Una giovane emigrante martire
Angelina Zampieri nacque il 28 dicembre 1898 a Visome di Belluno, in una povera famiglia di mezzadri originari di Polentes, trasferititisi lì in cerca di lavoro. Il lavoro però scarseggiava, così alcuni parenti in Francia, per alleggerirli economicamente, si offrirono di ospitare e far studiare una delle loro figlie. La scelta cadde su Angelina, che così visse in Francia alcuni anni e frequentò con ottimi risultati la scuola.
Nel 1910 ritornò in famiglia, ma nel frattempo la situazione economica si era fatta ancora più difficile. Nel 1912 fu pertanto costretta a ripartire, assieme a una folta schiera di ragazze che dalla Valbelluna e dal Cadore confluivano nella città di Trento per essere impiegate nel lavoro dei campi o come domestiche: erano le cosiddette “ciòde”.
Angelina fu assegnata come domestica in casa di un falegname vedovo, Bartolo Moggioli, abitante a Povo. Svolse il suo lavoro con molto impegno e diligenza, tanto che venne da lui richiesta nuovamente per l’anno successivo. Questa volta, però, Angelina – che si era fatta intanto una piccola donna – si accorse ben presto che l’atteggiamento del falegname nei suoi confronti era cambiato e che si era invaghito di lei. Si sentì in pericolo e così, nonostante le insistenze dell’uomo affinché rimanesse, riuscì ad andarsene e a trovare lavoro a Trento città, in Via Torre Verde.
Il falegname, tuttavia, non ci mise molto ad avere il suo nuovo indirizzo e iniziò a scriverle lunghe lettere, a inviarle doni e ad appostarsi nelle vicinanze della sua abitazione per osservare i suoi spostamenti. Fino a che, il 23 luglio 1913, mentre Angelina si era recata al fiume per lavare il bucato, riuscì ad avvicinarla e a chiederle nuovamente di tornare da lui.
Dopo il suo ulteriore rifiuto, la rincorse fino a casa, riuscì a fermarla prima che salisse le scale e raggiungesse il pianerottolo e infierì su di lei con diciassette coltellate. Poi prese dalla tasca una rivoltella e si sparò un colpo alla tempia.
Angelina venne portata in ospedale, dove spirò, a soli quattordici anni, il 24 luglio 1913, alla presenza del sacerdote don Giuseppe Rigotti, al quale lasciò delle parole di perdono nei confronti del suo assassino. La madre, avvisata con un telegramma, non riuscì ad arrivare in tempo per vederla viva.
Il funerale si svolse sontuosamente nel Duomo di Trento. Fu sepolta nel Cimitero Monumentale, dapprima nel campo comune, proprio accanto alla fossa dove era stato sepolto il suo assassino, e successivamente, grazie a una colletta tra la popolazione, in un loculo privato sotto ai portici. Davanti alla lapide venne posto un candelabro con una fiamma che fu tenuta per anni costantemente accesa grazie alla gentilezza e alla premura dei cittadini di Trento.
Dimenticata poi per molto tempo, negli anni Sessanta don Paolo Pescosta, Arciprete di Limana, decise di ridare luce alla sua figura, facendo aprire a Limana una sala parrocchiale a lei dedicata, benedetta il 21 gennaio 1961 dal Vescovo Gioacchino Muccin. Il 13 febbraio 1972 le sue spoglie furono traslate dal cimitero di Trento a quello di Limana, e deposte in una tomba ricavata nel basamento della grande croce centrale.
Non erano destinate a rimanervi a lungo. Qualche anno dopo, infatti, la sua tomba fu violata e le sue spoglie trafugate da alcuni vandali. Ora, purtroppo, di questa giovane emigrante martire, che visse gran parte della sua breve vita lontana dagli affetti familiari e fu vittima di un uomo accecato dall’“amore” per lei, può rimanere solo il ricordo.
Silvia Deon