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America chiama Fonzaso

Lettera scritta da Caterina Minella alla madre, dalla città di Joliet, capoluogo della Contea di Will, nello stato dell’Illinois, Stati Uniti d’America. Missiva spedita a Fonzaso.
(Per gentile concessione di Luigi Cambruzzi)

Joliet, 8 marzo 1932

Mia Cara Madre,

Anche questo anno siamo prossimi alle Sante Feste Pasquali e con tutto l’affetto ed amore che una figlia può avere verso la sua propria Madre, io vi auguro di tutto cuore che il Signore vi conceda la grazia di potere passare queste Sante Feste felici e contente, e perché possiate passarle non soltanto spiritualmente bene ma anche corporalmente, vi spedisco per mezzo della Bancha di Napoli Lire cento, come vi ho promesso nell’ultima mia lettera che vi o spedito insieme alle fotografie delle mie figlie Enrichetta ed Emma, e che spero le avrete già ricevute, e con questo pochi denaro procurerete di aiutarvi nei vostri più necessari bisogni.

Non dubitate Mia Cara Madre, che mai mi dimenticherò dei miei doveri che ò verso di voi, e sempre procurerò di fare qualunque sacrificio per poter venirvi in aiuto nei vostri bisogni, e voi dal conto vostro cara Madre procurate di farvi coraggio più che potete e di non stancharvi di preghare il Signore sia per voi che per tutti i vostri cari perché tutti ne abbiamo bisogno e perché conceda a tutti noi la grazia di giungere e celebrare santamente le Sue Sante Feste Pasquali, e Lui non mancherà certamente di esaudire le preghiere di una Madre che supplica e prega per il bene spirituale e corporale dei suoi figli.

… viviamo nella speranza che presto questi benedetti lavori abbiano da cominciare per sollevare dai bisogni tante povere famiglie che si trovano in miseria.

Noi qui godiamo tutti buona salute, e speriamo che voi pure starete bene che di tutto cuore vi desideriamo.
In riguardo ai lavori anchora non ce nessun movimento ed intanto viviamo nella speranza che presto questi benedetti lavori abbiano da cominciare per sollevare dai bisogni tante povere famiglie che si trovano in miseria.
Io e la mia famiglia, cara Madre fino ora non ci è mancato niente, ed anche questo inverno abbiamo comperato due maiali ed un vitello ed abbiamo fatto tanti salami.
O se il mio Marito e figli potessero avere lavoro più contenta e felice di me non ci sarebbe nessuno, ma come o detto quà sopra bisogna avere pazienza e prendere le cose come piace al Signore di mandarci, senza arabiarsi o mormorare che in fine poi non gioverebbero a nulla.

Termino cara Madre nuovamente salutandovi unita alla mia famiglia ed augurandovi felici e contente le Sante Feste Pasquali e tanti e tanti anni ancora di vita, mi firmo dichiarandomi la vostra Affma figlia Catterina Minella.
Mi saluterete tanto le mie sorelle con le loro famiglie.
Qui troverete il vaglia postale necessario perché possiate presentarvi alla Posta di Fonzaso per ricevere il denaro che vi o spedito. 

L’angelo degli emigranti

Correva da poco il primo ventennio del Novecento quando una coppia di bellunesi, da poco emigrati in Canada e residenti a Glace Bay, nell’isola di Cape Breton in Nuova Scozia, decise di mettere su famiglia. Erano entrambi di Fonzaso e portavano un cognome italianissimo: Bianchi, Antonio lui e Rina lei. Fu così che nel 1923 nacque la loro primogenita, Mary, la prima di altri cinque figli, un maschio e ben quattro femmine.

