Archivio di Dicembre, 2022

Clough Creek – Benny Boye

Noi che eravamo effettivi alla base di Brass Terminal dovevamo spesso intervenire per riparazioni nelle varie flow station della società. Si trattava quasi sempre di emergenze e anche quella mattina, con un preavviso di un’ora, ci dissero che dovevamo attivarci con la massima urgenza. Un elicottero ci avrebbe prelevati e portati a Clough Creek. Poi, il giorno dopo, visto che era domenica e non c’erano elicotteri, ci saremmo mossi via fiume con il motoscafo fino a Benny Boye. Come di consueto, eravamo io e l’amico Fittaroli.

Lungo la rotta del nostro volo, il delta del Niger sembrava una palude immensa e abbondante, dove qua e là comparivano dei villaggi e, in mezzo alle foreste di mangrovie, spuntava qualche capanna.
Arrivati a Clough Creek, ci sbarcarono in tutta fretta, ci consegnarono la nostra borsa e ci indicarono la piattaforma in cui ci aspettava il problema da risolvere.

Passò circa una mezzora prima che riuscissimo ad arrivare ai generatori. Riparammo il guasto e a mezzogiorno, per quanto ci riguardava, il nostro lavoro era concluso. Convinti di ripartire nell’immediato pomeriggio per Benny Boye, constatammo invece che il Sea truck che doveva essere a nostra disposizione non era ancora arrivato. Anzi, non era neppure partito, e probabilmente sarebbe arrivato il giorno dopo. Ci mettemmo il cuore in pace, tanto ormai eravamo abituati a questi contrattempi.

Finalmente, nella tarda mattinata del giorno seguente, il nostro motoscafo arrivò. Chiedemmo al capitano se saremmo riusciti ad arrivare a Benny Boye prima del buio. Sapevamo, infatti, che viaggiare sul fiume di notte poteva essere molto pericoloso. Il capitano ci rispose affermativamente e ci fidammo. Partimmo prima del previsto e dopo un paio d’ore giungemmo all’entrata dello Swake River.

Privi di visuale, navigavamo completamente al buio, in una situazione molto pericolosa. In quel tratto non c’erano villaggi e se fossimo naufragati nessuno se ne sarebbe accorto.

Tutto sembrava procedere al meglio, senonché dopo qualche minuto di navigazione trovammo la via sbarrata da un’interminabile scia di tronchi. Tentammo in tutti i modi di superarli, ma quando rischiammo di restare bloccati decidemmo di svincolarci e giungemmo in un canale più largo. Dovevamo decidere se continuare o fare ritorno al punto di partenza. Il capitano disse che era meglio proseguire e, di nuovo, ci fidammo.

Il tempo passava e i canali si facevano via via sempre più stretti. Stava calando l’oscurità. Di lì a poco si sarebbe fatta notte e noi non eravamo provvisti di alcun lume. Privi di visuale, navigavamo completamente al buio, in una situazione molto pericolosa. In quel tratto non c’erano villaggi e se fossimo naufragati nessuno se ne sarebbe accorto.

Con questi pensieri in testa, e con qualche preghiera, avanzammo cercando di intuire la nostra posizione. Il capitano disse che secondo lui eravamo vicini all’entrata del grande canale che porta alla città di Warri, dunque in prossimità della meta. In una mezz’ora che sembrò eterna il motoscafo fece il suo ingresso nel canale più grande, dove nonostante l’oscurità potevamo comunque intravvedere qualcosa.

Dopo un’ora cominciarono finalmente a spuntare le luci della piccola insenatura in cui sorgeva il campo di Benny Boye. Ormai erano le dieci, ma per fortuna era andato tutto bene. E un’altra odissea era finita.

Giacomo Alpagotti

Giacomo Alpagotti

«Tante belle cose per le feste Natalizie e Capo d’anno»

Lettera alla madre scritta da Ferdinando e Apollonio Da Ronco, emigrati da Vigo di Cadore negli Stati Uniti.
Per gentile concessione della famiglia Nicolai.

Carissima Madre!
1909.
Hurley 29 Novembre
Noi stiamo bene e così speriamo sarà di voi e intera famiglia.

