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Mamma d’Italia 1970. Fornace ricorda la bellunese Anna Reolon

Una mamma speciale. Anche se un po’ riduttivo (come si vedrà), potremmo definire così Anna Reolon, bellunese di Visome emigrata in giovanissima età (a nove anni) nel Trentino. I genitori la affidarono a una nobile famiglia di Mattarello (Trento), presso la quale Anna – in cambio di lavori domestici – ottenne vitto e alloggio.

Nel 1906 si spostò a Fornace, accolta da una famiglia di contadini. Qui conobbe Domenico Lorenzi, figlio del suo datore di lavoro. I due si sposarono nella chiesa parrocchiale. Era l’ottobre del 1907, Anna aveva sedici anni. Fino a qui, niente di particolare. Poi la storia si fa eccezionale.

Perché Domenico e Anna ebbero ben diciotto figli: Ciro, Davide, Giuseppe, Matteo, Fortunato, Cesare, Cesarina, Romano, Costanzo, un altro Davide, Gildo, Giordano, fra Ilario, Enue, Luigia, Mario, Giovanna e Benito. I primi due, purtroppo, morirono in tenera età. Gli ultimi due – Giovanna e Benito – sono ancora in vita.

Anna, nata l’11 agosto 1891, affrontò un’esistenza di sacrifici e lavoro che nel 1970, su indicazione del Comitato Nazionale Femminile della Croce Rossa Italiana, le valsero il titolo di “Mamma d’Italia”. Ecco cosa riportava Bellunesi nel mondo del maggio di quell’anno:

«La festa della mamma di quest’anno resterà un ricordo indimenticabile per Anna Reolon in Lorenzi, la quale, domenica 10 maggio è partita per Roma per ricevere l’ambito riconoscimento di “Mamma dell’anno 1970”, alla presenza del Papa». E ancora: «Anna Reolon a settantanove anni, dopo una vita così intensa è una donna che ha saputo, per un giorno, ricordare agli italiani la fierezza e la forza delle donne e delle mamme bellunesi: un esempio che non può non aver commosso e riempito d’orgoglio noi bellunesi in patria e all’estero, perché Anna Reolon ha saputo percorrere una strada che è passata attraverso più di sessanta anni di emigrazione».

ll titolo dell’articolo pubblicato a maggio 1970 su Bellunesi nel mondo.

La “super mamma” morì il 14 febbraio 1984, a novantadue anni. Ma ancora oggi la sua storia è fonte di ispirazione e testimonianza di valori da preservare. Tanto che il 29 novembre scorso il Comune di Fornace ha voluto ricordare la propria concittadina intitolandole una sala pubblica.

Così ci ha scritto il sindaco, Mauro Stenico, nel darci notizia dell’evento: «Verso la fine del 2021 il signor Arrigo Postinghel, esperto conoscitore della storia e di molti aneddoti del nostro paese, mi consegnò una ricca documentazione giornalistica d’epoca relativa alla “Mamma d’Italia 1970”: la signora Anna Reolon, di Fornace. Il signor Postinghel, che era peraltro stato tempo addietro in visita presso il Municipio assieme al signor Benito Lorenzi, uno dei figli di Anna, mi chiese in quell’occasione di conservare il fascicolo di documenti presso gli archivi comunali, in modo da lasciarlo a disposizione di future generazioni eventualmente interessate a consultare testimonianze e atti relativi alla storia della nostra comunità. “Ottima idea!”, dissi e pensai immediatamente. Tuttavia, presto cominciai a riflettere se non si potesse fare qualcosa di più significativo per conservare la memoria di questa straordinaria donna. L’idea che sorse in me fu allora di intitolare una sala pubblica alla signora Reolon, a perpetuo ricordo. Ne parlai immediatamente con la Giunta, che valutò la proposta come un’iniziativa assai positiva. Tutti assieme, dopo aver vagliato diverse ipotesi, individuammo la sala pubblica della Scuola Primaria “Amabile Girardi” come spazio ideale per l’intitolazione. La struttura scolastica del paese avrebbe così conservato la memoria non soltanto della signora Amabile Girardi, ma anche, ex novo, di Anna Reolon».

