Racconto tratto dal libro Quadrilogia, di Don Evaristo Viel; Torino: STIG, 1974
Il mese di settembre non era il più adatto per dare inizio a un impianto di cantiere a quota 2500, ma il lavoro urgeva e l’ing. Raffaele, titolare dell’impresa appaltatrice, aveva dato ordine di cominciare subito. Mancavano la luce, il telefono, tutto. Il villaggio più vicino al costruendo cantiere distava nove ore di cammino lungo una mulattiera appena transitabile da un mulo e, nell’ultimo tratto, neppure da quello.
La squadra di operai ingaggiata per l’opera (una quarantina circa) con a capo Barbanera, si mise al lavoro di gran lena e in meno di due mesi la luce, il telefono, la teleferica, i baraccamenti saldamente ancorati alla roccia erano pronti. Ora si trattava di attaccare la roccia e, attraverso la montagna, scavare un tratto di galleria lungo tre chilometri per congiungersi con un’altra squadra che, dalla parte opposta, faceva il medesimo lavoro. L’ing. Raffaele non era stato avaro di elogi per Barbanera e la sua squadra quando si accorse che tutto era pronto per l’attacco. Poteva finalmente dormire i suoi sonni tranquilli, perché da ora in poi il lavoro sarebbe andato avanti quasi automaticamente.
Raccomandò che ci fossero abbondanza di materiali e di viveri, distribuì un premio a tutti e si congedò orgoglioso di quanto era stato fatto. Per un mese ancora ricevette regolari telefonate, che lo informavano sull’andamento del lavoro e sui bisogni più urgenti: ma molti operai erano passati in ufficio per essere liquidati, giacché lassù la vita era troppo dura, e il capo era diventato con loro troppo aggressivo. L’ing. Raffaele volle rendersene conto di persona e, accompagnato dal suo fido segretario, si spinse fino a fondo valle con la macchina, poi prese la mulattiera e cominciò a salire. Man mano però che andava avanti la neve si faceva sempre più alta e il pericolo di cadere a strapiombo e finire a sfracellarsi tra le rocce diventava più grande.
Quando ai due furono spalancate le porte della baracca, a stento vi si trascinarono all’interno e caddero come corpi morti.
Con la caparbietà di un montanaro resistette, finché dopo quattordici ore di cammino sempre più pericoloso, arrivò al cantiere. Era buio ormai. Dentro, nessuno si sarebbe aspettato la visita. Quando ai due furono spalancate le porte della baracca, a stento vi si trascinarono all’interno e caddero come corpi morti. Messi alla bell’e meglio su due brande e pian piano rifocillati, ripresero forze: indi si addormentarono e dormirono come ghiri fino alle 12:00 del giorno seguente. Dove erano andate a finire tutte le ansiose domande che l’ing. Raffaele si era proposto di fare al suo capo? A mezzogiorno il pranzo frugale, anche se abbondante, di tutti i minatori.
Nessuna eccezione per l’ing. Raffaele e il suo segretario, al di fuori di un bicchierino di grappa, offerto soltanto agli ospiti d’onore. «Quassù – aveva detto Barbanera agli operai – dovete mangiare, mangiare molto, non bere». E la regola valeva per tutti. Dopo la siesta, l’ing. Raffaele volle visitare il cantiere. C’era poco da vedere. L’avanzamento era arrivato a poco più di cento metri, anche perché il piano inclinato della “scarica” era esposto a raffiche di vento terribili e non sempre gli operai addetti potevano uscire per sbrigare il loro lavoro.
L’ing. Raffaele non rimproverò il suo capo. La planimetria e i profili erano in perfetto ordine. Mugugnò un pochino vedendo degli operai riscaldarsi al fuoco durante le ore di lavoro, ma lasciò correre… non erano delle bestie. Di ritorno prese in disparte Barbanera e gli disse molto serio: troppi operai sono venuti in ufficio a lamentarsi che li tratti molto male!