Nel 1936 tutta la famiglia rientrò in Italia, a Fonzaso, e pochi anni dopo visse il tragico evento della Seconda guerra mondiale. Mary era un’adolescente con una marcia in più, anche per il fatto di essere in possesso di un invidiabile bilinguismo, a quegli anni davvero insolito e raro. E fu proprio grazie alla lingua inglese, oltre che al suo fascino, che conobbe Albert “Lofty” Shipp, un soldato inglese di stanza in Italia durante il conflitto. Fu il classico colpo di fulmine. Si innamorarono e alla fine della guerra si sposarono e andarono ad abitare in Inghilterra.

Al momento dell’ingresso nel Regno Unito, Mary rischiò di essere scambiata per la Mata Hari del dopoguerra. Era in possesso di ben tre passaporti: canadese, italiano e inglese, che innocentemente esibì alla dogana. Si susseguirono telefonate alle varie ambasciate finché tutto venne a fatica chiarito e da quel momento Mary optò per l’uso esclusivo del passaporto canadese, così da evitare guai peggiori.

Mary Bianchi Shipp divenne a Niagara un punto di riferimento per tutti gli italiani

Nel 1954, Mary e suo marito decisero che il Canada, che lei conosceva benissimo, era un grande Paese, sicuramente il posto giusto anche per loro. Scelsero l’est, dove Mary aveva altri parenti. Si stabilirono a Niagara Falls, uno dei luoghi più suggestivi al mondo, da dove non si mossero più per il resto della loro vita. Mary Bianchi Shipp divenne a Niagara un punto di riferimento per tutti gli italiani che nel dopoguerra emigrarono in quella zona. La sua competenza a proposito di iter burocratici, fiscali e contabili la portò a occupare impieghi di prestigio, senza mai trascurare di impiegare parte del suo tempo alle problematiche relative all’immigrazione.

Fu sempre attenta e disponibile a trarre d’impaccio chi ne aveva bisogno, tanto da essere la storica fondatrice della Famiglia Bellunese di Niagara Falls. Ospitò regolarmente nella sua casa parenti lontani e amici pressoché sconosciuti, trattando tutti con garbo, gentilezza e disponibilità fuori dal comune.

Ancora a novantadue anni suonati amava sedersi di fronte al computer, navigare in internet, spedire email ad amici e parenti

L’improvvisa scomparsa di Lofty la mise a dura prova, ma anche in quell’occasione seppe reagire facendo appello alla sua grande forza. Ancora a novantadue anni suonati amava sedersi di fronte al computer, navigare in internet, spedire email ad amici e parenti, collegarsi con loro e soprattutto dialogare in dialetto bellunese o in italiano, sempre con una proprietà di linguaggio perfetta.

Quando si spense, l’8 ottobre 2015, le campane di Fonzaso suonarono per lei, rendendo doveroso omaggio a una figlia lontana che tenne alto il senso di appartenenza alle radici bellunesi. Nell’alto del cielo, lanciando lo sguardo oltre il campanile, verso il monte Avena, durante i rintocchi qualcuno giura di aver visto un sorriso tra le nuvole: di certo Mary era lì e ascoltava felice.

Mara Slongo

Mary Bianchi Shipp

Gianluigi Bazzocco

Lostaff dell'Orient Express (linea Venezia-Londra), 1983. Il primo a sinistra è Gianluigi Bazzocco di Fonzaso, assieme a tutti i suoi collaboratori
Lo staff dell’Orient Express (linea Venezia-Londra), 1983. Il primo a sinistra è Gianluigi Bazzocco di Fonzaso, assieme a tutti i suoi collaboratori

