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Storia di un sognatore – seconda parte

La prima parte è disponibile QUI.

Non ci sono giornali, non ci sono stamperie, però le pasquinate scritte a mano si affiggono sulle pareti di questa o quell’osteria con il beneplacito del padrone. Capraro non si scompone; non reagisce come Marforio. Usa mezzi più drastici: compera l’osteria e assiste, con un sorriso sardonico, allo sfratto. Certo, non sono operazioni gentili, però non c’è tempo per incertezze o tentennamenti.

Si arriva così al tempo della Prima guerra mondiale. Capraro, da buon patriota, convince e recluta vari volontari che partono per l’Italia e per i fronti. La festa di addio si svolge con vari canti e auguri. Qualcuno, purtroppo, non ritornerà. I nemici di Capraro approfittano anche di questi fatti per criticarlo e calunniarlo. «Manda gli altri!», dicono, «però lui non ci va!».

Capraro stavolta non ci bada. Non ne vale la pena…e poi lui ha passato già i quarant’anni.
Con frequenza deve viaggiare nella capitale, Buenos Aires, e allora visita ministri, segretari e ministeri, con progetti e sogni per ingrandire Bariloche, per convogliare alla zona dei laghi turisti e amanti della montagna.
I progetti vanno a terminare nei cassetti, con vaghe promesse. Poi cambia il governo (cosa frequente in Argentina) e bisogna ricominciare da capo la via crucis da un ministero all’altro. Capraro non si scoraggia. Altre volte arrivano personaggi illustri, come Teodoro Roosevelt, il principe di Galles e il duca di Kent.

Verranno pure scrittori e giornalisti, come Ada Elflein e Ernesto Morales. Allora il giornale “La Nación” si abbellirà con fotografie e scritti descrivendo la zona dei laghi, ma sarà solo uno sprazzo di luce perché poi tutto si ferma: Bariloche è troppo lontano.

Capraro inventa altre cose. Un bel giorno si diffonde una notizia strabiliante. Vicino a Bariloche, nella laguna Epuyen, è stato visto un plesiosauro. Immediatamente si forma una spedizione capitanata da Clemente Onelli, romano, direttore del giardino zoologico di Buenos Aires.

Con lui viaggiano giornalisti, fotografi, scienziati, ecc. ecc. La comitiva visita il lago, lo scruta, lo scandaglia… niente da fare. Il plesiosauro è sparito. Visitano allora (e descrivono) la zona e continuano a cercare. Poi la spedizione, sconfitta, ritorna a Buenos Aires. Nessuno, però, avverte come Capraro se la rida sotto i baffi, con sbirciatine d’intesa con Clemente Onelli. Saranno stati d’accordo? Sarà stata tutta una farsa? Non si saprà mai. Quello che a Capraro interessava era che i giornali parlassero della zona e raggiunge il suo scopo: i giornali parlarono.

A quell’epoca Bariloche era cosmopolita. C’erano italiani, tedeschi, austriaci, svizzeri, francesi, danesi, inglesi, nordamericani, spagnoli, cileni, argentini (pochi)… e Capraro molte, moltissime volte, è padrino di nozze o di battesimo. Le feste, per tali eventi, sono veramente feste: piene di allegria, di buon umore, di canti. Voleranno anche degli scappellotti, ci scapperà qualche coltellata (è di moda) ma poi tutti si rappacificheranno senza rancori.

Il caso è differente quando ci sono battesimi. Siamo in guerra e se il neonato è figlio di tedeschi il nome da imporre sarà Guglielmo o Francesco Giuseppe. Oppure, se è figlio di italiani, sarà Vittorio, Giorgio, Alberto, o con nomi più simpatici come Trento.

È il 4 ottobre. D’un tratto si sente un colpo e un tonfo. Nel mezzo della stanza sta Primo: è caduto


La difficoltà della scelta sorge quando il bambino è figlio di padre svizzero-francese e di madre svizzero-tedesca. La Svizzera è neutrale da secoli e non ha nulla a che vedere con la guerra. Come si chiamerà il bambino? Capraro salva capra e cavoli: lo chiama Neutral! E il nome rimane.

È finita la guerra. Arrivano nuovi emigranti e Bariloche si rinforza con altri nomi italiani, bellunesi e castionesi: De Barba, De Col, Candeago, Dal Farra, Della Gasperina, De Pellegrin, Fant e tanti, tanti altri.
Bariloche continua a crescere e le forze avversarie pure. Capraro sente già il peso degli anni e delle responsabilità e comincia a notare degli sgretolamenti.

