Archivio di Marzo, 2024

Un cadorino pioniere di Loretto, Michigan

di Luisa Carniel

Giuseppe Andrea Marinello, i cui genitori Antonio e Maria Antonia Agnoli erano originari di Valle di Cadore, nacque a Fiume nel 1868, proprio nell’anno in cui venne firmato l’accordo croato-ungherese secondo il quale la città istriana tornava sotto il controllo dell’Ungheria, divenendone così il principale emporio marittimo e portuale. 

Giuseppe prese fin da giovane la strada dell’emigrazione, che lo portò in Sud America e successivamente in Messico. Nel 1892 sposò, a Venas, Angela Gei, dopo di che partì per gli Stati Uniti, dirigendosi nel Michigan, dove divenne ben presto caposquadra della vecchia miniera di Loretto, nella contea di Dickinson. Si trattava di una miniera, ora non più aperta, che faceva parte dell’importante distretto minerario del ferro della zona di Vulcan. 

Giuseppe Marinello è considerato uno dei pionieri della zona di Loretto, dove rimase più di cinquant’anni, riuscendo a inserirsi molto bene nella società civile ed entrando a far parte di diverse associazioni. Stabilì una particolare amicizia con altri due emigranti italiani, tali Domenico Girardi e Fortunato Cristianelli, che si consideravano “compari” e che divennero padrini l’uno dei figli degli altri. 

La moglie Angela, classe 1865, dopo aver dato alla luce la loro prima figlia in Cadore (Maria, 1893-1978), emigrò anche lei a Loretto, dove nacque la secondogenita Pierina (1895-1958). 

Seguì un rientro temporaneo a Venas, dove nel 1897 nacque l’unico figlio maschio della coppia, Amedeo Giacomo, e un anno dopo ripartirono tutti per il Michigan, riunendosi così nuovamente al padre. L’anno seguente venne alla luce la piccola Olga (1899-1980) e nel 1904 fu la volta di Angela che, preso il nome della madre morta presumibilmente di parto, morì anch’essa nel settembre dello stesso anno, pare di colera. 

Successivamente Giuseppe si concesse un periodo di ritorno in Cadore che durò circa tre mesi.

A un anno di distanza dalla morte della moglie, Giuseppe si risposò con la vedova Maria Fedrizzi, con la quale ebbe altri sei figli. Diventarono un’unica grande famiglia alla quale Giuseppe fu in grado di assicurare una certa tranquillità economica.

Il capofamiglia morì nel 1944, quando l’ultimogenito Fred era di stanza in Corsica, impegnato nel secondo conflitto mondiale. Venne sepolto nel cimitero di Norway, poco distante da Loretto. 

Nel 1919 Olga e Amedeo aprirono la Marinello Grocery, un’importante attività commerciale della città di Caspian, sempre nella contea di Dickinson: un grande magazzino che fu attivo fino al 1961. 

Giuseppe Marinello posa con la moglie Angela e i figli Amedeo, Maria, Pierina e Olga.

Fiamme nella notte

Nella storia del lavoro negli Stati Uniti, pochi eventi hanno avuto un impatto significativo quanto l’incendio della fabbrica Triangle Shirtwaist, avvenuto il 25 marzo 1911 a New York. 

Da un lato la tragedia colpì duramente la comunità italiana immigrata, evidenziando le difficili condizioni di lavoro e le sfide che gli italiani affrontavano nell’America del tempo.

Dall’altro, segnò un momento cruciale, generando un’immediata risposta sociale e politica e portando a cambiamenti legislativi che avrebbero plasmato il futuro del lavoro nel Paese. 

La Triangle Shirtwaist Company era una fabbrica di abbigliamento situata nell’edificio Asch, al 23-29 di Washington Place, nel quartiere di Greenwich Village, a Manhattan. Impiegava principalmente giovani donne immigrate, italiane ed ebree dell’Europa orientale, spesso provenienti da famiglie disagiate. 

Il 25 marzo 1911, un incendio divampò nella fabbrica, causando la morte di 146 lavoratori e il ferimento di 71 persone, la maggior parte giovani donne. Le condizioni di lavoro precarie e la mancanza di misure di sicurezza nell’edificio contribuirono alla tragedia.

Le porte delle uscite di emergenza erano bloccate o chiuse per impedire ai lavoratori di fare pause non autorizzate o di rubare. Per questo motivo, diversi operai rimasero intrappolati all’interno dell’edificio in fiamme. Alcuni cercarono di fuggire gettandosi dalle finestre, molte delle quali troppo alte, con le reti di sicurezza che cedettero sotto il peso delle persone.