«Lo presupponevo – rispose Barbanera -. Quelli che sono partiti da qui son tutte mezze cartucce cui piacerebbe guadagnar molto e lavorar poco. Il guadagno, poi, se lo spenderebbero volentieri a ubriacarsi e a far qualcosa di peggio!» «Ma – soggiunse l’ing. Raffaele – non possiamo rimpiazzare all’infinito gli uomini. Il lavoro bisogna sia consegnato entro il_______ e bisogna andare avanti il più celermente possibile». «Appunto per questo – disse Barbanera – non ci vogliono mezze cartucce. Il cantiere è un posto di suore: ci resta soltanto colui che ha la volontà ferma di guadagnare e di sistemare la sua famiglia. Comunque ora siamo pochi, qui. Quanti altri verrebbero quassù in questa stagione? Cercheremo di arrangiarci. Però il premio a primavera, per tutti deve saltar fuori, l’ho già promesso, altrimenti addio cantiere».
Di fronte a questa minaccia, l’ing. Raffaele storse un po’ la bocca, ma infine si acquietò e fece un cenno di “Sì”. La sera era inoltrata e l’ingegnere decise di non scendere a valle. Troppo pericolosi sarebbero stati il sentiero e la mulattiera per il ritorno. Durante la notte, però, accadde il finimondo. Una tempesta di neve di smisurata violenza sembrò volesse spazzar via tutto. «Siamo sicuri?» domandò impaurito l’ing. Raffaele. «Stia tranquillo! Tutto è ancorato a dovere» rispose Barbanera. Venne a mancare la luce e si dovette ricorrere alle lampade ad acetilene per rischiarare po’ la notte, durante la quale nessuno poté prendere sonno. Al mattino e fino al dopopranzo la situazione sembrò peggiorare.
«Metteremo in funzione il generatore di corrente – disse Barbanera – ma lo dovremo usare con parsimonia perché il carburante a disposizione non è molto». Verso sera le raffiche di tempesta cominciarono a diminuire e la notte fu per tutti più tranquilla che quella precedente. Svegliatosi di buon mattino, I’ing. Raffaele e il suo fido segretario si erano equipaggiati per scendere a valle.
Barbanera uscì dalla baracca per un momento, diede un’occhiata tutt’intorno, poi ritornò sui suoi passi. «Voi – disse rivolto all’ing. Raffaele e al suo segretario con tono duro e perentorio – non vi muovete di qui fintantoché non ve lo dirò io!»
Una nebbiolina bianca e uggiosa permetteva appena di vedere a due passi. Sarebbe stato oltremodo pericoloso avventurarsi sul sentiero, del quale non esisteva più traccia, e ritrovare la mulattiera, anch’essa certamente sconvolta dall’uragano. Barbanera uscì dalla baracca per un momento, diede un’occhiata tutt’intorno, poi ritornò sui suoi passi. «Voi – disse rivolto all’ing. Raffaele e al suo segretario con tono duro e perentorio – non vi muovete di qui fintantoché non ve lo dirò io!» I due rimasero sbigottiti.
«Ma sei tu il padrone qui o io?» «Il padrone è lei, ma il responsabile delle vite umane sono io». «Per quanto ci riguarda ve ne dispenso!». E fece per uscire dalla baracca. Barbanera non ci vide più. Rosso di collera in viso come non mai, prese per un braccio l’ingegnere e lo spinse violentemente fino in fondo alla baracca. «Là! – urlò – Piuttosto di lasciarvi scendere con questo tempo preferisco rompervi una gamba o un braccio!», e prese in mano un manico di badile e lo alzò in segno di minaccia.
«Vi licenzio in tronco! – gridò allora l’ing. Raffaele – D’ora in poi non siete più alle mie dipendenze!» «Accetto! – rispose Barbanera calmo – Prenda penna e carta e scriva di suo pugno che mi esonera da ogni responsabilità».
Fine prima parte…