I bambini e l’emigrazione
di Luisa Carniel
Sono passati novant’anni, ma lei lo racconta come fosse successo ieri. Elsa, infatti, rievoca situazioni, nomi, emozioni con tale lucidità ed esattezza di particolari che solo le sue esatte parole possono restituire al lettore ciò che ha vissuto.
Sono nata a Pren di Feltre nel 1928; mio padre Vittorino mi ha visto per la prima volta in Francia quando avevo diciotto mesi e mi sono trasferita là con mia mamma Adele.
Abitavamo a Gargenville, una quarantina di chilometri da Parigi, e lui lavorava nella storica fabbrica di cemento Poliet et Chausson; con il suo stipendio manteneva la sua famiglia in Francia e riusciva anche a mandare i soldi ai suoi genitori qui in Italia.
Ricordo che la nostra casetta faceva parte di una fila di dieci, tutte uguali e costruite lungo una via chiusa in fondo, che ne aveva altre dieci sul lato opposto; lì vicino scorreva la Senna e noi andavamo sulla riva a prendere il sole e giocare. A Gargenville sono nati i miei fratelli Albertina, Angelina e Beppino; poi a Pren è venuta al mondo l’ultima sorella, Elda.
Sono stata in Francia una decina di anni, dal 1929 al 1939, per cui ho frequentato là le scuole elementari, facendo fino alla quinta; in realtà avrei dovuto fare anche la sesta, ma poi c’è stato il rientro in Italia per via della guerra.
Mi piaceva andare a scuola ed ero anche brava: ricordo che istituivano dei premi per gli alunni più meritevoli, io ho avuto più volte il premier prix, ma tutti dicevano che avrei avuto il diritto di prendere il premio superiore, il prix d’excellence. Ma ero straniera, forse era quello il problema.
La mia maestra, un’anziana zitella che proprio quell’anno faceva il suo ultimo anno di servizio, un giorno rivolta a me ha detto «saloperie des macaronì» (italiani sporcaccioni); io mi sono sentita tremendamente offesa e sono corsa a riferirlo alla mamma, che ha preso coraggio ed è andata a lamentarsi dal preside, ma non ho mai saputo cosa ne è sortito.
Nonostante questo episodio, stavamo bene in Francia; ricordo che la mamma comprava libri in francese che leggeva con tanta passione. I miei genitori tra loro parlavano il dialetto e anche a noi bambini si rivolgevano con quell’idioma, noi però rispondevamo in francese.
Ricordo che andavo a comprare i quaderni per la scuola da madame Salle; lì ho fatto la prima comunione con un vestito stupendo che mi aveva comprato la mamma recandosi in un’altra città. Attendevamo felici il sabato perché la mamma portava me e le mie sorelle al cinema, mentre il papà accudiva il fratellino più piccolo.
Quando siamo rientrati dalla Francia, a Parigi c’è stato l’allarme antiaereo: all’improvviso siamo stati tutti al buio e io ho avuto tanta paura. Ma poi tutto è andato bene.
All’arrivo in stazione a Feltre è venuta a prenderci l’Augustona col carro e la sua asina Gina: era una donna robusta che ogni giorno scendeva a Feltre da Vignui e riportava ai due negozi del paese pane e altri generi alimentari, dando un passaggio a chi ne aveva bisogno, questo prima dell’arrivo della corriera.
In casa nostra c’era ancora l’illuminazione con le candele, ma mio papà ha provveduto subito a far allacciare l’abitazione alla rete elettrica.
Al ritorno a Pren mi hanno messo in classe terza; avevo la maestra Bacchetti di Sospirolo, la quale ha suggerito ai miei genitori di non permetterci di parlare il francese. In un mese sono passata alla quarta. I primi tempi avevo tanta nostalgia della Francia e non è stato facile ambientarmi al paese. Anche le montagne sembravano togliermi il fiato.
Eravamo sicuramente poveri, ma non ci è mai mancato niente: durante e dopo la guerra mio padre lavorava in miniera o nei cantieri e mia mamma arrotondava facendo la sarta, ricevendo in cambio non soldi ma beni di prima necessità. A quattordici anni ho iniziato ad imparare il lavoro di sarta.
Volendo fare una bilancio, devo dire che in Francia sono stata bene e anche dopo a Pren, ricordo una bella infanzia, con una famiglia stupenda nella quale la felicità era volersi bene.