Mattmark. La beffa

«Un uomo non ha il cartellino del prezzo. Adesso tutto mi sembra addirittura pazzesco. Ho perso un fratello ed ora devo pagare la sua morte. Mai sentita una cosa del genere. Ha il sapore di una crudele buffonata». 
Così un bellunese esprimeva ad un giornalista del Corriere della Sera la propria incredulità e rabbia dopo la sentenza del processo di appello per la catastrofe di Mattmark. Era il 6 ottobre 1972, sette anni dopo quel tragico 30 agosto, e il tribunale cantonale di Sion aveva emesso il suo verdetto. 

Assoluzione di tutti gli imputati, confermando quanto stabilito in primo grado. In più, spese processuali per metà a carico del fisco elvetico e per metà dei parenti delle vittime. Una mazzata inattesa che andava ad aggiungersi all’amarezza per la riconferma che non era possibile avere giustizia. 

Il processo iniziò il 27 settembre. Gli imputati (impresari, tecnici, funzionari federali e della cassa infortuni elvetica, ispettori della sicurezza) erano diciassette, accusati di omicidio “per negligenza”. Come sei mesi prima (il processo di primo grado si era svolto a fine febbraio), il p.m. Antoine Lanwer pronunciò una requisitoria severa contro gli accusati, per poi limitarsi a chiedere semplici pene pecuniarie. Da mille a duemila franchi (circa 150-300 mila lire). 

Gli avvocati di parte civile rinnovarono la loro richiesta di una condanna per il reato di omicidio colposo. La controparte sostenne invece che nessuno avrebbe potuto prevedere la catastrofe. «Per garantire l’incolumità degli operai occupati nei cantieri di Mattmark – affermò uno degli avvocati – sarebbe stato necessario vietare i lavori. Sarebbe stata l’unica garanzia». 

I dibattimenti si conclusero il 29 settembre, e il 5 ottobre arrivò la sentenza, che suscitò reazioni di costernazione e sconcerto in Italia e tra i numerosi lavoratori italiani in Svizzera. I giornali elvetici quasi ignorarono la vicenda, mentre quelli italiani si fecero interpreti del sentimento dell’opinione pubblica, scossa dalla decisione. 

L’Unità titolava: «Per Mattmark nessun colpevole: i familiari pagheranno le spese», La Stampa definiva la sentenza «triste e iniqua», Il Popolo, organo ufficiale della DC, «scandalosa e offensiva». 

Anche tra i parlamentari trapelò irritazione. Il capogruppo socialdemocratico alla Camera, Cariglia, sollecitando il Ministro degli Esteri, Medici, ad un intervento immediato presso il governo svizzero, rilevò come il verdetto costituisse «un ennesimo episodio che confermerebbe l’esistenza di una mentalità preconcetta nei confronti degli emigrati italiani». 

La federazione unitaria degli edili aderenti a Cgil, Cisl e Uil espresse «stupore e indignazione per una vergognosa e inverosimile sentenza che trasforma le vittime in colpevoli, premia gli imputati e indica assoluta mancanza di obiettività e indipendenza rispetto agli interessi della classe imprenditoriale». 

L’inviato speciale del Corriere della Sera a Briga, Vittorio Notarnicola, concludeva amaramente il suo reportage: «Dev’essere proprio vero: i ghiacciai qualche volta cadono e, se qualcuno si trova sotto, la colpa è sua. Peggio per chi muore così, senza aver chiesto il permesso».

(continua)

Clicca QUI per leggere il precedente articolo sul processo di primo grado.

Corriere della Sera, 6 ottobre 1972

Corriere della Sera, 7 ottobre 1972

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *