Lettera alla madre e al fratello “Tino” scritta da Apollonio e Ferdinando Da Ronco, emigrati da Vigo di Cadore negli Stati Uniti per lavorare in miniera.
(Per gentile concessione della famiglia Nicolai)

Questo il testo:

«Carissima madre e famiglia
Hurley 8 Aprile 1907
Da circa due settimane abbiamo ricevuto la vostra gradita lettera, e godiamo sentire che state bene, e così è di noi e patriotti ora presente. I lavori procedono bene; il tempo piuttosto è cattivo, ed abbenché il mese di marzo sia passato bene, però ora pare voglia pagarci, ed ieri, 7 aprile fece 20 centimetri di neve. E lì che tempo fa? È andata via la neve? Avete incominciato i lavori di campagna? Forse a quest’ora avrete ricevuto un’altra lettera in risposta alla precedente vostra, sulla quale vi abbiamo anche parlato su quanto si riguarda a Checca Farete come v’abbiamo detto, quanto vi pare sia ben fatto, onde non restino controversie fra le parti, e dopo, se a voi pare sia fatto come si deve daremo il nostro consenso. E Chechin cosa scrive? Informateci
Ed ora siamo contenti che vi siete liberati anche dei debiti, almeno potremo camminare a testa alta, che nessuno potrà squadrarci. E giacché sentiamo che viene qua Cente farete il piacere (se però lui accetta volentieri) di mandarci qua calze e scarpetti da calze, quante potete. Saluterete tanto Checa, il Cella Nini, parenti ed amici e chi chiede di noi, e voi unito fratello e sorella un bacio dagl’indimenticabili vostri figli
Apollonio e Nando Sartò*

Caro Tino!
Sono contento che hai ricevuto i tricotte che sei contento, tu come il Cella. Non pensare poi, che specialmente con tuo santolo, non ci intrigheremo. Ho sentito che viene quà gente; se puoi mandami quà la mia bella cravatta che ho portata dalla Svizzera, quella di seta a quadri di tutti i colori, perché quì non si trovano di così belle. Poi mandami qui la satira di Giovanni Betta, che qui si desidera di leggerla. Dirai son cose da fanciulli, ma che vuoi, si fa per passare un’ora allegra fra di noi. Tu mi raccomandasti un nostro parente da Castellavazzo, ma chi, caro fratello, non sa come è qui, oppure è stato e non fa certe affermazioni non sa farsi un’idea, altre industrie qui non sono, ad eccezione delle mine. Ferme queste, qui tutto è morto. Del suo mestiere poi è difficile ad occuparsi, perché qui sono calzolai abbastanza. Nella mina, poi, chi è minatore fa ancora una vita meno male ma chi tocca fare il manovale a lavoro pesante a caricare il ferro e premere i carri. E se non volete credere Gente v’informi. Ed anzi ho sentito dire segue
da un calzolaio italiano, che lavorò anch’egli due anni nella mina, che s’egli avesse toccato fare sempre quella vita, non avrebbe potuto resistere, perché il lavoro di calzolaio, non è a paragonarsi con quello del minatore, che è molto più pesante e faticoso. Uno dei capi principali poi è anche il saper l’inglese.
Ed ora a tè a fare un calcolo a mè non piace dire bugie; amo dire la verità.
Così in questa America caro Tino, o l’informerai di tutto. Mandami qualche giornale come l’Asino o la Domenica del Corriere, se puoi però. Certo che mi farai il favore che t’ho chiesto abbiate i miei più cordiali saluti Nando».

*Sartò era il soprannome della famiglia dello scrivente.

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