Una famiglia di gelatieri

Oltre a guardare avanti e dare sempre il meglio di noi stessi, credo sia importante guardare anche indietro e conservare il nostro passato, o meglio quello dei nostri genitori, nonni, bisnonni. Mantenere viva la memoria, come un fuoco che arde di continuo, senza mai fermarsi. Dare voce a una parte del nostro essere, per ricordare chi sono stati i nostri avi e raccontare un po’ della loro vita.

I gelati, come gli occhiali, sono sempre stati i simboli del Bellunese, della nostra cultura, della nostra gente, e hanno dato lavoro a tantissime persone che hanno fatto conoscere all’estero l’aria e il profumo delle nostre montagne. La freschezza dei gelati riportava ai rigidi inverni e il sorriso dei gelatieri, che servivano i coni pieni di crema, rimandavano alla bellezza delle cime infuocate dai tramonti.

Nelle fredde città della Germania, lungo le vie percorse da grandi palazzi ottocenteschi e dal viavai dei tedeschi che camminavano guardinghi con un giornale in mano per i marciapiedi, si vedeva una specie di negozio, con un’insegna scritta in tedesco che riportava i nomi delle nostre montagne, come “Pelmo”, “Cristallo”, e cognomi bellunesi come “De Lorenzo” o ”De Pellegrin”, o ancora nomi come “Freddi Desideri”. Ma non erano negozi, erano le gelaterie dei nostri avi, gelaterie che davano un senso di amicizia, fratellanza e dove si ritrovavano i tedeschi di qualsiasi età per gustare la bontà dei gelati, con un’infinità di gusti a disposizione.

Anche io sono nipote di gelatieri. Il mio prozio Wiliam da giovane andò in Germania, assieme a una sorella, a fare i gelati. Lavoravano nella stessa gelateria. Poi, una volta tornato a Feltre, imparò il mestiere del barbiere da un certo Pietro, che aveva il negozio in piazza Isola, e quando non aveva ancora la macchina si faceva tutto il tragitto in bicicletta da Fonzaso a Feltre, nove chilometri andata e ritorno ogni giorno e con qualsiasi tempo. Fino a quando, presa la macchina e fatta un po’ di esperienza, si aprì un suo negozio a Feltre, vicino alla stazione, dove ancora oggi i figli portano avanti il suo lavoro.

Si può dire che tutta la sua famiglia è formata da gelatieri. Mia nonna (sua sorella), un altro fratello e altre sorelle, tutti presero la via dei gelatieri. All’inizio, quando avevano quattordici anni, partivano con delle famiglie zoldane, da Forno, e andavano a fare le stagioni nelle gelaterie in Germania o a pochi chilometri dall’Olanda, e se ne stavano lontani da casa da fine febbraio a inizio ottobre, quando iniziava l’inverno.

Mia nonna mi raccontava che i suoi quindici anni li compì proprio in Germania. Di sera la padrona la portava in giro per Francoforte, con tutti i negozi chiusi e un silenzio assordante. Era l’unico momento libero che aveva perché nel resto del tempo era impegnata a lavorare in gelateria.

Un’altra cosa che mi diceva era che la padrona la obbligava a tagliarsi i capelli, perché per quel mestiere non dovevano essere lunghi, e che il giorno prima di partire per la Germania andava a dormire nella casa dei padroni a Forno di Zoldo e vedeva il Pelmo, che si mostrava con tutta la sua maestosità e bellezza sopra il paese. Il ricordo di questa montagna ce l’ha sempre avuto nel cuore, e ancora oggi ne parla con fierezza e ammirazione.

Matteo Pizzeghello

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