Archivio di Marzo, 2023

Izourt

Da due giorni nevicava. Una tormenta da far paura, che anche da quelle parti – a 1650 metri sui Midi-Pyrenéèes, tra Francia e Andorra – si fa fatica a vedere.

Il cantiere per la costruzione del bacino di Izourt, necessario – assieme a quello di Gnioure – per alimentare le centrali idroelettriche della più grande fabbrica di alluminio in Europa, ad Auzat in Ariège, è fermo. È il 24 marzo del 1939 e quel giorno la bufera non lascia scampo a trentuno persone. Due sono francesi, ventinove sono italiane, quasi tutte arrivate dal Veneto e dal Friuli per lavorare. 

Un ciclone eccezionale si abbatte su due costruzioni che ospitano gli operai, cogliendoli nel sonno. I tetti vengono scardinati, gli edifici collassano.

Le condizioni meteorologiche rendono difficili, quasi impossibili, le operazioni di soccorso, che possono iniziare solo nel pomeriggio. Un ritardo forzato che risulta fatale. Tra le vittime anche quattro emigranti bellunesi: Remigio Ferigo, di Sedico, Giuseppe Martini, di Vigo di Cadore, Primo Mondin, di Quero, e Lucindo Paniz, di Santa Giustina.

Nel vicino cantiere di Gnioure non ci sono vittime, ma per salvarsi e scendere a valle, gli operai sono costretti ad affrontare delle vette innevate, in forte pendio, aiutandosi solo con barre di ferro e cazzuole. 

Titolo del Corriere della Sera del 25 marzo 1939

Una storia di ordinaria xenofobia

di Luisa Carniel

Sono passati cinquantadue anni dalla drammatica scomparsa di Alfredo Zardini, emigrante bellunese vittima dell’intolleranza e della xenofobia svizzera. Zardini, classe 1931, sposato e padre di un bambino di cinque anni, era un falegname originario di Cortina, che lasciò agli inizi degli anni Settanta per cercare fortuna a Zurigo. 

La ricostruzione dei fatti che portarono alla sua morte è questa: da pochi giorni nella città elvetica, la mattina del 20 marzo 1971 Alfredo uscì presto di casa per incontrarsi con il suo futuro datore di lavoro e si fermò per un caffè in uno dei pochi locali aperti a quell’ora, erano infatti solo le cinque. Ebbe la sfortuna di imbattersi in un pregiudicato, sembra già ubriaco, militante della propaganda contro l’accoglienza dei lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica. 

Per ragioni mai chiarite, nacque un diverbio tra i due, che presto sfociò in un pestaggio alle spese di Zardini, colpito con calci e pugni da quell’uomo corpulento e poi lasciato agonizzante sul marciapiede, fra l’indifferenza degli avventori del bar prima e dei passanti poi. I soccorsi non furono tempestivi e il cortinese morì durante il trasporto in ospedale, a causa di un’emorragia interna dovuta alle percosse ricevute. 

… non era raro trovare cartelli del tipo “Eintritt für Italiener verboten!” – “Ingresso vietato agli italiani”…

Non fu mai fatta piena luce sui fatti e la stampa svizzera si preoccupò perlopiù di dare la notizia che i suoi connazionali, per protesta, non si erano recati al lavoro il giorno successivo. Il locale venne chiuso per due mesi e poi riaperto; il clima negli ambienti di lavoro divenne pesante, specialmente nei cantieri. Il comune di Zurigo si limitò a pagare le spese di rimpatrio della salma. 

L’agghiacciante episodio suscitò lo sdegno di tutta la comunità bellunese e italiana in generale, anche perché al colpevole fu inflitta una pena di soli diciotto mesi di reclusione, connotando il reato come “eccesso di legittima difesa”. Si cercava in questo modo di sminuire le vicende a chiaro carattere xenofobo, ma il fenomeno era molto presente, sia nei piccoli che nei grandi centri, dove non era raro trovare cartelli del tipo “Eintritt für Italiener verboten!” – “Ingresso vietato agli italiani”, oppure “Kein Entragung Hund und Italiener” – “Vietato ai cani e agli italiani”. 

Erano gli anni del movimento xenofobo riconducibile al politico di estrema destra James Schwarzenbach, determinato a porre un tetto all’immigrazione di lavoratori stranieri in Svizzera e che aveva già portato a un referendum nel 1970. Consultazione che, pur vedendo respinta la proposta di limitazione, aveva ottenuto un consenso pari al 46 per cento dei votanti. 

