L’Utopia
Buio e maltempo. Fu in queste condizioni che la sera del 17 marzo 1891 il piroscafo “Utopia”, della società di navigazione britannica Anchor Line, giunse in prossimità della baia di Gibilterra.
Era partito il 25 febbraio da Trieste, diretto a Napoli per un breve scalo e poi appunto a Gibilterra, altra tappa prima della rotta finale verso New York.
A bordo, tre passeggeri di prima classe, tre clandestini, cinquantanove membri dell’equipaggio e ottocentoquindici emigranti, quasi tutti italiani, stipati in terza classe. Davanti a loro il Nuovo Mondo. Alle spalle, tutto ciò che avevano dovuto lasciare per inoltrarsi alla ricerca di un’esistenza migliore.
Nonostante le pessime condizioni meteorologiche, il comandante, John McKeague, volle raggiungere il molo e attraccare. Non aveva considerato, però, che a occupare la rada c’era la squadra navale del Mediterraneo della Royal Navy.
Fu così che in questo azzardo, nelle manovre il piroscafo urtò lo sperone di prua della corazzata “HMS Anson”. L’orizzonte degli emigranti a bordo – così come quello degli altri passeggeri – era quello di una vita da ricostruire in terra americana. Bastarono pochi minuti per vedere queste speranze inghiottite dall’acqua gelida.
L’Utopia affondò. E nonostante i rapidi tentativi di soccorso, con le navi da guerra in azione attraverso le loro scialuppe, cinquecentoventi emigranti, un passeggero di prima classe e dodici membri dell’equipaggio trovarono la morte. Stesso destino toccò anche a due soccorritori. La loro barca fu scaraventata contro gli scogli dalla tempesta.
Una commissione d’inchiesta sancì la colpevolezza del comandante McKeague, reo di grave negligenza.