Capraro è contrattista delle ferrovie dello stato. Già ha costruito il ponte sul Rio Negro, tra Patagones e Viedma. Il treno si avvicina, giorno per giorno, a Bariloche. Il treno! È sempre stato il sogno di Capraro portare il treno a Bariloche, e ora sta per vederlo realizzato.

Ha preso l’incarico di costruire la scarpata da Comallo al Nahuel Huapi. Gli impegni sono ogni giorno più rischiosi. Deve moltiplicarsi per realizzare ciò che si è proposto, senza tener conto che il giorno ha solamente ventiquattro ore e che il calendario non si può stirare. Ogni sforzo ha il suo limite e ogni illusione pure. Passare oltre è un delirio. Non si può stare nello stesso tempo a Pilcaniyeu sorvegliando i lavori, al municipio di Bariloche per attendere ai doveri della carica, al Correntoso per affari personali e a Buenos Aires per reclamare paghe arretrate, paghe che lui ha già abbonato agli operai di sua tasca.

L’anno 1930 è un anno disastroso per le finanze di tutto il mondo e gli effetti si sentono pure a Bariloche. Le paghe tardano e gli operai protestano. Capraro, ancora una volta, le affronta a sue spese, e a sue spese affronta, per accelerare il tempo, la scarpata dal ponte sul torrente Nirihuau a Bariloche. È la fine, però lui non si arrende. Farlo sarebbe dimostrare debolezza e questo può permetterselo chiunque, però non lui. E continua a lottare. Gli ostacoli si moltiplicano. Quello che ieri sembrava un nonnulla oggi si converte in una montagna di difficoltà.

La scarpata arriva fino a Bariloche; anche le rotaie ci sono. Manca solo il treno, testimonianza irrefutabile del suo spirito di impresario, commerciante, industriale, agricoltore, politico, edile e lavoratore. Sembra ormai che abbia vinto, sembra ormai che il suo sogno si converta in realtà.

Arriva così il mese di ottobre del 1932. Capraro sente che c’è qualcosa che non va, qualcosa che non cammina, che lo ha tradito e si ritira al Correntoso, nella sua casa in mezzo ai boschi e in riva al lago, solo.
È il 4 ottobre. D’un tratto si sente un colpo e un tonfo. Nel mezzo della stanza sta Primo: è caduto, caduto per sempre. Tra le mani ha una rivoltella che ha reso possibile il suo passaggio all’eternità. È sua? È stato lui a spararsi? È stato un altro? Non si saprà mai.

Noi pensiamo: come è possibile che lui, l’indomito, l’invincibile, si sia lasciato vincere, abbia ceduto alla debolezza?
Capraro è sparito ma il suo spirito rimane! Rimane, squilla perenne della sua figura, del suo amore per il lavoro, per la Patria Italia e per la Patria Argentina, ma soprattutto per San Carlos de Bariloche, meta dei suoi sogni, vero paradiso terrestre in Argentina, scoperto e fatto conoscere al mondo da lui, Primo Capraro.

Bariloche lo ricorda ogni anno. Una strada, la diagonal Capraro, una scuola, quella dell’Associazione culturale Germano-Argentina, e un monumento, dichiarato monumento nazionale. Da quest’ultimo Capraro guarda, giorno e notte, il lago Nahuel Huapi, il suo lago, e sorride quando vede le acque azzurre riempirsi di vele e di imbarcazioni e migliaia e migliaia di turisti che, passandogli davanti, rispettosamente lo salutano.

Storia di un sognatore – prima parte

12 marzo 1873. Siamo a Castion, frazione di Belluno. Nella casa dei Capraro un vispo bimbetto apre gli occhietti alla vita. È il primogenito e, filosoficamente, il padre lo chiamerà Primo. Quando gli nascerà un altro figlio, sarà chiamato, logicamente, Secondo.

La fanciullezza di Primo trascorre uguale a quella di tutti gli altri bambini: scuole elementari, bisticci con i compagni con qualche pugno, ecc.
Poi frequenta la scuola industriale di Belluno, dove si iscrive a un corso di costruzioni, dato che ha il bernoccolo della matematica. È già un bel giovinotto quando la Patria lo chiama al servizio militare e compie il suo dovere nel Genio. Tre anni dopo, quando ritorna, è già uomo fatto.
Siamo nel 1897 e Primo è disposto a lanciarsi per il mondo, sicuro delle proprie forze.

