Un uomo colto a difesa dell’italianità in Brasile
di Luisa Carniel
Costante Giovanni Battocchio, detto Gino, nacque a Feltre il 15 novembre 1872, ultimo dei sedici figli di Bernardo e Giovanna Masi, ambedue originari di Cimadolmo. Dopo aver conseguito presso l’Università di Padova il diploma di laurea in Filosofia e Lettere e, a distanza di qualche mese, anche quello in Lettere, egli ricoprì per undici anni l’incarico di insegnante presso il ginnasio comunale della sua città natale.
Nel 1907 fu trasferito alla nuova scuola commerciale, dove impartiva lezioni di Diritto, Geografia ed Economia. L’anno seguente tentò il concorso a Roma per diventare professore universitario ma, nonostante un ottimo piazzamento, non riuscì ad avere il posto e così il Ministero degli Affari Esteri gli propose di diventare maestro-agente consolare a Bento Gonçalves. Egli accettò e nel 1909 salì a bordo del vapore Regina Elena con un biglietto di prima classe per trasferirsi definitivamente in terra brasiliana.
L’anno seguente si sposò con Iole Bott, figlia di un facoltoso commerciante della città riograndense, con la quale ebbe un’unica figlia, Maria Elena. Gino Battocchio riuscì ad integrarsi molto presto nella comunità brasiliana, partecipando alla fondazione del giornale denominato Bento Gonçalves e diventando gerente della filiale della Banca Pelotense già dal 1912.
L’attività più importante di Battocchio fu comunque a favore della diffusione della cultura e della lingua italiana nel Brasile meridionale, che lo portò ad insegnare in diversi ginnasi statali maschili e femminili, in particolare di Porto Alegre. Nella capitale del Rio Grande avviò anche una fruttuosa collaborazione con la società Dante Alighieri, l’istituzione nata nel 1889 per opera di Giosuè Carducci con lo scopo di tutelare e diffondere la cultura italiana nel mondo.
In accordo col Governo italiano, Gino Battocchio diresse e fu protagonista attivo di numerosi corsi di lingua italiana a favore dei nostri connazionali residenti là ma anche di studenti brasiliani, che volevano avvicinarsi alla nostra lingua; in queste lezioni Battocchio esaltava la cultura italiana ma riconosceva altresì come fosse comprensibile che gli emigranti si sentissero ugualmente a casa vivendo in Brasile, dove molti avevano formato una famiglia «… sotto questo cielo che benedice tutti, su questa terra che offre i suoi frutti a tutti».
Aprire nelle scuole corsi di lingua italiana esprimeva, secondo Battocchio, un duplice sentimento: l’amore per la terra natale ma anche per la patria adottiva, perché identificava nella lingua il segno più bello di una nazione e la cultura come importante elemento di coesione della nazionalità, dell’unità di un popolo, del suo livello di civiltà e della nobiltà dei suoi ideali.
Competenza, pazienza e abnegazione erano qualità che venivano sovente riconosciute a Gino Battocchio, che sapeva attrarre sempre un gran numero di studenti alle sue lezioni, persone di tutte le classi sociali che poi gli erano molto riconoscenti per il suo grande impegno. I corsi erano gratuiti per gli iscritti e solitamente erano svolti con due lezioni a settimana da febbraio a novembre, quando si concludevano con una cerimonia alla presenza delle autorità e della stampa locale.
Generalmente si teneva anche una cerimonia ad inizio anno scolastico e la lezione inaugurale era affidata sempre a Battocchio, che esaltava l’importanza della lingua italiana nel corso di studi umanistici e lasciava alle autorità scolastiche presenti esprimere la soddisfazione per l’interesse suscitato negli studenti.
Uomo di vasta e solida cultura, Gino Battocchio fu autore, già in Italia, di numerose pubblicazioni come critico storico e letterario; fu inoltre sempre impegnato nel tenere pubbliche conferenze sull’emigrazione italiana, oltre che su temi letterari e storici.
Corrispondente per diversi giornali italiani, Battocchio curava anche una rubrica sul quotidiano Stella d’Italia, pubblicato a Porto Alegre dal 1902 al 1925, di cui fu anche azionista. Nei suoi articoli, che firmava con lo pseudonimo di Italicus, difendeva con forza l’insegnamento della lingua italiana, oltre a incoraggiare la partecipazione degli italiani e dei loro discendenti alle varie società italiane sparse per lo Stato. Espressione del suo tempo e alle dipendenze del governo fascista, nelle sue lezioni e nei suoi articoli esprimeva compiacimento per l’opera di Mussolini e per la sua politica coloniale.
Afflitto da seri problemi d’asma che lo costrinsero a ritirarsi dal lavoro e sostenere ingenti spese per la sua cura, visse i suoi ultimi anni nel centro di Porto Alegre, dove morì il 14 gennaio 1949, a 77 anni. Lasciò la vedova in ristrettezze economiche e solo molti anni dopo la donna ricevette una forma di sostentamento per sé e per la figlia, che soffriva della stessa malattia del padre e che morì nel 1987.