che Lina si sposava e andava in Australia nel settembre di quell’anno, il padre tornò in Italia, con la speranza dì rientrare poi in America. Ma un anno dopo Maria si ammalò e più tardi scoppiò la seconda guerra mondiale. Giovanni non tornò più in America. Conoscendo la gravità del male della madre, anche il figlio suo omonimo voleva tornare per vederla almeno un’ultima volta. Fu tuttavia convinto a non farlo, malgrado il dolore. Già i carabinieri erano stati due volte in casa, visto che non si era presentato quando era stato chiamato al servizio militare.

Nel dopoguerra John venne a trovare suo padre, e trovò pure me. Ci siamo sposati il 13 marzo 1947, dopo un mese di fidanzamento! John è morto nel settembre 2014, dopo sessantasette anni di matrimonio.

Anna Venzon
(Peoria, USA)

Illinois Miners 1903
(fonte: Wikimedia Commons)

Sempre con la valigia

La mia vita da emigrante cominciò nel 1955. Partii da Sedico con destinazione Mauvoisin, nel Canton Vallese, a lavorare per la costruzione di una diga. Il mio permesso di soggiorno era “alterato”: a proposito dell’età, c’erano segnati due anni in più. Ne avevo ancora sedici anni, e avevo dovuto scriverci diciotto, altrimenti non sarei potuto espatriare in Svizzera.

Dopo quindici giorni che ero lì, arrivò la polizia. Confrontarono i dati del passaporto con quelli del permesso di soggiorno e capirono che qualcosa non quadrava. Mi comunicarono che il giorno seguente sarei dovuto andare a Briga, perché il mio passaporto era affidato alla polizia confinaria. Lavoravano con me altri compaesani e mio zio. Proprio mio zio mi portò dal direttore del cantiere, l’ingegner Bernald, una bravissima persona. Telefonò al capo della polizia del Vallese e sistemò la questione.

Nel cantiere di Mauvoisin lavorai tre stagioni, finché terminò la costruzione della diga. Poi mi spostai a Berna, dove stavano costruendo una nuova stazione. Lavorai lì per due anni, poi nel 1960-61 andai in Lussemburgo: era in fase di edificazione una grande centrale pagata dai tedeschi come risarcimento danni di guerra. Lavoravamo proprio al confine con la Germania. Finito il lavoro in Lussemburgo, mi trasferii in provincia di Sondrio e in seguito, nel ’63, rientrai per lavorare alla diga di Saviner, ma non mi trovai bene.

Il mio permesso di soggiorno era “alterato”: a proposito dell’età, c’erano segnati due anni in più.

Il lavoro mi portò poi in provincia di Pescara, in uno stabilimento chimico dove mi intossicai a causa del piombo. Successivamente raggiunsi Cagliari, per la costruzione di un nuovo stabilimento. Dopo essere tornato per qualche anno a Belluno, nel ’69 ripartii per il capoluogo sardo. Dopodiché, andai a Genova e a Varese. All’epoca, lavoravo con la Grandis di Savona. Poi, fino al 1981 mi fermai in provincia di Belluno, con la Sanremo.

In quello stesso anno partii per l’Iraq e ci rimasi fino al 1983. Rientrato, lavorai alla Chimica di Sospirolo, in realtà mai partita con l’attività e chiusa prima ancora di cominciare la produzione. Eccomi quindi emigrare nuovamente, questa volta per l’Eritrea, a lavorare al Progetto Acqua della Caritas, una bellissima esperienza, anche se il Paese in quel periodo era in guerra. Ricordo il coprifuoco, le cannonate, i permessi per circolare. 

In seguito fui impiegato qualche anno nelle cartiere tra Bologna e la Carnia, per poi passare alla Costan e infine concludere la mia vita professionale alla Polimex di Longarone, dove feci gli ultimi otto anni prima della pensione. Lavoravo nelle caldaie a carbone. Ricordo il fumo e il freddo sofferto.

Gianni Da Rold

Bellunesi al lavoro nel cantiere della diga di Mauvoisin, anni ’50.
(Per gentile concessione di Ernesto Dal Pan)

In giro per il mondo sulle due ruote

La mia storia da giramondo iniziò negli anni Settanta tramite le biciclette, con il Veloce Club Enal Belluno. Io abitavo a Carfagnoi di Trichiana e un amico – Ivo Battiston – mi chiese se volevo iniziare a correre in bici. In quegli anni non si andava molto in giro e lui mi disse: «Dai, che andiamo in giro tutte le domeniche». Quella fu la molla e così, attraverso lo sport, iniziai ad andare un po’ fuori dal Bellunese. 

Dopo essere riuscito a ottenere dei buoni risultati da dilettante, passai tra i professionisti, dove gareggiai tra il ’79 e l’82 disputando due Tour de France, un Giro d’Italia, una Vuelta di Spagna e le varie gare di stagione. Alla fine del 1982 decisi di smettere di correre e per me iniziò una nuova carriera come fisioterapista. 

Ebbi modo, grazie al mio lavoro, di vedere il mondo e, nel farlo, di divertirmi.

Dopo l’ovvio periodo di studio e formazione alla Scuola Massaggi di Forlì, nel ’90 cominciai a rigirare il mondo in questa nuova veste, prima con i dilettanti e poi con le squadre professionistiche, a cominciare dalla Italbonifiche, nel 1993. Poi la Carrera, la MG e, tra il 1997 e il 1998, alla Mercatone Uno, dove gareggiava Marco Pantani. Poi feci parte della Mapei, della Fassa Bortolo, della CSC, della Liquigas, fino alla Nazionale con Davide Cassani. 