Ha sentito parlare dell’America e anche lui pensa a quelle terre lontane, ma, prudentemente, pensa che è meglio incominciare da poco. Rotti gli ormeggi incomincia il viaggio. Punto di partenza: Castion; punto di arrivo: be’ quello lo dirà il destino. Prima di lanciarsi all’America, e come misurando le proprie forze, visita paesi vicini all’Italia. Teme che la nostalgia gli giochi qualche brutto scherzo. Conosce così l’Austria, la Svizzera e la Germania. E proprio in Germania, sulle rive del Reno, conosce a una ragazza. Vorrebbe farla subito sua sposa, però comprende che per formare una famiglia è necessaria anche una certa posizione economica e lui ha solo due braccia, forti e robuste, una volontà di ferro e un cuore che trabocca di amore.

Non è sufficiente, così almeno pensa, e aspetta. Intanto lavora e risparmia. Sogna l’America e là non bisogna andare a casaccio e studia il posto. Arriva a Londra. C’è una compagnia che cerca gente e lavoratori per mandarli nelle miniere di Pachuca (Messico). Primo si presenta e in pochi minuti ha un contratto in mano. Ci sono anche dei compagni e anche loro sono contrattati. Primo, quasi automaticamente diventato capo e direttore della squadretta, aveva assicurato loro un avvenire prospero in una miniera d’oro e li aveva convinti a seguirlo. Partono così per il Messico. Incominciava il secolo ventesimo. Il viaggio si svolge senza inconvenienti.

Arrivati in Messico si presenta, contratto alla mano, all’amministrazione della miniera e qui succede il finimondo. Il gerente della compagnia non riconosce né il contratto e neppure i padroni della miniera, dato che il governo messicano ha concesso a lui tutti i diritti immaginabili e possibili. Primo ascolta e non si raccapezza. Poi, filosoficamente, alza le spalle e se ne va. «L’America è grande!» dice.

E i compagni che aveva entusiasmato? Primo non perde coraggio e ancora una volta li convince a seguirlo. Passa così al Perù, però anche qui non c’è niente da fare. Passa al Cile e arriva a Santiago con nessuna speranza di lavoro. Il gruppo si sgretola e anche Primo deve confessare, a malincuore, che è stato sconfitto. «Bisogna ritornare in Italia – dice – e per farlo ci sono due strade. O attraverso l’Argentina oppure aggirando lo stretto di Magellano».

Il gruppo sceglie il primo itinerario e, poco dopo, si sfascia. Primo aspetta a partire perché gli è venuta un’idea. Si ricorda che, stando a Londra, ha ascoltato una conferenza di Francesco Pascasio Moreno che diceva mari e monti di una zona della Patagonia e decide di andare a vedere.

Arriva alla zona dei laghi cileni e già sente qualche cosa nell’aria: paesaggi meravigliosi, degni delle zone più belle del mondo. Continua il viaggio e, superato il passo Perez Rosales, rimane con gli occhi spalancati. Capraro ammutolisce. Capraro è montanaro, credeva di aver superato la stregoneria e l’incanto delle montagne e qui, invece, l’innato amore alla montagna risorge, forte, prepotente. Ecco, là in fondo, il Tronador, il Lanin; e, più vicino a lui, il Lopez dalle pareti imponenti, e il Catedral, tutto una guglia; e poi altri e altri ancora, monti che si specchiano nei laghi limpidi e azzurri, e le isole, e i ruscelli saltellanti tra pietre e tronchi.

Capraro è sbalordito e lì, su due piedi, decide. Si sente come un nuovo Cristoforo Colombo. Se il genovese ha scoperto l’America, egli scoprirà la regione più bella dell’America!

Uomo pratico, cerca subito dove alloggiare e sceglie il Correntoso. È un torrente impetuoso che esce dal lago dello stesso nome e sfocia nel lago Nahuel Huapi. Correntoso! Il nome stesso significa quello che è, e Capraro lo comprova subito, perché vuole guadarlo.

Sono i primi anni, anni febbrili e pieni di intenso lavoro. Capraro è il capo. Corre da una parte all’altra dando ordini, istruzioni, consigli. A volte alza la voce, grida, sbraita. Vuole imporsi e nello stesso tempo vuole che ogni cosa si faccia bene.

Sulla riva opposta ci sono tende indie e quando Antriauc, caciche della zona, lo vede spogliarsi per gettarsi in acqua, gli grida: «Attento! Acqua forte! Non passare!» Capraro non ci bada e si tuffa. Nuota un po’ ma la corrente è troppo forte. Allora si immerge e quando riappare è a pochi passi dalla riva. Allunga le braccia in cerca di appiglio. I rami dei cespugli non resistono e cade in acqua due, tre volte. La situazione si fa pericolosa e si salva afferrandosi a una fune che gli tira il caciche.