Il rogo scosse l’opinione pubblica e diffuse un’ondata di indignazione e proteste. Le indagini rivelarono gravi negligenze da parte dei proprietari della fabbrica, tra cui la mancanza di precauzioni antincendio e – appunto – la pratica di bloccare le vie di fuga.

Da questa catastrofe, tuttavia, ebbe avvio un processo di riforme legislative volte a migliorare le condizioni di lavoro e di sicurezza nelle fabbriche. 

Nel 1911, New York approvò nuove leggi che obbligavano le imprese a seguire rigide norme antincendio e ad assicurare la disponibilità di vie d’uscita libere in caso di emergenza. 

L’evento rafforzò inoltre il movimento sindacale, portando alla nascita di organizzazioni più forti e influenti. Ecco perché l’incendio della Triangle Shirtwaist è considerato un punto di svolta nel movimento operaio americano. 

Un giardiniere alla Cornell University di Ithaca

di Jacopo De Pasquale

Molto spesso dimentichiamo che la storia non è fatta solo da importanti personaggi o grandi eventi, ma anche dalle innumerevoli piccole esistenze che hanno costellato ogni epoca, non lasciando, a volte, alcuna traccia riconoscibile del loro passaggio. Quante persone, costrette dalle circostanze a scelte drastiche, a dolorose separazioni, sono state dimenticate non appena parenti e conoscenti sono a loro volta scomparsi? Ecco, la ricerca storica serve anche a questo: a dare voce all’inascoltato, per restituire dignità e spazio a coloro che, purtroppo, sono caduti nell’oblio. 

Rifletto su questi temi mentre scorro l’elenco delle persone giunte a Ellis Island il 5 aprile 1913 con la nave Taormina. Su quel transatlantico era salito, nel porto di Napoli, il 26 marzo 1913, il mio bisnonno materno, Agostino Campagna. Agostino è sempre stato, in famiglia, un personaggio avvolto nel mito e nel mistero. Padre di Orlando, l’unico dei miei nonni che non ho conosciuto, era morto nell’agosto del 1925 negli USA. Poche le notizie racimolate da mia madre. Era partito da Carpineto Romano a causa delle enormi difficoltà economiche che travagliavano nel dopoguerra l’Italia. Come tanti altri in cerca di fortuna nel Nuovo Continente. Come tanti altri, mai più tornato in patria, era morto laggiù, ad Ithaca, nello stato di New York, per un tumore alla gola.

Di lui restava una foto con l’abito della domenica e una lettera piena di amore per sua moglie Emma, la mia bisnonna. Niente altro, se non che, a detta di mio nonno Orlando, lavorava come giardiniere in una università locale e che aveva tentato, ripetutamente, di convincere la moglie a seguirlo. Lei però non acconsentì mai, a causa dei genitori anziani e bisognosi di cure. La sua vicenda mi aveva colpito. Partito per le lontane Americhe quando il figlio aveva pochi mesi, l’ho sempre immaginato come una persona vissuta sola e morta lontana da chi gli voleva bene e dalla sua amata terra. 

Agostino Campagna, a sinistra

Ma ecco che la fortuna, la passione per le antiche carte e soprattutto una amicizia nata tramite “Bellunesi nel Mondo” mi hanno consentito, almeno in parte, di disvelare altri aspetti di questa vicenda famigliare. Grazie alle scansioni dei documenti di accettazione al momento dello sbarco, presenti sul sito di Ellis Island, ero già riuscito ad appurare che Agostino non era partito da solo, ma con un suo cognato, tale Luigi Battisti, fratellastro della moglie Emma. Con loro erano presenti molti altri carpinetani, e questo mi ha indotto a ragionare sull’enorme importanza, in quegli anni, del fenomeno dell’emigrazione dalle regioni del Sud Italia.

Grazie ad altre ricerche online sono riuscito a scoprire che, ad Ithaca, vi erano moltissimi carpinetani, oltre duecento, che festeggiavano il santo patrono del paese, Sant’Agostino, e che avevano fondato un’associazione, “la Semprevisa”, a ricordo del monte che si staglia, assieme al Capreo, a ridosso del piccolo paese sui Monti Lepini. Giunto a questo punto della ricerca mi trovavo però in un’impasse: altre notizie non erano reperibili.