Ebbi modo, grazie al mio lavoro, di vedere il mondo e, nel farlo, di divertirmi. Oltre ai massaggi e alla fisioterapia per le diverse problematiche fisiche, il nostro ruolo prevede che ci occupiamo anche dei rifornimenti agli atleti. Una volta dovevamo fare pure i menù e spesso controllare perfino le cucine degli hotel, mentre adesso – finalmente – sono arrivati i nutrizionisti, i cuochi e altre figure di supporto, così possiamo dedicare più tempo alle nostre mansioni. 

… il periodo in cui lavorai con Marco Pantani fu molto intenso e nel ’98, quando lui vinse Giro e Tour, ebbi la più grande soddisfazione.

Gli episodi che ricordo con grande piacere sono molti: la collaborazione con Michele Bartoli dal 1999 al 2004, i diversi Mondiali, ai quali dal ’99 fino ad oggi ho sempre partecipato, le Olimpiadi del 2000 e del 2004 come massaggiatore degli Azzurri (ad Atene Bettini vinse l’Oro). Ma in particolare, il periodo in cui lavorai con Marco Pantani fu molto intenso e nel ’98, quando lui vinse Giro e Tour, ebbi la più grande soddisfazione. Era da tempo che non si ottenevano risultati di così alto livello. 

Pantani era un ragazzo molto semplice, che purtroppo si lasciò condizionare troppo da certe amicizie che arrivano con il successo. Le vicissitudini avute con lui sono cose che ti segnano, anche perché ti rendi conto che non puoi farci niente, non puoi cambiare le cose. 

Il ciclista che in questi anni mi ha impressionato più di tutti, però, è Peter Sagan, uno di quei campioni che nascono solo una volta ogni tanto. Poi Bugno fu un grande, così come Johan Museeuw. Corridori che hanno segnato un bel po’ di storia.

Luigino Moro

Luigino al Tour de France del 1981
Luigino al Tour de France del 1981

Due fradei

L’éra un giorno belissìmo del mese de maio, quando nel orlo del porto de Genova, ntea distante Italia, due fradei de sangue veneto nele vene, i ga visto par la prima volta la grandessa del mar. Umberto e Amedeo Lisot zera el so nome, due bei tosati, co òcii de color blu, cavei negri e anima pura.

Nte che l’giorno, la belessa del mar ghe tirea adosso na mucia de amirassion, anca insieme sufiea n’arieta fresca co la densità che acaressa so pel, accompagnata del mormòlio sonolento dele onde. L’éera un momento magico, co’ l sol a tramonto nel orisonte e drio portar nel cuor la sensassion che l’mondo zera anza gradevol e belo.

i fratelli Umberto e Amedeo Lisot, figli di Giosuè

Trascorea el remoto ano de 1882 e una stimana avanti i gaveva partiso insieme dei genitori de so paeselo de nassità, ai piè dele “Dolomite” ntea montagneria dei Alpi, provìinsia de Belluno, nel paese Veneto, andove ga i fiori più bei del mondo. Dopo de na stimana nel porto, el signore Giosué, so pupà, ga dito: «Ndemo tossi, l’é ora d’imbarcar nel bastimento, par andare via a lontan a cercare un altro mondo».

infrontando el grando oceano par rivar a so destin, un stragrando paese, che i Signori d’Italia disea che gaveva de tuto par tuti

Alora nel momento dela partensa, co destin a la Mèrica, nel s-ciantin che i fassoleti bianchi sgorleva al vent nte un saludo de Adio definitivo, i ga sentisto che i ghe cavea de rento del cuor la Patria Italia. Viniti sinque giorni de viaio, vinti sinque note de paura, infrontando el grando oceano par rivar a so destin, un stragrando paese, che i Signori d’Italia disea che gaveva de tuto par tuti: dolci ornati co l’sùchero briliante, late e gasose par i bambini, vin bonìssimo, pan e salame par i più vècii, la cucagna par tutiquanti.

… i genitori i ga visto che i se gaveva assà imbroiar par la ilusion de brute busie

Quando i ga riva ntel novo paese, località de “Capão dos Bugres”, che adesso ze la cità de Cassias del Sud, nela Provìnsia de San Piero, i genitori i ga visto che i se gaveva assà imbroiar par la ilusion de brute busie, parvia che no i gi mea trova dolci ornati col sùchero briliante, late e gasose par i bambini, e gnanca vin bonìssimo, pa e salame, i ga trovà solamente la natura e le bèstie de ferossità, alora ntei primi tempi i gaveva el sentimento de ritornar casa al paese veneto, però questo zra impossìbile.

Cossì ga transcoresto la infasnsia e gioventù dei due fradeleti, infrontando la inclemensa dela natura e le bèstie de ferossità, tutavia sempre laorando del s-ciarir al s-curir del dì, co l’pensiero che l’sentido dela so vita zera la fameia, el laoro e la credensa in Dio, inesieme de un sentimento de rispeto al paese che gaveva acoiesto so gente rento del cuor, cossì in pochi ani i gaveva de tuto.

Ademar Lizot
(storia giunta all’Abm grazie a Umberto Lisot e Ester Casagrande)