Si credeva di ricevere almeno un vostro rigo di questi giorni, ma giacché l’ora incalza e Natale s’avvicina, senza veder niente, abbiam voluto noi scuotere l’apatia e la pigrizia e rendervi partecipe di nostre nuove, ed anche di qualche sollievo pecuniario onde passare, come tutto fa sperare, le feste che s’avvicinano in armonia e pace, come di consueto, in tali occasioni. Qui tutto va meglio, cara madre; la prosperità, l’industria, ed il commercio aumentano sempre più, e l’occhio indagatore del finanziere prevede nel 1910 un grande impiego di mando d’opera con un adeguato compenso. Così le speranze deluse di tanti emigranti, potranno finalmente realizzarsi, che crediamo sarebbe quasi ora, dopo due anni di lungaggini e d’aspettative. Il tempo poi è pessimo da circa una settimana c’era un freddo e neve da gelare; ora fa quasi caldo, poiché la corrente d’aria viene dal Sud, e la neve s’è tutta sciolta.

«Così le speranze deluse di tanti emigranti, potranno finalmente realizzarsi, che crediamo sarebbe quasi ora, dopo due anni di lungaggini e d’aspettative».

Però cose passeggere, poiché il tempo qui è freddo ed originale, come gl’Inglesi, che ne abitano la terra in un’ora è capace condurvi dall’atmosfera quasi più calda, a quella più fredda. E giacché ci rammentiamo, il fotografo aveva ancora lastre fotografiche, per ritrarre la vostra fisonomia e quella della famiglia? Certo sì, ed io credo, che non farete a meno d’appagare nostre brame. Capite…. !

Novità qui niente; e là via?
È stato il terremoto in Cadore non è vero? Accluso qui troverete 3 vaglia postali; due da 100 dollari ed uno da 5 dollari. 
Con i 5 dollari, e con l’aggio degli altri 200 ne risultano lire 55.75 centesimi, delle quali potrete fare acquisto anche d’un po’ di vino, onde tenervi allegri.
Lasciando poi la preferenza ed il giudizio a voi che già lo sappiamo farete per bene.

Auguriamo tante belle cose per le feste Natalizie e Capo d’anno. Saluti a chi domanda di noi.
Appena ricevuto i denari scrivete.
Cordiali saluti a tutti di famiglia ed a voi un bacio di cuore dai vostri aff.mi figli Polonio e Nando.

Una piccola Belluno in Croazia

Sono nata a Pakrac, il comune di cui fa parte l’insediamento di Plostine, dove ho vissuto la mia infanzia e la mia giovinezza fino a quando mi sono sposata. A Plostine ho frequentato per quattro anni le scuole elementari (non c’era l’asilo), poi ho fatto i quattro anni delle medie a Pakrac. A scuola si parlava in croato. 

Mia mamma è croata, mio papà bellunese, per cui sapevo entrambe le lingue, ma ricordo che a Plostine c’erano dei miei compagni di classe che non conoscevano il croato, ma soltanto il dialetto bellunese. I primi emigranti avevano portato con sé solo il dialetto e perciò la lingua che si era tramandata alle generazioni successive era quella. Inoltre, tutti in paese, tra di loro, parlavano in dialetto ed è per questo che si è mantenuto nel corso del tempo. 

A scuola non eravamo in molti, c’erano circa dieci bambini per classe. C’erano anche bambini che venivano da Campo del Capitano, ma pochi perché lì c’era solo qualche casa. La gente a Plostine lavorava i campi, perché la terra è molto ricca, oppure andava a lavorare a Pakrac. 

La prima domenica di maggio, ogni anno si svolgeva la processione in paese, lungo la via. Era una tradizione portata avanti da molto tempo…

Mio papà, Ernesto Pierobon, aveva un bar, che si chiamava bar “Belluno”. Lo aveva aperto quando aveva circa venticinque anni, alla metà degli anni Sessanta, e vi ha lavorato fino alla pensione. All’inizio il bar si trovava dove aveva la casa, poi è stato spostato nella sede della Storica Famiglia Bellunese di Plostine. 
La prima domenica di maggio, ogni anno si svolgeva la processione in paese, lungo la via. Era una tradizione portata avanti da molto tempo. Con l’avvento del comunismo, però, era stata vietata la processione in strada e fino al ’93 la si faceva solo attorno alla chiesa. Dal ’93 si è ripreso a farla come una volta e c’è stata una grande festa per il ritorno di questa bella tradizione. 

Un’altra tradizione era la festa di Sant’Antonio, a giugno. Era la festa del paese. C’erano le bancarelle lungo la via, e ci si ritrovava in casa con tutti i parenti, che a volte arrivavano anche da Belluno. 

