Storia di un sognatore – seconda parte
La prima parte è disponibile QUI.
Non ci sono giornali, non ci sono stamperie, però le pasquinate scritte a mano si affiggono sulle pareti di questa o quell’osteria con il beneplacito del padrone. Capraro non si scompone; non reagisce come Marforio. Usa mezzi più drastici: compera l’osteria e assiste, con un sorriso sardonico, allo sfratto. Certo, non sono operazioni gentili, però non c’è tempo per incertezze o tentennamenti.
Si arriva così al tempo della Prima guerra mondiale. Capraro, da buon patriota, convince e recluta vari volontari che partono per l’Italia e per i fronti. La festa di addio si svolge con vari canti e auguri. Qualcuno, purtroppo, non ritornerà. I nemici di Capraro approfittano anche di questi fatti per criticarlo e calunniarlo. «Manda gli altri!», dicono, «però lui non ci va!».
Capraro stavolta non ci bada. Non ne vale la pena…e poi lui ha passato già i quarant’anni.
Con frequenza deve viaggiare nella capitale, Buenos Aires, e allora visita ministri, segretari e ministeri, con progetti e sogni per ingrandire Bariloche, per convogliare alla zona dei laghi turisti e amanti della montagna.
I progetti vanno a terminare nei cassetti, con vaghe promesse. Poi cambia il governo (cosa frequente in Argentina) e bisogna ricominciare da capo la via crucis da un ministero all’altro. Capraro non si scoraggia. Altre volte arrivano personaggi illustri, come Teodoro Roosevelt, il principe di Galles e il duca di Kent.
Verranno pure scrittori e giornalisti, come Ada Elflein e Ernesto Morales. Allora il giornale “La Nación” si abbellirà con fotografie e scritti descrivendo la zona dei laghi, ma sarà solo uno sprazzo di luce perché poi tutto si ferma: Bariloche è troppo lontano.
Capraro inventa altre cose. Un bel giorno si diffonde una notizia strabiliante. Vicino a Bariloche, nella laguna Epuyen, è stato visto un plesiosauro. Immediatamente si forma una spedizione capitanata da Clemente Onelli, romano, direttore del giardino zoologico di Buenos Aires.
Con lui viaggiano giornalisti, fotografi, scienziati, ecc. ecc. La comitiva visita il lago, lo scruta, lo scandaglia… niente da fare. Il plesiosauro è sparito. Visitano allora (e descrivono) la zona e continuano a cercare. Poi la spedizione, sconfitta, ritorna a Buenos Aires. Nessuno, però, avverte come Capraro se la rida sotto i baffi, con sbirciatine d’intesa con Clemente Onelli. Saranno stati d’accordo? Sarà stata tutta una farsa? Non si saprà mai. Quello che a Capraro interessava era che i giornali parlassero della zona e raggiunge il suo scopo: i giornali parlarono.
A quell’epoca Bariloche era cosmopolita. C’erano italiani, tedeschi, austriaci, svizzeri, francesi, danesi, inglesi, nordamericani, spagnoli, cileni, argentini (pochi)… e Capraro molte, moltissime volte, è padrino di nozze o di battesimo. Le feste, per tali eventi, sono veramente feste: piene di allegria, di buon umore, di canti. Voleranno anche degli scappellotti, ci scapperà qualche coltellata (è di moda) ma poi tutti si rappacificheranno senza rancori.
Il caso è differente quando ci sono battesimi. Siamo in guerra e se il neonato è figlio di tedeschi il nome da imporre sarà Guglielmo o Francesco Giuseppe. Oppure, se è figlio di italiani, sarà Vittorio, Giorgio, Alberto, o con nomi più simpatici come Trento.
È il 4 ottobre. D’un tratto si sente un colpo e un tonfo. Nel mezzo della stanza sta Primo: è caduto…
La difficoltà della scelta sorge quando il bambino è figlio di padre svizzero-francese e di madre svizzero-tedesca. La Svizzera è neutrale da secoli e non ha nulla a che vedere con la guerra. Come si chiamerà il bambino? Capraro salva capra e cavoli: lo chiama Neutral! E il nome rimane.