Asciugate le vesti, Capraro continua il viaggio. Ha sentito che nella provincia del Chubut (distante circa quattrocento chilometri!), in una fattoria, c’è bisogno di manodopera. Il viaggio procede bene e conosce paesetti, meglio dire gruppi di case, e regioni. Esplora pure le sorgenti del Chubut, il fiume più grande della zona, e impara come si va a cavallo. Laggiù la gente si diverte nel vedere come il cavallo fa ruzzolare il cavaliere. Capraro, per amor proprio, si attacca fortemente all’animale e resiste.

Neppure a Leleque Primo ha fortuna. Non c’è posto per quello che vuole e sa fare e non ci sono quattrini. Capraro pensa che è il destino che vuole così perché vuole che si dedichi a far conoscere al mondo questa zona privilegiata.
Durante il viaggio di ritorno pensa e ripensa. Sente una voce interna che gli dice: «Ti ho aspettato tanto tempo e ora che sei arrivato non ti lascerò scappare. Pensaci e deciditi. Tu sei capace di questo e di altro ancora!»

E Capraro si decide e vede – come in una visione – come si converte in realtà un sogno accarezzato da tanti predecessori: Bariloche, città incantata! Già di ritorno, entusiasmato dal suo sogno, ospite in casa di amici a Bariloche espone loro il suo progetto e la decisione di attuarlo subito. Lo ascoltano e vedendolo così euforico, non lo interrompono. Ma quando si ritira, uno dice: «Quell’italiano è un pazzo!» «No – lo corregge un altro – è un sognatore e i sogni difficilmente si avverano!»

Capraro non si preoccupa per questa indifferenza. Si preoccupa invece di ottenere manodopera. Ci sono strade da fare, e ferrovie, e ponti e case e alberghi, moli, imbarcazioni ecc. ecc. e piantare industrie, officine, falegnamerie, centrali elettriche e mille cose ancora e allora incomincia una fitta corrispondenza con i suoi paesani di Castion e di Belluno e qualche lettera va anche in Germania dove, sulle rive del Reno, una ragazza aspetta e spera. Convince tanto gli uni che l’altra e nel 1903 parte per Buenos Aires.

Arriva la sposa e arrivano anche i primi emigranti, attratti dal fascino che ha ispirato loro Capraro. Sul molo è un vociare e un gridare in dialetto, italiano, tedesco. Amici che rivede, amici ai quali parla con entusiasmo della zona che popoleranno.

Finite le pratiche doganali, la carovana si mette in marcia. Ci saranno vari giorni di viaggio, però non importa. Arrivano a San Carlos de Bariloche dopo 1.800 chilometri di marcia, disposti a occupare terre, a costruire case e strade, a fondare un paese, una città. Capraro li guida dando ordini, istruzioni e consigli. In poco tempo sono sistemati e lavorano. Le industrie principali sono presto pronte: centrale elettrica, falegnameria, fucine meccaniche… Il paese progredisce sotto lo stimolo di Capraro.

Sono i primi anni, anni febbrili e pieni di intenso lavoro. Capraro è il capo. Corre da una parte all’altra dando ordini, istruzioni, consigli. A volte alza la voce, grida, sbraita. Vuole imporsi e nello stesso tempo vuole che ogni cosa si faccia bene. Pensa al futuro: pensa alle centinaia di migliaia di turisti che visiteranno Bariloche. Si dedica anche ad altre attività: commerciali, politiche, diplomatiche e giornalistiche.

Ed è così che, nelle lettere che scrive, si può leggere, tra le altre cose, una intestazione che dice: “Commercio in generale, frutta, importazione ed esportazione, falegnameria, carpenteria, centrale elettrica, agente Ford, cantiere navale, corrispondente del Banco d’Italia”. E avrebbe potuto aggiungere: agente consolare d’Italia, corrispondente dei giornali “La Nación” e “La Patria degli Italiani”, sindaco e agricoltore.

Il paese è ancora piccolo ed è logico che si avveri ciò che dice un proverbio: “Paese piccolo, inferno grande!” Sorgono gli oppositori e il paese si divide in Capraristi e Anticapraristi.

