Mattmark. Il processo
«Il bilancio è a favore della Elektrowatt. Nella costruzione della diga di Mattmark sono morte complessivamente centosei persone, ottantotto nella sciagura del 30 agosto 1965 e diciotto nel corso dei lavori. Nella realizzazione della diga della Grande Dixence, i lavori durati quindici anni, nei quali sono stati impegnati complessivamente duemila uomini, si sono avuti centododici morti. Nessuno ha parlato allora, non si sono fatti scandali, non ci sono stati processi. Non capisco le ragioni del clamore che si è creato attorno a questo processo».
Sono parole pronunciate dall’avvocato Taugwalder, di Zermatt, difensore dei tre maggiori imputati nel primo processo per la tragedia di Mattmark. Era il 25 febbraio del 1972 e con questo confronto che – ricordano i giornali dell’epoca – provocò eloquenti mormorii di disapprovazione tra i presenti in aula, si chiudeva l’ultima udienza del dibattimento processuale iniziato il 22 febbraio a Visp, nel Canton Vallese.
Gli imputati erano diciassette, tra impresari, funzionari federali e della cassa infortuni elvetica, tecnici delle imprese, ispettori dell’ufficio sulla sicurezza del lavoro, accusati di omicidio “per negligenza”. Il procuratore straordinario dell’Alto Vallese, Anton Lanwer, il pubblico accusatore, pur pronunciando una requisitoria netta in cui affermava la colpevolezza degli imputati, alla fine chiese pene irrisorie. Un’ammenda tra i mille e i duemila franchi, non più di 300 mila lire.
Il processo, per le modalità con cui si svolse, fu giudicato in Italia una farsa. Il Codice di procedura penale del Canton Vallese non consentiva un dibattimento aperto. Non era previsto che le parti potessero chiamare in causa direttamente sul pretorio quanti con la loro testimonianza avrebbero permesso di chiarire veramente al Tribunale e all’opinione pubblica la presenza o meno di responsabilità tra gli accusati.
La difesa affermò l’«imprevedibilità» di quanto accaduto, barricandosi dietro la perizia d’ufficio prodotta dai professori Libourty di Grenoble, Baurst di Muenster, Muller di Monaco di Baviera e Hoinkes di Innsbruck. L’accusa non ebbe il tempo di presentare una contro perizia e rinunciò, poiché correva il rischio di superare i termini per la prescrizione del reato.
Parte della stampa svizzera bollò il processo come una questione di denaro e il difensore degli assicuratori, l’avvocato Ambord, fece proprie queste posizioni, sostenendo che le famiglie avevano già avuto il loro risarcimento e pertanto una sentenza di condanna sarebbe stata solamente una «vendetta» con cui colpire «persone che hanno tanti meriti».
Alla fine, il 2 marzo arrivò la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati, nonostante l’avvocato Perrig avesse citato una testimonianza resa in istruttoria da una guida alpina che pochi giorni prima del 30 agosto 1965 aveva notato e segnalato una fenditura di un centinaio di metri nello spiovente del ghiacciaio.
Nonostante sempre Perrig avesse ricordato come un ingegnere delle imprese costruttrici fosse stato esplicito nelle sue dichiarazioni ai magistrati affermando: «Che ci fosse pericolo lo si sapeva, ma spostare il cantiere avrebbe comportato un costo molto elevato».
Nonostante il prof. Amnahein di Losanna avesse percorso nel 1963 il ghiacciaio lanciando un allarme.
Nonostante il geologo Kester, l’esperto geologo dell’Elektrowatt, avesse sostenuto che a lui non erano stati chiesti pareri su dove piazzare i cantieri.
Nonostante l’avvocato Stein avesse dato lettura delle dimissioni motivate con cui prima della tragedia l’imputato Vouillod aveva lasciato il suo impiego presso l’Elekrowat, allarmato dal precario equilibrio del ghiacciaio.
Nonostante importanti valanghe si fossero già verificate nel 1949, nel 1951, nel 1953 e nel 1963. E nonostante anche il giorno stesso della tragedia – in base alle deposizioni di alcuni testimoni scampati al disastro e citate al processo dall’avvocato italiano Arcadini – qualche ora prima della fatale caduta della lingua di ghiaccio una piccola nube bianca pare si fosse sollevata dall’Allalin, accompagnata dalla caduta di alcuni blocchi di ghiaccio vicino alle baracche.
Le parti civili ricorsero in appello.
(continua)
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