Il bar “Belluno” a Plostine

Da bambini, divertimenti non ce n’erano molti, si giocava in strada – macchine ne passavano poche e la strada è stata asfaltata quando io ero già grande – e con i giochi che ci costruivamo da soli. C’era molta collaborazione tra la gente, grande aggregazione e senso di comunità e il paese viveva in modo sereno. Alle feste si riunivano tutti e si cantava, c’erano addirittura due complessi musicali. La mattina di Capodanno, i musicisti, anziché andare a dormire, passavano di casa in casa per fare gli auguri e suonare qualche canzone, un tradizione che nel tempo si è persa. 

Quando c’era una festa, ad esempio un matrimonio, partecipava il paese intero e ci si ritrovava anche in quattrocento. Conservo un bellissimo ricordo del periodo della mia vita trascorso a Plostine.

Liliana Da Cas

Matrimonio a Plostine
Una processione religiosa dei bellunesi di Plostine, nel 1925 (immagine tratta da: Giuseppe De Vecchi, PLOSTINA – Un isola di Bellunesi in Slavonia – Storie di emigranti, 1987 – Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno)

Santa Barbara in Nuova Zelanda

Andai in Nuova Zelanda nel 1971, a lavorare per la Codelfa Cogefar al Tongariro Project. Lavoravo nelle gallerie. Avevo appena compiuto ventun anni, era la mia prima esperienza di emigrazione. Salire sull’aereo e fare quel lungo viaggio non fu facile, ma fu un’esperienza importante. Il tragitto fu lunghissimo: Roma, Bombay, Singapore, Sydney, Auckland. Viaggiai col DC-8.

Nei primi mesi fu un po’ dura con la lingua, era difficile comunicare, ma poi mi ambientai. Gli altri italiani che erano lì da prima di me mi aiutarono sempre. Eravamo soliti festeggiare, a dicembre di ogni anno, Santa Barbara. La tradizione iniziò nel 1967. Ricordo che un anno partecipò anche il Presidente della Nuova Zelanda alla cerimonia.

In quel cantiere lavoravano moltissimi bellunesi, da tutta la provincia, e a Santa Barbara era sempre grande festa, sia per noi che per i locali e per i lavoratori di altri Paesi. Veniva celebrata la Messa sul portale della galleria e poi, dato che lì in quel periodo è estate, si facevano delle grigliate con cibo italiano e vino Valpolicella.

Rimasi fino al dicembre del 1981, dieci anni e otto mesi. In tutto questo periodo tornai a casa solo due volte. Il viaggio era molto costoso, e poi lì stavo bene. Non avevo comunque nostalgia, non c’era tempo per averla.

Lavoravamo tra le undici e le dodici ore al giorno. Per comunicare con la famiglia spedivo delle lettere e telefonavo una volta all’anno. La prima chiamata a casa l’avrò fatta nel ‘78 o nel ‘79. Anche mio fratello lavorava lì, faceva il cuoco.

Dopo l’esperienza in Nuova Zelanda andai in Nigeria, dal 1982 al 1990. Poi rientrai in Italia fino alla pensione. Sono tornato in Nuova Zelanda nel 2013, ma non era più la stessa di quando ero lì a lavorare.

Ruggero Bortoluzzi

Minatori festanti in Nuova Zelanda

Mamma d’Italia 1970. Fornace ricorda la bellunese Anna Reolon

Una mamma speciale. Anche se un po’ riduttivo (come si vedrà), potremmo definire così Anna Reolon, bellunese di Visome emigrata in giovanissima età (a nove anni) nel Trentino. I genitori la affidarono a una nobile famiglia di Mattarello (Trento), presso la quale Anna – in cambio di lavori domestici – ottenne vitto e alloggio.

Nel 1906 si spostò a Fornace, accolta da una famiglia di contadini. Qui conobbe Domenico Lorenzi, figlio del suo datore di lavoro. I due si sposarono nella chiesa parrocchiale. Era l’ottobre del 1907, Anna aveva sedici anni. Fino a qui, niente di particolare. Poi la storia si fa eccezionale.

Perché Domenico e Anna ebbero ben diciotto figli: Ciro, Davide, Giuseppe, Matteo, Fortunato, Cesare, Cesarina, Romano, Costanzo, un altro Davide, Gildo, Giordano, fra Ilario, Enue, Luigia, Mario, Giovanna e Benito. I primi due, purtroppo, morirono in tenera età. Gli ultimi due – Giovanna e Benito – sono ancora in vita.