Il buon risultato incoraggiò i movimenti contro quello che veniva chiamato “inforestierimento” a ritornare subito alla carica con due iniziative analoghe, che raccolsero però minor consenso: 34,2 per cento di voti a favore nel 1974 e 29,5 per cento nel 1977, seguiti da altri referendum, tutti con votazione respinta, nel 1988 e nel 2000. 

Alfredo Zardini viene spesso ricordato come emblema del razzismo contro gli immigrati e a lui il cantante di origini siciliane Franco Trincale dedicò una ballata nel 1979.

Manifesti di propaganda dei referendum indetti per porre un tetto all’immigrazione in Svizzera

L’Utopia

Buio e maltempo. Fu in queste condizioni che la sera del 17 marzo 1891 il piroscafo “Utopia”, della società di navigazione britannica Anchor Line, giunse in prossimità della baia di Gibilterra. 

Era partito il 25 febbraio da Trieste, diretto a Napoli per un breve scalo e poi appunto a Gibilterra, altra tappa prima della rotta finale verso New York. 

A bordo, tre passeggeri di prima classe, tre clandestini, cinquantanove membri dell’equipaggio e ottocentoquindici emigranti, quasi tutti italiani, stipati in terza classe. Davanti a loro il Nuovo Mondo. Alle spalle, tutto ciò che avevano dovuto lasciare per inoltrarsi alla ricerca di un’esistenza migliore.

Nonostante le pessime condizioni meteorologiche, il comandante, John McKeague, volle raggiungere il molo e attraccare. Non aveva considerato, però, che a occupare la rada c’era la squadra navale del Mediterraneo della Royal Navy. 

Fu così che in questo azzardo, nelle manovre il piroscafo urtò lo sperone di prua della corazzata “HMS Anson”. L’orizzonte degli emigranti a bordo – così come quello degli altri passeggeri – era quello di una vita da ricostruire in terra americana. Bastarono pochi minuti per vedere queste speranze inghiottite dall’acqua gelida. 

L’Utopia affondò. E nonostante i rapidi tentativi di soccorso, con le navi da guerra in azione attraverso le loro scialuppe, cinquecentoventi emigranti, un passeggero di prima classe e dodici membri dell’equipaggio trovarono la morte. Stesso destino toccò anche a due soccorritori. La loro barca fu scaraventata contro gli scogli dalla tempesta. 

Una commissione d’inchiesta sancì la colpevolezza del comandante McKeague, reo di grave negligenza.

Il relitto della Utopia affiora dalle acque del porto di Gibilterra.
(Fonte: di Sconosciuto – 1891 – The Utopia – A Child’s Hand Inside a Sea Bream, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31086600)

America chiama Fonzaso

Lettera scritta da Caterina Minella alla madre, dalla città di Joliet, capoluogo della Contea di Will, nello stato dell’Illinois, Stati Uniti d’America. Missiva spedita a Fonzaso.
(Per gentile concessione di Luigi Cambruzzi)

Joliet, 8 marzo 1932

Mia Cara Madre,

Anche questo anno siamo prossimi alle Sante Feste Pasquali e con tutto l’affetto ed amore che una figlia può avere verso la sua propria Madre, io vi auguro di tutto cuore che il Signore vi conceda la grazia di potere passare queste Sante Feste felici e contente, e perché possiate passarle non soltanto spiritualmente bene ma anche corporalmente, vi spedisco per mezzo della Bancha di Napoli Lire cento, come vi ho promesso nell’ultima mia lettera che vi o spedito insieme alle fotografie delle mie figlie Enrichetta ed Emma, e che spero le avrete già ricevute, e con questo pochi denaro procurerete di aiutarvi nei vostri più necessari bisogni.

Non dubitate Mia Cara Madre, che mai mi dimenticherò dei miei doveri che ò verso di voi, e sempre procurerò di fare qualunque sacrificio per poter venirvi in aiuto nei vostri bisogni, e voi dal conto vostro cara Madre procurate di farvi coraggio più che potete e di non stancharvi di preghare il Signore sia per voi che per tutti i vostri cari perché tutti ne abbiamo bisogno e perché conceda a tutti noi la grazia di giungere e celebrare santamente le Sue Sante Feste Pasquali, e Lui non mancherà certamente di esaudire le preghiere di una Madre che supplica e prega per il bene spirituale e corporale dei suoi figli.

… viviamo nella speranza che presto questi benedetti lavori abbiano da cominciare per sollevare dai bisogni tante povere famiglie che si trovano in miseria.

