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Il riposo forzato di un giramondo

Si può dire che la mia vita da emigrante sia cominciata quando ancora facevo la terza elementare. All’epoca, infatti, per ragioni belliche la mia famiglia dovette lasciare Ferrara, dove sono nato, e spostarsi in una frazione di Mel, da dove era originaria mia mamma.

Mia mamma, per sua buona sorte, aveva ereditato dai genitori una piccola e modestissima casetta, e così ci trovammo a vivere nel Bellunese. Completate le elementari e le medie, per un paio di anni feci l’aiutante garzone nella fucina da fabbro che mio padre aveva immediatamente allestito appena arrivato da Ferrara. Nel 1953, senza aver ancora compiuto diciott’anni, ebbi l’occasione di andare a lavorare in Belgio, tra Namur e Charleroi, in una grande miniera di carbone.

Mi trasferii in Francia, nell’Isère, in una miniera di ferro, dove lavorai fino alla fine del 1957.

A settecentocinquanta metri di profondità, ricordo che si lavorava indossando un leggero giubbotto nero, per via dell’alta temperatura. Rimasi per circa due anni e poi, assieme a un mio amico e compagno di lavoro, un ragazzone polacco, mi trasferii in Francia, nell’Isère, in una miniera di ferro, dove lavorai fino alla fine del 1957.

Attratto da maggiori guadagni, lasciai la Francia per la Svizzera, e fino alla fine del 1959 feci il minatore nel Canton Grigioni, per poi essere promosso assistente. Nel 1959 mi sposai, mi portai appresso mia moglie e nacque Thusis, la nostra prima figlia. Terminati i lavori del complesso idroelettrico dei Grigioni, nel 1960 fui trasferito con tutta la mia squadra nel Canton Vallese, precisamente nella Valle del Saas, dove restai fino alla tragedia di Mattmark*.

Canton Vallese, inizi degli anni ’60. Claudio Pocaterra è il primo da destra, in piedi

All’epoca della tragedia, il nostro cantiere era terminato. Lasciai quindi l’Europa e fui assunto da una compagnia americana, la “Kaiser Corp”, con sede a San Francisco, in California. Con la Kaiser andai nella Guyana Venezuelana, per un enorme progetto idroelettrico, quello del Guri, ancora oggi il terzo impianto al mondo per capacità di produzione elettrica. Il mio contratto terminò nel giugno del 1968.

Dopo un paio di settimane che ero a casa, inaspettatamente mi convocò l’Impresit, con la proposta di recarmi in Colombia. Anche in questo caso si trattava di un progetto idroelettrico, tutto nel sottosuolo. In Colombia mi confermarono la promozione a capocantiere. Completata l’opera, nel gennaio del 1970 partii per l’Iran con un nuovo incarico, sempre alle dipendenze dell’Impresit-Condotte acqua.

Nel 1973 mi mandarono per un breve periodo a Gedda, sul Mar Rosso, in Arabia Saudita, dove era in costruzione un grosso centro di telecomunicazioni. Nel novembre dello stesso anno, eccomi anche in Indonesia, sull’isola Sulawesi, per conto della So.im.i., incaricata dalla Dravo Corp. Americana di reclutare personale. Vicino all’arcipelago delle Molucche erano in costruzione tre altiforni per la fusione primaria di minerali, una centrale termoelettrica e un complesso idroelettrico per la produzione di energia.

Isola Sulawesi. Al centro Claudio Pocaterra. A sinistra un lavoratore italiano e a destra un indigeno malese.

Il progetto fu completato dopo quattro anni e mezzo, e al mio rientro in Italia trovai già una nuova opportunità di partenza, ancora per l’Iran, dove la Condotte d’Acqua di Roma stava costruendo il colossale porto di Bandar Abbas. Ero nel cantiere da pochi mesi quando scoppiò la rivoluzione che portò alla fuga dello scià e all’instaurazione del nuovo regime di Khomeini. Per ragioni di sicurezza, il cantiere fu fermato e tutti noi italiani rimpatriati.

Appena rientrato a casa, mi ingaggiò di nuovo la So.im.i., e tornai quindi nella Guayana Venezuelana, a Puerto Ordaz, per la costruzione di due impianti sidero-metallurgici; quindi in Libia, a Tobruk, per la costruzione di una rete fognaria all’interno della città stessa, e infine in Iraq, sempre come capo cantiere, per la costruzione di una grande area industriale.

Me ne stetti a casa in convalescenza giusto un paio di mesi, perché a sorpresa vennero a trovarmi due ingegneri di vecchia conoscenza.

Proprio al termine di questo cantiere, un tumore laringeo mi costrinse a rientrare a Belluno, per sottopormi a un’operazione alla gola. Me ne stetti a casa in convalescenza giusto un paio di mesi, perché a sorpresa vennero a trovarmi due ingegneri di vecchia conoscenza. Volevano propormi, se me la sentivo, di andare nell’Oman a dare avvio a un cantiere per una lunga diga di contenimento. Mi stavo rimettendo in forma e volentieri accettai l’incarico. Anche qui portai a termine il lavoro, sempre come capo cantiere, con una miriade di maestranze: pakistane, indiane e cingalesi. Lo staff dirigenziale, però, era tutto italiano, per la maggior parte bellunese.

Agli inizi del 1987 mi fu proposto un nuovo lavoro in Kenya, sul lago Turkana, un bel progetto per la FASO. Purtroppo, però, le mie condizioni fisiche cominciavano a deteriorarsi e all’età di cinquantadue anni mi vidi costretto, mio malgrado, ad entrare nel novero dei pensionati invalidi. Confesso con sincerità che, abituato com’ero ad attività impegnative nei cantieri, anche se da emigrante, per i primi tempi fu molto difficile affrontare la triste realtà di vedermi inattivo e pensionato.

Claudio Pocaterra

* Tragedia avvenuta il 30 agosto del 1965, quando una parte del ghiacciaio dell’Allalin si staccò e andò a travolgere le sottostanti baracche dei lavoratori. Le vittime furono ottantotto, di cui cinquantasei di nazionalità italiana.