Continua…

Padre di una città

Il suo monumento è in bella mostra nel centro storico e gli abitanti lo ricordano come l’anima della città. Stiamo parlando di Primo Capraro, il padre di San Carlos de Bariloche, in Patagonia, oggi famosa località turistica ai piedi delle Ande ma, all’epoca di Primo, villaggio sconosciuto in una sorta di sperduto Far West sudamericano.

Una regione tutta da scoprire e da esplorare, con grandi opportunità per pionieri dallo spirito avventuroso e dalle capacità imprenditoriali. Doti che non mancarono a Primo Capraro, nato a Castion il 12 marzo 1875 e giunto in quelle terre nel 1903, quando la città, fondata solo un anno prima, contava appena qualche decina di casette in legno.

Non a caso è soprannominato
“El Emperador de Bariloche”.

Ad attrarlo in Argentina fu un vecchio amico conosciuto durante il servizio militare che gli propose di acquistare della terra in società. Grazie al duro lavoro, alle sue idee decise e lungimiranti, alla capacità di cogliere al volo le opportunità che gli si facevano incontro muovendosi agilmente tra un’attività e l’altra a caccia di occasioni di guadagno, Primo Capraro riuscì a dare enorme sviluppo a Bariloche, costruendo un vero e proprio impero. Non a caso è soprannominato “El Emperador de Bariloche”.

Ovviamente non fu solo in questa impresa. Fu il primo bellunese ad arrivare e una volta giunto chiamò amici e parenti a dargli una mano.

Catalizzatore di tutte le principali attività di Bariloche, se da un lato questo lo rese un esempio e un modello per gran parte dei suoi concittadini, dall’altro gli attirò le antipatie di quanti vedevano con invidia il suo crescente successo e lo reputavano un pericolo per i loro interessi.

Segnali di questa ostilità si ravvisarono nello strano incendio che nel 1924 mandò in fumo la sua segheria con le attrezzature e le abitazioni degli operai, fino alle oscure circostanze della sua morte, avvenuta il 4 ottobre 1932. Ufficialmente fu suicidio, ma la questione rimane tuttora avvolta in una nube di mistero.

Primo Capraro, fondatore di Bariloche

foto di Primo  Capraro con la moglie Matilde e la figlia Luisa.
Primo Capraro con la moglie Matilde e la figlia Luisa.