Ma il fortunato incontro, tramite “Bellunesi nel Mondo”, con Michela Zannini, bellunese abitante a Boston, patita di ricerche genealogiche, ha dato inaspettatamente, da oltre oceano, un nuovo impulso a questa mia piccola indagine. La prima notizia certa scaturita dalla sua ricerca si ricava da un documento che conferma il servizio svolto da Agostino presso l’università di Ithaca, la famosa Cornell University, fondata nel 1865, uno dei primi atenei americani a bandire pregiudizi di tipo razziale: proprio alla Cornell University si laureò, infatti, la prima donna di origine africana della storia degli Stati Uniti d’America.

Ma la notizia decisiva, ancora frutto del puntuale lavoro di Michela, emerge da un confronto tra l’archivio online, denominato Find The Grave, e i dati dell’ufficio Anagrafe del Comune di Carpineto: si tratta di un possibile riscontro nel Calvary Cemetery di Ithaca. L’intuizione è stata quella di verificare anche possibili errori di trascrizione del nome: è così che Agostino Campagna sarebbe diventato Agustaoi Camcagnio. 

Ad oggi, purtroppo, la tomba non è stata ancora rintracciata, visto il numero enorme di defunti presenti nei registri della parrocchia dell’Immacolata Concezione di Ithaca, ma non demordiamo. Nelle ultime settimane un costante scambio di mail, con annesse ricerche archivistiche, grazie anche alle più innovative banche dati, sta portando alla luce molte notizie altrimenti impossibili da recuperare a causa della distanza e della lingua. Ma non servono anche a questo le fonti archivistiche, oltre che a raccontare la “grande” storia? Storia che, disciplina essenzialmente democratica, se raccontata e disvelata con passione e competenza, può conferire dignità e luce a tante piccole vicende dimenticate, come quella di Agostino Campagna. 

P.s.: qualora ci fossero notizie sull’individuazione della sepoltura, sarà nostra cura informarne gli appassionati lettori.

Una cartolina d’epoca di Carpineto

Vista della McGraw Tower con Uris Library, Morrill Hall e il Lago Cayuga, di Dantes De Montecristo, con Licenza Creative Commons

L’emigrante bellunese più longeva

di Luisa Carniel

Con i suoi 109 anni di età, buona parte dei quali vissuti negli Stati Uniti, Teresa Santa De Donà Cesarol può essere considerata tra le più longeve emigranti del Bellunese. Nata a Lorenzago il 10 marzo 1890, figlia di Ettore e di Giovanna De Lorenzo Nodare, si è spenta nella sua casa di Vassar, nel Michigan, il 18 novembre 1999.

Nel 1920 affrontò sulla nave America il viaggio transoceanico durato una decina di giorni e che portò al di là dell’oceano tanti emigranti cadorini: lei intese raggiungere il fidanzato Agostino Tremonti, che sposò a Detroit di lì a qualche mese.

Agostino, figlio di Nicomede Cecol e Luigia Fabbro Tauron, era nato a Lorenzago nel 1889 ed inizialmente aveva raggiunto il West Virginia per lavorare nelle miniere di carbone con il padre e i fratelli Pietro e Silvio; fu proprio con questi due fratelli che Agostino si spostò poi nel Michigan, dove comprò una grande fattoria nella fertile terra nei dintorni della cittadina di Vassar, nella contea di Tuscola.

Fece quindi arrivare in America la promessa sposa, la quale fu felice di continuare la sua vita contadina anche al di là dell’oceano. I nipoti concordano nel dire che si espresse sempre e solo in dialetto cadorino, fece poca vita di comunità (pare sia andata in città non più di quindici volte nella sua vita), ma si dedicò interamente alla sua famiglia, alla coltivazione degli ortaggi e dei fiori, all’allevamento di galline e conigli.

Questi elementi erano per lei uno stile di vita, proprio come in Italia. Non era poi insolito che Teresa dedicasse due o tre ore alla preparazione di ogni pasto, continuando a cucinare sul fornello a legna acquistato quando lei e Agostino si erano sposati.

Non mancò tuttavia la malinconia per la sua terra lontana, tanto quanto la sofferenza per aver lasciato i genitori e i tanti fratelli in Cadore, dove non riuscì mai a ritornare, nemmeno per un breve periodo.

Quello che le mancava di più era il calore dei rapporti interpersonali. «In Italia tutti siamo famiglia», affermava Teresa, «mentre una cosa che ho capito qui in America, soprattutto durante gli anni della Depressione, è che ognuno pensa per sé».

Agostino e Teresa ebbero quattro figli: Eli, Luigia, Giovanna e la primogenita Eva, che morì a 17 anni a causa delle complicazioni seguite a un’operazione di appendicite.