Il Sindaco Stenico con i parenti presenti alla seduta consiliare di intitolazione

Oltre alla cura dei figli, ha raccontato il primo cittadino ripercorrendo la biografia della celebrata nel discorso tenuto all’evento di intitolazione, Anna si dedicò all’assistenza del suocero infermo. Nel secondo dopoguerra (al conflitto presero parte sette dei suoi figli – tre dei quali fatti prigionieri – oltre al marito Domenico, già tornato senza un occhio dalle battaglie del ’15-’18), fu obbligata dalle ristrettezze economiche e dall’assenza di lavoro a darsi al contrabbando. «Una volta a settimana si recava a piedi da Fornace a Taio (circa cinquanta chilometri), dove si incontrava con alcuni contrabbandieri svizzeri che recavano sigarette».

Le proprie cure la signora Reolon le offrì anche alla vedova e ai bambini di uno dei suoi stessi figli morto in giovane età, così come ai nipoti regalatile da un altro dei suoi figli rimasto vedovo.

Anna in una fotografia degli anni Settanta

«Nel corso degli anni Settanta – spiega ancora il sindaco – per la sua straordinaria devozione cristiana alla famiglia e al prossimo, nonché per le eroiche virtù di umiltà, bontà, fede e spirito di sacrificio, ella divenne un vero e proprio riferimento a Fornace (e non solo). La signora Reolon soffrì vari lutti per la morte di figli e familiari, ma ebbe numerose gioie per la nascita di molti nipoti e pronipoti». Ecco perché, «in ragione dei meriti, dei sacrifici compiuti, dell’eroismo e delle virtù dimostrate, il Consiglio Comunale di Fornace ha approvato all’unanimità la proposta di intitolazione della sala pubblica della Scuola Primaria “Amabile Girardi” ad “Anna Reolon (1891-1984), Mamma d’Italia”».

Le immagini ci sono state gentilmente concesse dal Sindaco di Fornace Mauro Stenico.

I quattro di Zermatt

La storia dell’emigrazione italiana è purtroppo anche storia di tragedie sul lavoro. Famosa quella di Marcinelle, o quella di Mattmark, con quest’ultima che ha coinvolto pesantemente la provincia di Belluno. Anche il nostro territorio, infatti, segnato nei decenni da un massiccio flusso di partenze, ha visto tanti suoi figli perdere la vita all’estero. Un episodio poco noto e quasi dimenticato è quello avvenuto a Zermatt, nel Canton Vallese, il 14 maggio del 1963. Quel giorno, sorpresi dai fumi di monossido di carbonio, persero la vita quattro bellunesi, tutti molto giovani. Il più vecchio, infatti, aveva ventisei anni.

A riportare alla luce quell’indicente sono i fratelli Alberto e Mario Uliana, originari di Visome e anch’essi emigrati in terra elvetica, dove Mario – socio della Famiglia Bellunese di Lugano – ancora risiede. Nel cantiere teatro del sinistro, fino a un mese prima c’era anche lui, appena diciassettenne. Lì Mario e Alberto persero il fratello Alcide, morto da eroe nel tentativo di salvare i suoi compagni di lavoro. Fu proprio Alcide a consigliare a Mario di lasciare quel posto e a trovargliene uno a Zurigo. Alberto, invece, era occupato a St. Moritz, nei Grigioni. Nei Grigioni (a Ilanz) c’era anche il quarto fratello, Gino, mancato a Visome nel 1996.

«Io ero ancora minorenne – testimonia Mario tornando con la mente a quell’epoca – e mio fratello era il mio tutore. Era stato lui a firmare i documenti per farmi entrare in Svizzera e sempre lui mi aveva suggerito di cercare impiego da un’altra parte». 