La mia storia di lavoro ed emigrazione incomincia appena finita la quinta elementare. Non venivo certo da una famiglia ricca. Uno dei modi per avere una bocca in meno da sfamare era quello di seguire mia madre che lavorava in una albergo in Cadore. Facevo il fattorino e qualche lavoretto. Questo si è ripetuto per diverse estati, fino ai 14 anni. Terminate le medie ho deciso di frequentare una scuola alberghiera in un collegio a Trento. Finite le lezioni, durante l’estate andavo a lavorare e nel ‘66 ho cominciato come apprendista al “Bonvecchiati”. Terminato il biennio e arrivato con ottimi voti al diploma, la prima stagione l’ho fatta subito all’estero, a Stoccarda al “Graf Zeppelin”, chiamato “l’albergo della Regina” perché vi aveva soggiornato la Regina d’Inghilterra. Lì ho cominciato a conoscere vari personaggi importanti, la famiglia Bosch, ad esempio. Per una settimana ho avuto modo di seguire direttamente, assieme a un collega, l’ex famiglia reale degli Hohenzollern. E così ho appreso il modo di pormi con questo tipo di clientela. Conclusa la stagione, sono andato al Bauer a Venezia e mi sono proposto.

Ci sono rimasto per circa 19 mesi, poi ho fatto il servizio militare. Anche al Bauer ho avuto modo di conoscere diversi personaggi di rilievo, ad esempio Paola di Liegi, prima che diventasse regina, o Berrestein, che dirigeva La Fenice. Finita la naja un’amica mi ha prospettato la possibilità di andare in Germania per lavorare in gelateria. Ho accettato e ci sono rimasto per circa 18-20 mesi. Poi ancora al Bauer, e lì ho avuto l’occasione di andare in Svizzera con un collega, in un albergo situato in una stazione sciistica in cui si svolgevano anche gare internazionali e dove ho conosciuto la squadra maschile e femminile austriaca. Sono tornato a Venezia e poi di nuovo per l’inverno in Svizzera, all’albergo Metropole. Dopo un paio di mesi che ero assunto, mi hanno messo a fare lo chef de service. Dovevo gestire il ristorante, il bar della hall e il night club. Era un lavoro variegato e impegnativo, ma quando sono andato via mi hanno detto che l’avevo svolto in modo soddisfacente.

Finito il periodo al Metropole, ho preso in gestione un bar-pensione-trattoria a Farra di Feltre assieme a mio fratello, e nei week-end ci aiutava la mamma e a volte anche la nonna settantasettenne. Dopo sei anni l’ho ceduto e ho preso una pizzeria, che ho gestito per due anni. Dopodiché, mi si è aperta la prospettiva di andare a lavorare nei battelli che sul fiume Reno percorrevano la tratta Basilea-Rotterdam o Basilea-Amsterdam. Ci sono rimasto un anno. Dovevo rimanere anche il secondo e invece prima di ripartire ho trovato una pubblicità sul Gazzettino per la ricerca di personale sull’Orient Express.

Ho ottenuto il posto e ho lavorato a bordo di quel treno di lusso per sette anni. Era frequentato da un’infinità di personaggi di fama mondiale.

Facevamo la tratta Venezia-Boulogne, 3600 km circa in tre giorni. Il lavoro non era dei più semplici. Il treno era stato rifatto all’interno, ma i carrelli erano gli stessi di quando era stato costruito, perciò ballava molto ed era difficile e faticoso lavorarci. Si faceva un viaggio alla settimana, ma è capitato di farne anche tre di fila. Dopo sette anni e più di un milione di chilometri, ho gestito per 10 anni un rifugio. Era un vecchio rifugio che ho rinnovato e migliorato, raggiungendo gli obiettivi che la società proprietaria si era prefissata. Poi ho ripreso un altro ristorante nella zona di Feltre. Sono arrivato che non c’era niente e quando sono andato via si facevano più di 100 coperti a mezzogiorno, ma nei primi sei mesi non avevo davvero clienti. Dopo cinque anni, ho preso assieme a degli amici un altro locale, un bar. Ho anche deciso che volevo proseguire i miei studi. La sera andavo a lezione e ho conseguito il diploma alberghiero vero e proprio a Falcade. Poi mi è venuto il pallino dell’Università, e ho deciso di frequentare a Castelfranco dei corsi di Scienza e Cultura della Gastronomia e della Ristorazione. Ho chiuso l’attività, mi sono iscritto e tre anni dopo mi sono laureato.