È finita la guerra. Arrivano nuovi emigranti e Bariloche si rinforza con altri nomi italiani, bellunesi e castionesi: De Barba, De Col, Candeago, Dal Farra, Della Gasperina, De Pellegrin, Fant e tanti, tanti altri.
Bariloche continua a crescere e le forze avversarie pure. Capraro sente già il peso degli anni e delle responsabilità e comincia a notare degli sgretolamenti.
Capraro è contrattista delle ferrovie dello stato. Già ha costruito il ponte sul Rio Negro, tra Patagones e Viedma. Il treno si avvicina, giorno per giorno, a Bariloche. Il treno! È sempre stato il sogno di Capraro portare il treno a Bariloche, e ora sta per vederlo realizzato.
Ha preso l’incarico di costruire la scarpata da Comallo al Nahuel Huapi. Gli impegni sono ogni giorno più rischiosi. Deve moltiplicarsi per realizzare ciò che si è proposto, senza tener conto che il giorno ha solamente ventiquattro ore e che il calendario non si può stirare. Ogni sforzo ha il suo limite e ogni illusione pure. Passare oltre è un delirio. Non si può stare nello stesso tempo a Pilcaniyeu sorvegliando i lavori, al municipio di Bariloche per attendere ai doveri della carica, al Correntoso per affari personali e a Buenos Aires per reclamare paghe arretrate, paghe che lui ha già abbonato agli operai di sua tasca.
L’anno 1930 è un anno disastroso per le finanze di tutto il mondo e gli effetti si sentono pure a Bariloche. Le paghe tardano e gli operai protestano. Capraro, ancora una volta, le affronta a sue spese, e a sue spese affronta, per accelerare il tempo, la scarpata dal ponte sul torrente Nirihuau a Bariloche. È la fine, però lui non si arrende. Farlo sarebbe dimostrare debolezza e questo può permetterselo chiunque, però non lui. E continua a lottare. Gli ostacoli si moltiplicano. Quello che ieri sembrava un nonnulla oggi si converte in una montagna di difficoltà.
La scarpata arriva fino a Bariloche; anche le rotaie ci sono. Manca solo il treno, testimonianza irrefutabile del suo spirito di impresario, commerciante, industriale, agricoltore, politico, edile e lavoratore. Sembra ormai che abbia vinto, sembra ormai che il suo sogno si converta in realtà.
Arriva così il mese di ottobre del 1932. Capraro sente che c’è qualcosa che non va, qualcosa che non cammina, che lo ha tradito e si ritira al Correntoso, nella sua casa in mezzo ai boschi e in riva al lago, solo.
È il 4 ottobre. D’un tratto si sente un colpo e un tonfo. Nel mezzo della stanza sta Primo: è caduto, caduto per sempre. Tra le mani ha una rivoltella che ha reso possibile il suo passaggio all’eternità. È sua? È stato lui a spararsi? È stato un altro? Non si saprà mai.
Noi pensiamo: come è possibile che lui, l’indomito, l’invincibile, si sia lasciato vincere, abbia ceduto alla debolezza?
Capraro è sparito ma il suo spirito rimane! Rimane, squilla perenne della sua figura, del suo amore per il lavoro, per la Patria Italia e per la Patria Argentina, ma soprattutto per San Carlos de Bariloche, meta dei suoi sogni, vero paradiso terrestre in Argentina, scoperto e fatto conoscere al mondo da lui, Primo Capraro.
Bariloche lo ricorda ogni anno. Una strada, la diagonal Capraro, una scuola, quella dell’Associazione culturale Germano-Argentina, e un monumento, dichiarato monumento nazionale. Da quest’ultimo Capraro guarda, giorno e notte, il lago Nahuel Huapi, il suo lago, e sorride quando vede le acque azzurre riempirsi di vele e di imbarcazioni e migliaia e migliaia di turisti che, passandogli davanti, rispettosamente lo salutano.