Alcide Uliana

Non si sa se Alcide avesse intuito i pericoli che un ragazzo poteva correre lavorando in quel posto. Fatto sta che il 14 maggio avvenne la tragedia. È ancora Mario a raccontare: «Stavano costruendo una galleria di rimonta per una condotta che portava l’acqua dalla diga della Grande Dixance alle turbine di una centrale elettrica sotterranea. La squadra di mio fratello, composta da sette persone, faceva il turno di notte». Giunto sul posto, il gruppo si accorse che le cose non andavano come al solito, ma non ci dette particolare peso.

«C’era una colonna che bloccava il materiale delle esplosioni e un sistema di ventilazione che faceva fuoriuscire il fumo – spiegano Alberto e Mario -. Salendo, non videro il fumo, ma pensarono che la sciolta precedente avesse caricato di più e completato la foratura. D’altra parte, mancavano pochi metri, tanto che nella mensa era già pronta la festa per il raggiungimento dell’obiettivo.

Così entrarono e appena i primi varcarono la porticina iniziarono a cadere a terra. Il materiale degli spari aveva bloccato il tubo di areazione e il gas era intrappolato dietro la barriera di protezione». Fu allora che Alcide, rimasto un po’ più indietro, tentò il tutto per tutto per salvare i suoi compagni e amici.

«Riuscì a tirarne fuori tre. Poi cadde anche lui. Quando i superstiti ripresero conoscenza e allertarono i soccorsi era ormai troppo tardi. Alcide lo trovarono metà dentro e metà fuori». Gli altri a perdere la vita furono Sergio Bianchet, Giancarlo Cesa e Luigi Da Rold. I sopravvissuti, grazie ad Alcide, furono Angelo De Pellegrin, Giuseppe Borghetti e Bruno Gherardi, come riportato dai quotidiani svizzeri dell’epoca.

«Non dimenticherò mai il funerale – spiega ancora Mario – era il 18 maggio, il giorno del mio compleanno». Di lì a qualche mese la provincia di Belluno sarebbe stata funestata da un’altra sciagura, quella del Vajont. E poi ancora dal disastro di Mattmark. Ancora vittime. Ancora uomini caduti mentre svolgevano, lontano da casa, il proprio mestiere.

Visome, 18 maggio 1963. Due momenti del funerale di Alcide Uliana.
Immagini gentilmente concesse da Alberto Uliana

Anna Reolon

Anna Reolon era originaria di Visome di Belluno. A sedici anni, nel 1907, se ne andò in Trentino in cerca di lavoro. Erano quelli gli anni di forte emigrazione di donne e ragazzetti – ciode e ciodet – nelle case dei contadini della vicina regione. Anna si stabilì a Fornace, un paesino nei pressi di Trento e trovò lavoro presso la famiglia Lorenzi; in quel periodo andava forte l’allevamento dei bachi da seta. Anna Reolon sposò il figlio del datore di lavoro e mise al mondo ben diciotto figli, dei quali quattordici viventi (nel 1979): un primato invidiabile e per questo nel 1969 l’hanno proclamata “Mamma dell’anno”. Ma la sua storia non finisce qui, perché la sua vita fu sempre dura. Nel 1915 il marito partì per il fronte lasciandola con sette figli ed un altro stava per nascere. Nella seconda guerra mondiale vide partire ben sette figli; nel 1959 morì il marito, invalido di guerra, che aveva lavorato nei campi e in miniera. Anna Reolon è sempre vissuta nel clima dell’emigrazione, i suoi figli si sono sparsi un po’ in tutta Italia e due si furono trasferiti all’estero. Si può dire che nella vita di Anna c’è sempre stato spazio per il lavoro e la famiglia, i figli da allevare con sacrifici e sofferenze. A chi le chiedeva come è sempre riuscita ad andare avanti rispondeva che deve ringraziare il Signore per averle sempre dato una buona salute, sia a lei che ai figli. E così Anna Reolon da Visome a settantanove anni ha saputo ricordare agli italiani la fierezza e la forza delle donne e mamme bellunesi: un esempio che non può non aver commosso e riempito d’orgoglio i bellunesi in patria e all’estero. 

Fonte: BNM n. 5/1970