Noi qui godiamo tutti buona salute, e speriamo che voi pure starete bene che di tutto cuore vi desideriamo.
In riguardo ai lavori anchora non ce nessun movimento ed intanto viviamo nella speranza che presto questi benedetti lavori abbiano da cominciare per sollevare dai bisogni tante povere famiglie che si trovano in miseria.
Io e la mia famiglia, cara Madre fino ora non ci è mancato niente, ed anche questo inverno abbiamo comperato due maiali ed un vitello ed abbiamo fatto tanti salami.
O se il mio Marito e figli potessero avere lavoro più contenta e felice di me non ci sarebbe nessuno, ma come o detto quà sopra bisogna avere pazienza e prendere le cose come piace al Signore di mandarci, senza arabiarsi o mormorare che in fine poi non gioverebbero a nulla.

Termino cara Madre nuovamente salutandovi unita alla mia famiglia ed augurandovi felici e contente le Sante Feste Pasquali e tanti e tanti anni ancora di vita, mi firmo dichiarandomi la vostra Affma figlia Catterina Minella.
Mi saluterete tanto le mie sorelle con le loro famiglie.
Qui troverete il vaglia postale necessario perché possiate presentarvi alla Posta di Fonzaso per ricevere il denaro che vi o spedito. 

Come i bravi cittadini di New Orleans ammazzarono undici italiani

Undici vittime, linciate da una folla decisa a riparare un presunto errore giudiziario. È il triste esito del pregiudizio e della xenofobia con cui gli italiani erano talvolta “accolti” negli Stati Uniti di fine Ottocento. 

È a New Orleans, il 14 marzo del 1891, che va in scena il delitto. Circa trentamila – soprattutto siciliani – gli italiani all’epoca residenti nella città della Louisiana. La gran parte impiegata nei campi di cotone.

Il contesto è il seguente: undici italiani, accusati di aver assassinato il capo della polizia David C. Hennessy, vengono assolti in sede processuale. Un verdetto che lascia sgomenta la popolazione, convinta della colpevolezza degli italiani e altrettanto convinta che la giuria sia stata corrotta.

Visto che su tutti gli imputati pende una seconda accusa, vengono comunque trasportati nella prigione della contea e rinchiusi in celle diverse.

Tutti i cittadini sono invitati a partecipare all’incontro fissato per sabato 14 marzo alle dieci del mattino, per porre rimedio al fallimento della giustizia nel caso Hennessy. Venite preparati all’azione”.

«Nello stesso momento – scrive il settimanale di New York Harper’s Weekly (28 marzo 1891) in una ricostruzione della vicenda – un comitato di cittadini si stava riunendo nelle sale di un club privato. I componenti del comitato hanno contestato il verdetto e hanno dichiarato il loro sdegno, promettendo un’azione immediata per il giorno successivo. Dopo l’incontro, hanno invitato la cittadinanza a una riunione pubblica e inviato copie del documento alle redazioni dei vari giornali. Ecco il testo dell’appello: “Incontro di massa! Tutti i cittadini sono invitati a partecipare all’incontro fissato per sabato 14 marzo alle dieci del mattino, davanti alla statua di Clay, per porre rimedio al fallimento della giustizia nel caso Hennessy. Venite preparati all’azione. John C. Wickliffe, W.S. Parkerson, seguono quaranta firme”».

È così che nel giorno convenuto, fin dal primo mattino, un gruppo di persone si raduna all’esterno del carcere. Il gruppo, diventato via via una folla, armi in pugno sfonda i cancelli del penitenziario, vince i tentativi di resistenza degli agenti, in netta inferiorità numerica, e inizia a dare la caccia ai presunti assassini. Una volta trovati, gli undici vengono massacrati e impiccati, nel delirio entusiasta di chi assiste alla scena.

«Dopo l’impiccagione – riporta ancora Harper’s Weekly – la folla è tornata verso la statua di Henry Clay, “salutata dalle donne e dai bambini sui balconi”. Poi si è dispersa in silenzio. In questo modo, il 14 marzo del 1891, gli illustri cittadini di New Orleans hanno dimostrato di essere “autorizzati a fare ciò che la legge non aveva saputo fare”».

Le citazioni da Harper’s Weekly sono tratte da In cerca di fortuna. L’emigrazione italiana dall’ottocento a oggi sulla stampa di tutto il mondo, a cura di Andrea Pipino, con Daniele Cassandro; Roma, Internazionale, 2020.

Una rappresentazione del linciaggio. 
Immagine di E. Benjamin Andrews - Andrews, E. Benjamin. History of the United States, volume V. Charles Scribner's Sons, New York. 1912., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1717057
Una rappresentazione del linciaggio.
Immagine di E. Benjamin Andrews – Andrews, E. Benjamin. History of the United States, volume V. Charles Scribner’s Sons, New York. 1912., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1717057