Agostino morì nel 1981, dopodiché Teresa visse con il figlio Eli e la nuora Virginia, attorniata anche dalle altre figlie, oltre che da tre nipoti, cinque bisnipoti e ben otto trisnipoti.

Teresa Santa De Donà

La vita dell’emigrante

Guido Battiston nacque a Belluno il 18 gennaio 1936, in una famiglia modesta e semplice. Il papà faceva il boscaiolo. Purtroppo, durante la Seconda guerra mondiale, nel 1944, Guido e il fratello Arduino rimasero orfani di padre. Guido aveva solo otto anni. La sua infanzia sarà segnata dal sacrificio. 

A diciotto anni, nel 1954, Guido raggiunse Arduino a Muttenz, in Svizzera, e iniziò a lavorare presso la ditta Marti. Nel 1964 passò alla Walo, dove rimase fino alla pensione. Lavoratore stimato e benvoluto da tutti per il suo impegno, per la sua bontà d’animo e per la sua esperienza, ben presto gli venne affidato il compito di caposquadra. Poté così aiutare tanti operai emigrati.

La vita di Guido fu piena di sacrifici… la vita dell’emigrante!

Nel 1967, dopo varie vicende e disgrazie famigliari, Guido conobbe la futura moglie, Lucia Lovat, proveniente da una famiglia numerosa di Belluno, emigrata in Svizzera a diciott’anni, ma con il ricordo delle origini sempre vivo in lei. 

Nel 1968 i due si sposarono in Italia, a Meano di Santa Giustina. Dal loro amore nacquero due figli: Felice, nel 1969, e Andrea nel 1971. Lucia e Guido trasmisero loro i valori più importanti, come la giustizia, la lealtà, la sincerità.

La vita di Guido e Lucia fu tutta lavoro e famiglia. Famiglia per la quale si sacrificarono e alla quale dedicarono tempo e amore, ricevendone in cambio la soddisfazione di vedere i due figli studiare e raggiungere un titolo di studio invidiabile. 

Guido fu un uomo semplice, dal carattere buono, silenzioso, intuitivo, sempre disponibile e sempre pronto ad aiutare. Un uomo concreto, di poche parole, ma di tanti fatti, capace di andare d’accordo con tutti, con tanti amici, sempre impegnato nella comunità. Collaborò infatti con la parrocchia e con la Missione Cattolica, offrendo gratuitamente i suoi preziosi servizi, con il centro ricreativo e soprattutto con la Famiglia Bellunese di Basilea, come consigliere e come Presidente. 

Con l’hobby del giardinaggio, gli piaceva anche fare il vino e i salami, per poi condividerli con gli amici. 

Con fede convinta nei valori umani e cristiani, ogni sera recitava le sue preghiere, passando in rassegna le foto dei suoi cari. Aveva una preghiera e un pensiero per tutti: per la moglie Lucia, per i figli, per le nuore Ramona ed Emanuela, per i parenti. 

Guido e Lucia adoravano in modo particolare le nipotine Ilena e Fiona. La fede fu molto radicata anche in Lucia, assidua praticante. Il suo carattere sensibile e generoso la portò a essere pronta a fare sempre del bene a tutti. Fu molto attiva nella Missione di Basilea città e continuò a collaborare anche quando don Mario Slongo fondò la Missione di Muttenz – Birsfelden – Pratteln. Lucia era forte, non si lamentava mai per non pesare sulla famiglia. Prendeva tutto con filosofia e un senso dell’umorismo che la aiutava a superare gli ostacoli della vita.

Nella vita di Guido non è mancata la sofferenza, dovuta a diversi infortuni e malattie che però ha saputo affrontare con coraggio, sostenuto dall’affetto dei suoi cari, soprattutto dalla presenza premurosa della moglie Lucia, supportato anche dalla preghiera, dalla forza della fede semplice ma vera, e dalla sua voglia di vivere.

Purtroppo, lo scorso 3 settembre, Guido è stato stroncato da un infarto e ci ha lasciato per sempre. Siamo qui per ringraziarlo di tutto il bene che ha fatto e seminato. Guido è entrato in paradiso con le mani piene di amore.

Anche Lucia purtroppo non è più tra noi. La comunità sentirà moltissimo la sua mancanza. Ci rimane nel cuore il suo sorriso. Cercheremo di stare più uniti come lei desiderava. Ora è con il suo caro Guido. 

Teresina Cassol

Partenze di massa di emigranti.
(Per gentile concessione dell’Associazione Giuliani nel Mondo)