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Guido Dal Farra

Nato il l° agosto del 1924 a Faverga, un sobborgo alle porte di Belluno, Guido Dal Farra era scampato al turbine della seconda guerra mondiale quasi per miracolo. Pochi giorni dopo la chiamata alle armi, nell’agosto del ’43 l’esercito italiano si sfasciò e Guido ritornò a casa; per pochi giorni, però. Per evitare il pericolo di rastrellamenti si rifugiò sulle montagne, da lui ben conosciute Dolomiti bellunesi, vivendo alla macchia, sfuggendo agli agguati del nemico della Patria, ribelle a impugnare un’arma per lottare contro i fratelli. Passata la bufera della guerra emigrò in Francia, in cerca di lavoro per le sue braccia robuste; e dalla Francia, nel 1949, emigrò in Argentina. Qui, a San Carlos de Bariloche, c’era suo padre, Vittorio, già valoroso bersagliere della prima guerra mondiale. Era giunto a Bariloche verso il 1931, epoca della crisi mondiale, seguendo le orme del pioniere e compaesano Primo Capraro. In Italia aveva la- sciato la moglie e sei figli con la promessa di chiamarli appena sistemato; la crisi però era in tutto il mondo e alla moglie e ai figli bisognava, e lui voleva, preparare un futuro decente. Quando sembrava che tutto fosse a posto, ecco la seconda guerra mondiale e tutto andò a rotoli. Nel 1949 quando Guido, con il fratello Ugo, arrivò a Bariloche, c’erano molti bellunesi ed erano molti i cognomi bellunesi: De Col, Dal Cin, Dal Pont, De Cian, De Min, De Pellegrini, Dalla Gasperina… e il dialetto veneto era famigliare anche agli argentini residenti. Guido, e anche i fratelli che lo raggiunsero fino a completare la famiglia, si climatizzò subito e, soprattutto, incominciò a lavorare sfogando così quella voglia immensa di esser utile che sempre lo attanagliò. Quando, nel 1955, si costruì la nuova sede dell’Associazione italiana di Mutuo Soccorso “Nueva Italia” lui e i fratelli erano sulla breccia, imbrattati di calce e cemento, cazzuola in mano, a tirar su pareti. Poi entrò nella ditta «Falaschi Construcciones », italiana, meritandosi un posto di fiducia e di responsabilità. Intanto si era sposato (nel 1957) e il matrimonio con la connazionale Bruna Filipuzzi, una friulana tutto cuore e spirito, fu rallegrato da una bella coppietta, ora già matura: Livio e Silvana. Con il fratello Ugo costruì pure, informa, diciamo così, individuale, un civettuolo alberghetto, il «San Marco», quasi in pieno centro de Bariloche, alberghetto che è gestito dalla signora e dalla cognata Maria. Tutto sembrava che andasse a gonfie vele quando una «sorella» che tutti temiamo e rispettiamo, entrò di sotterfugio, lo chiamò prepotentemente e lo portò via con sé. A 59 anni, se ne è andato, rapito precocemente, colpito da un infarto cardiaco. Giovane ancora, allegro, simpatico: la sera prima era stato con gli amici, in allegra compagnia, alla sede dell’Associazione Italiana, gaio e sorridente. I funerali furono una apoteosi, se così possiamo dire, di condoglianza e di dolore. Era il 19 dicembre 1883 e si sentiva già nell’aria odore di presepi e melodie di cornamuse. 

Fonte: BNM n. 3/1884