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Brevi accenni tratti dal libro “È la mia vita”

di Mara Burigo

Breve presentazione di Milena Tison

La mia giovinezza
Mi chiamo Milena Tison, sono nata il 13 febbraio 1927 e questa è la mia storia.
Tutto ebbe inizio l’anno 1927 quando nacqui in un luogo immerso nel bel verde della campagna, nominato “Le Volpere”, vicino a un paesino veneto di nome Cavessago, a pochi chilometri da Belluno. La mia famiglia viveva nella semplicità, essi erano dei contadini che lavoravano la terra duramente ottenendone solo lo stretto necessario per vivere abbastanza serenamente.
Avevo un fratello qualche anno più giovane di me di nome Luigi e una sorella cinque anni più vecchia di me che si chiamava Dorina.

La guerra e le sue conseguenze
La guerra avanzava e venne il momento in cui anche mio padre fu chiamato a combattere. La sua convocazione a entrare nell’esercito fu dura da accettare, soprattutto per mia madre. In quei tempi non c’erano molte cure e mia madre, che soffriva di depressione, non poté curarsi, per cui le sue condizioni peggiorarono. Noi tutti cercammo di farle coraggio moralmente, ma peggiorò di giorno in giorno. Io soffrivo molto per le sue condizioni, ma non persi mai la speranza che potesse riprendersi. Purtroppo non ci fu nulla da fare, mia madre compì un gesto disperato e così ci lasciò.

Accenno di vita passata in Venezuela
Terminata la guerra, nel 1945, mi sposai con Mario Burigo. Assieme a lui e ad alcuni parenti, decidemmo di lasciare il nostro amato paese e di recarci a vivere in terre straniere, ossia in Venezuela. Pensare di dover mollare tutto e tutti e partire per una terra sconosciuta mi turbò un po’ perché non sapevo cosa mi aspettava.
Ci trasferimmo all’isola Margherita (Venezuela), dato che un nostro parente ottenne dal governo dell’isola il posto di capo del comune. Nel febbraio del 1948, poi, a Los Teques nacque mio figlio Gianni.
In seguito ci furono degli spostamenti e dopo qualche anno dalla nascita di Gianni nacque il mio secondo figlio, al quale diedi nome Dino.

Riassunto di un’avventura
Un giorno mio marito Mario, assieme a un nostro parente, decise di esplorare alcuni luoghi nell’immensa savana circostante a dove abitavamo. Mentre stavano attraversando un rio nei punti d’acqua bassa, Mario venne punto da una specie di anguilla, molto pericolosa, che infondeva scosse elettriche. Per fortuna ricevette solamente una puntura, altrimenti sarebbe morto. Si salvò miracolosamente.

Los Teques, Venezuela, 1954. La famiglia Burigo.
(Per gentile concessione di Mara Burigo)

Indios venezuelani sul fiume, anni Cinquanta.
(Per gentile concessione di Mara Burigo)

La targa ricordo

Mi chiamo Francisc Boyer Sumavila, sono venezuelano. Come si può immediatamente comprendere, però, i miei cognomi sono europei. Il mio bisnonno arrivò da Belluno sulle coste venezuelane il 17 febbraio 1877, a bordo della nave “La Veloce”, e si stabilì in un piccolo villaggio che oggi si chiama Araira, nello stato di Miranda. In quella città arrivarono in cerca di un futuro migliore sessantaquattro famiglie italiane e tre francesi.

Il governo venezuelano offrì loro rifugio e terra da coltivare, ma molti degli italiani dovettero modificare nome e cognome, visto che in Venezuela nessuno parlava italiano e risultava difficile per gli abitanti pronunciare i nomi europei. Anche per il mio bisnonno fu così. Si chiamava Antonio Sommavila e alla fine diventò Sumavila o talvolta Sumabila. La bisnonna era Maria Dalmagre e loro figlio – mio nonno – Aristide Antonio Sumavila Dalmagre.

Ad Araira, dove vivevano, le piogge erano forti e in diverse occasioni provocarono delle inondazioni, per questo i registri ufficiali andarono persi e con essi le tracce degli uomini, donne e bambini coraggiosi che attraversarono l’Atlantico e osarono ricominciare da capo una nuova esistenza in terra straniera, sperando in una vita più dignitosa.

Le origini dei primi arrivati furono cancellate dai disastri naturali e oggi rimangono solo i discendenti a mantenere viva la storia italiana.

Nel luogo di arrivo c’è una targa commemorativa a ricordo di tutte le famiglie italiane che ci diedero la vita. In esse risiedono le nostre radici. Nessuno dei discendenti, tuttavia, ha la doppia cittadinanza, che sarebbe importante per poterci trasferire in Europa.

Dopo oltre un secolo, infatti, proprio come i nostri antenati, noi venezuelani siamo costretti a fuggire dalla crisi che attualmente travolge il nostro Paese.

Francisc Boyer Sumavila