Questa è la storia di Primo Capraro, che all’inizio del secolo partì da Castion di Belluno per le Americhe con una semplice valigia per “far fortuna”. Egli nacque nel 1875. Giovane studioso, tenace nei propositi e con una grande ambizione, lavorò in Austria, in Svizzera e in Germania presso imprese di costruzioni di strade, di ponti, di dighe, finché i problemi in discussione sulla stampa per l’avvenire del Messico e della Florida, col miraggio della ricerca dell’oro, non richiamò la sua attenzione. Concluso un contratto per due anni con la ditta Mother e Sous Ltd di Londra che cercava mano d’opera per le miniere di Pachusa nel Messico, partì come capo di una squadra di operai con una semplice valigia e tante speranze. Il viaggio fu un’avventura! Giunti a Pachusa, quando credono di essere alla mèta, il gerente della Compagnia delle miniere Mr Conrad Wilde non vuol riconoscere le autorità londinesi che hanno rilasciato il contratto e rifiuta l’ingaggio. Capraro non si perde d’animo e convince i compagni a proseguire per le miniere di Potosì dove un’altra delusione li aspetta. In quelle miniere non si lavora più. Nella squadra c’è chi pensa la ritorno, ma Capraro tiene duro e riesce a persuadere i compagni ad andare più oltre e tentare la via Valparaiso – Buenos Aires. Giunti a Santiago, inopinatamente, gli avvenimenti precipitano e la squadra si sbanda. Capraro, con qualcun altro, decide di restare in quella città e subito si dà alla ricerca di una soluzione prendendo in considerazione il problema della zona del Nahuel Huapi e della Patagonia, la cui valorizzazione è validamente sostenuta da Perito Moreno. La regione è incantevole per i suoi laghi, le sue montagne, i suoi boschi. Visita Porto Blest, Los Cantaros, Isola Vittoria, Baia Lopez, i laghi Moreno e Mascardi e, appreso che nei torrenti che si gettano nel Correntoso si può trovare l’oro, ne tenta la ricerca. L’avventura fallisce! Disponendo di mezzi che gli consentono una certa indipendenza, si dedica al taglio di boschi per la produzione di legname che è ricercato. È la volta buona: è la strada che lo condurrà al successo. A Mendoza risiede suo fratello Secondo e con la sua collaborazione conclude con l’ing. Princeton, direttore di una impresa proprietaria di grandi fattorie a Leleque, un contratto per la fornitura del legname per la costruzione di baracconi, recinti per animali ed altre opere necessarie per tre grandi fattorie. In seguito, avendo ottenuto con poco denaro, dal Governo Argentino 625 ettari di terreno con grandi boschi, decide di stabilirsi nella tranquilla insenatura di Correntoso che ha alle spalle il monte Belvedere, di fronte il lago e in fondo la Baia Ultima Esperanza. La ricchezza del suolo e la bellezza dei paesaggi sono tali da offrire tutte le possibilità per la creazione di una zona turistica. Espone agli amici i suoi progetti, ma non è preso sul serio, tante sono le difficoltà da superare. Capraro, forte del suo spirito di iniziativa e della sua giovinezza, vince ogni perplessità e, trovati dei capitali, getta la base. Siamo nel 1903. A Baden, in Germania, ha la fidanzata con la quale è sempre stato in corrispondenza e decide di sposarsi. Celebra il matrimonio a Buenos Aires dove egli si reca ad attendere la sposa e, nella capitale ha modo di contrarre amicizie con personalità della diplomazia, ingegneri, ed ottiene di essere presentato al ministro dell’Agricoltura e al direttore degli Uffici di immigrazione. Celebrato il matrimonio in forma assai semplice e raggiunto in treno General Roca, il viaggio di nozze prosegue su di un carro diretto a Nahuel Huapi. L’equipaggiamento ha del curioso: la sposa porta con sé ben quindici bauli, lo sposo una semplice valigia come quando emigrò. Stabilito quale dovrà essere il quartier generale delle sue attività, il Capraro inizia il reclutamento della mano d’opera. Partirà così da Genova un numeroso gruppo di artigiani di Castion e di Belluno insieme alle loro famiglie e la carovana dei futuri abitanti di Bariloche e della nascente San Carlos offrirà al suo arrivo uno spettacolo insolito perché è un piccolo esercito di pacifici conquistatori organizzati e disciplinati verso un avvenire di lavoro e di fortuna, grazie alle favorevoli disposizioni che il Capraro, durante la sua permanenza a Buenos Aires, ha saputo ottenere dal Ministero dell’Agricoltura. I progetti, con un lavoro che non conosce soste, cominciano a realizzarsi. Sorgono le prime case, poi industrie con una centrale elettrica, segherie, falegnamerie, officine meccaniche. Con l’andare del tempo il Capraro ha modo di sviluppare le sue attività. Diventa grossista di frutta della regione; importa ed esporta bestiame. È Agente Ford e dell’YPF (yacimentos petroliferos fiscales), Corrispondente della Banca d’Italia. Non trascura la politica e collabora ai giornali argentini: “La Nacion” e “La Patria degli Italiani”. Sostenuto dalla stampa, continua la valorizzazione della zona e San Carlos va progredendo in modo tale da consentire agli emigrati un sempre migliore tenore di vita. Il Governo gli concede la costruzione della Succursale del Banco di Napoli e poiché non trascura l’istruzione della popolazione riesce a far sorgere una scuola tutta in pietra su suo progetto. Giunge così, dopo tanti anni di ininterrotto lavoro, il momento di fare un bilancio non solo dell’attivo e del passivo, ma anche un esame dell’organismo del Capraro che è andato logorandosi ma, Primo non è un uomo da arrendersi perché vuole sempre restare sulla breccia. Fu l’inizio di un dramma ignorato sia dalla famiglia che dagli amici. Quando la massicciata che dovrà collegare Nahuel Huapi alle linee di comunicazione della capitale e assicurare l’arrivo dei treni in Bariloche, massicciata che gli costò tanti sacrifici finanziari e battaglie, non è più una utopia, ma una realtà, il destino beffardo gli giocherà un brutto tiro. L’uomo che da solo, dal nulla, lottando in tempi difficili durante un trentennio non avrà la soddisfazione di cogliere il premio di tanto lavoro. La mattina del 4 ottobre 1932, nel suo studio, Capraro fu trovato accasciato sul tavolo da lavoro. Il popolo che lo amava riconobbe in lui un pioniere e, sul declivio della piazza “Espedicionarios del Deserto” fece sorgere un monumento in bronzo perché sia ricordato alle generazioni. Al suo nome è stata intitolata una delle più suggestive strade di Bariloche. San Carlos  è oggi un centro turistico, una Svizzera argentina.

Fonte: BNM 1970