Anna, nata l’11 agosto 1891, affrontò un’esistenza di sacrifici e lavoro che nel 1970, su indicazione del Comitato Nazionale Femminile della Croce Rossa Italiana, le valsero il titolo di “Mamma d’Italia”. Ecco cosa riportava Bellunesi nel mondo del maggio di quell’anno:

«La festa della mamma di quest’anno resterà un ricordo indimenticabile per Anna Reolon in Lorenzi, la quale, domenica 10 maggio è partita per Roma per ricevere l’ambito riconoscimento di “Mamma dell’anno 1970”, alla presenza del Papa». E ancora: «Anna Reolon a settantanove anni, dopo una vita così intensa è una donna che ha saputo, per un giorno, ricordare agli italiani la fierezza e la forza delle donne e delle mamme bellunesi: un esempio che non può non aver commosso e riempito d’orgoglio noi bellunesi in patria e all’estero, perché Anna Reolon ha saputo percorrere una strada che è passata attraverso più di sessanta anni di emigrazione».

ll titolo dell’articolo pubblicato a maggio 1970 su Bellunesi nel mondo.

La “super mamma” morì il 14 febbraio 1984, a novantadue anni. Ma ancora oggi la sua storia è fonte di ispirazione e testimonianza di valori da preservare. Tanto che il 29 novembre scorso il Comune di Fornace ha voluto ricordare la propria concittadina intitolandole una sala pubblica.

Così ci ha scritto il sindaco, Mauro Stenico, nel darci notizia dell’evento: «Verso la fine del 2021 il signor Arrigo Postinghel, esperto conoscitore della storia e di molti aneddoti del nostro paese, mi consegnò una ricca documentazione giornalistica d’epoca relativa alla “Mamma d’Italia 1970”: la signora Anna Reolon, di Fornace. Il signor Postinghel, che era peraltro stato tempo addietro in visita presso il Municipio assieme al signor Benito Lorenzi, uno dei figli di Anna, mi chiese in quell’occasione di conservare il fascicolo di documenti presso gli archivi comunali, in modo da lasciarlo a disposizione di future generazioni eventualmente interessate a consultare testimonianze e atti relativi alla storia della nostra comunità. “Ottima idea!”, dissi e pensai immediatamente. Tuttavia, presto cominciai a riflettere se non si potesse fare qualcosa di più significativo per conservare la memoria di questa straordinaria donna. L’idea che sorse in me fu allora di intitolare una sala pubblica alla signora Reolon, a perpetuo ricordo. Ne parlai immediatamente con la Giunta, che valutò la proposta come un’iniziativa assai positiva. Tutti assieme, dopo aver vagliato diverse ipotesi, individuammo la sala pubblica della Scuola Primaria “Amabile Girardi” come spazio ideale per l’intitolazione. La struttura scolastica del paese avrebbe così conservato la memoria non soltanto della signora Amabile Girardi, ma anche, ex novo, di Anna Reolon».

Il Sindaco Stenico con i parenti presenti alla seduta consiliare di intitolazione

Oltre alla cura dei figli, ha raccontato il primo cittadino ripercorrendo la biografia della celebrata nel discorso tenuto all’evento di intitolazione, Anna si dedicò all’assistenza del suocero infermo. Nel secondo dopoguerra (al conflitto presero parte sette dei suoi figli – tre dei quali fatti prigionieri – oltre al marito Domenico, già tornato senza un occhio dalle battaglie del ’15-’18), fu obbligata dalle ristrettezze economiche e dall’assenza di lavoro a darsi al contrabbando. «Una volta a settimana si recava a piedi da Fornace a Taio (circa cinquanta chilometri), dove si incontrava con alcuni contrabbandieri svizzeri che recavano sigarette».

Le proprie cure la signora Reolon le offrì anche alla vedova e ai bambini di uno dei suoi stessi figli morto in giovane età, così come ai nipoti regalatile da un altro dei suoi figli rimasto vedovo.

Anna in una fotografia degli anni Settanta

«Nel corso degli anni Settanta – spiega ancora il sindaco – per la sua straordinaria devozione cristiana alla famiglia e al prossimo, nonché per le eroiche virtù di umiltà, bontà, fede e spirito di sacrificio, ella divenne un vero e proprio riferimento a Fornace (e non solo). La signora Reolon soffrì vari lutti per la morte di figli e familiari, ma ebbe numerose gioie per la nascita di molti nipoti e pronipoti». Ecco perché, «in ragione dei meriti, dei sacrifici compiuti, dell’eroismo e delle virtù dimostrate, il Consiglio Comunale di Fornace ha approvato all’unanimità la proposta di intitolazione della sala pubblica della Scuola Primaria “Amabile Girardi” ad “Anna Reolon (1891-1984), Mamma d’Italia”».

Le immagini ci sono state gentilmente concesse dal Sindaco di Fornace Mauro Stenico.