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Dalla falegnameria alla gelateria

Le storie di emigranti si snodano sempre tra appagamenti e nostalgia, valigie colme di speranza ed emblema di sacrificio. Giunti a una certa età si è portati a tracciare dei bilanci del passato, intrecciando emozioni e stati d’animo che rendono vivo il ricordo dei lunghi anni di emigrazione. La mia è una storia come tante, comune a quella di molti altri emigranti.

Sono nato a Fornesighe di Zoldo il 22 dicembre del 1930. Ho frequentato a Forno solo le elementari, perché a quei tempi, per le famiglie modeste, era impossibile mandare i figli a scuole di grado superiore. Mio padre Pietro faceva il falegname e così nell’età adolescenziale l’ho seguito nella sua attività. A Sondrio avevo uno zio e per due anni sono rimasto con lui a imparare il mestiere. Dopo questa parentesi mi sono trasferito a Firenze, impiegato nella costruzione di un ponte sull’Arno, in località Fucecchio. Ero forse il più giovane, ma essendo pratico nell’uso dei macchinari, il padrone mi consegnò le chiavi della falegnameria. Ritornato a Zoldo ho proseguito nell’attività di falegname.

Nel 1957 ho portato all’altare mia moglie Franca e, in seguito, la nostra unione è stata allietata dalla nascita di Mara, Pierina, Giovanni e Patrizia. Continuando a svolgere l’attività di falegname a Zoldo, mi sono reso conto che il lavoro era tanto, ma il profitto purtroppo non soddisfaceva le esigenze della famiglia. Così, dopo un paio d’anni, io e mia moglie abbiamo deciso di seguire la via di molti nostri compaesani che avevano avviato l’attività di gelatieri. Ho trovato un ambiente accogliente nella cittadina di Gifhorn, nella Bassa Sassonia, dove sono rimasto fino a pochi anni fa, quando ho lasciato l’attività a mio figlio.

… mi sono sentito appagato, pur provando nostalgia verso gli amici e i parenti lasciati nella natìa e suggestiva Fornesighe.

Non ho trovato difficoltà nell’inserirmi nella società locale, poiché i tedeschi apprezzavano il nostro gelato. Sono così cominciate a fiorire amicizie, si sono stretti i rapporti coi clienti. In poche parole, mi sono sentito appagato, pur provando nostalgia verso gli amici e i parenti lasciati nella natìa e suggestiva Fornesighe. Ho cercato di svolgere il mio lavoro con onestà, disciplina e professionalità, ho conosciuto una cultura diversa, senza mai dimenticare le mie origini, le tradizioni locali, gli insegnamenti delle vecchie generazioni. Qualche anno fa sono stato richiamato a Gifhorn per ricevere un riconoscimento da parte delle autorità locali, come segno di apprezzamento per quanto fatto in quella città. È stata una giornata meravigliosa, ricca di soddisfazione e di pathos, nella quale le corde delle emozioni hanno vibrato a lungo. La vita è fatta di innumerevoli parentesi, di traguardi raggiunti e di imprevisti, ma sempre bisogna superare i momenti delicati con la fede nel cuore.

Nel 2007 abbiamo festeggiato le nozze d’oro, un giorno memorabile in cui abbiamo ringraziato il Signore per tutto ciò che ci ha donato. Ora, da nonni, accudiamo i nostri nipoti quando i loro genitori sono all’estero per la stagione estiva. Ci sentiamo appagati e felici di poter aiutare ancora, di sentirci utili e uniti. Non ho abbandonato il mestiere del falegname e faccio lavoretti e oggetti, che magari poi regalo.

Ricordo le soddisfazioni avute, i momenti di felicità e anche quelli di dolore

Ma il profumo del legno mi attrae ancora, mi inebria e mi ricorda quel tempo ormai lontano. Dicevo che, a una certa età, si tirano le somme e, nel farlo, nulla del mio passato è offuscato dall’oblio. Ricordo le soddisfazioni avute, i momenti di felicità e anche quelli di dolore, come la ferita al cuore che ho provato con la prematura scomparsa di mia figlia Mara.

Ora vivo sereno con la mia coscienza, la mia vita è sempre stata dedicata al lavoro e alla famiglia. Questa è la mia storia, la storia semplice di un uomo, la storia di un emigrante.

Romano Giacomel

Fucecchio, 1957. Romano Giacomel al lavoro durante la costruzione del ponte sull’Arno.

Terra straniera… Quanta malinconia!

Sciacca, la mia città d’origine, si affaccia sul Mediterraneo come ultimo lembo d’Italia. Proprio lì, in quella terra piena di sole, sono nato il 1° aprile 1949. La mia famiglia era composta da otto maschi e una sola femmina. Cinque fratelli sono purtroppo mancati in tenera età, a causa di malattie per la cui cura all’epoca non esistevano ancora medicine. Mia madre era casalinga. Mio papà faceva il pescatore: lavorava per la Marineria di Sciacca. Lì si poteva pescare il famoso “pesce azzurro”, ovvero sardine e acciughe.

In giovane età lavoravo presso una fornace e seguivo a volte mio padre nelle uscite di pesca. Amavo la mia terra, fatta di gente umile e laboriosa. Mio padre, dotato di una voce dalla bellezza non comune, cantava volentieri, pur nella fatica del lavoro. Mi sembrava che nel suo canto rivolgesse preghiere al Signore, ringraziandolo di averlo fatto nascere in quell’ambiente ubertoso, ricco di fascino, abitato da gente umile e modesta.

Ero affascinato dal canto già da bambino e sin da allora venivo reclutato in occasione di sposalizi e feste. Un mio amico che lavorava in Germania mi fece sapere come in quel Paese ci fossero delle serie possibilità di lavoro, così come di tenere intrattenimenti musicali, dato che lì la canzone italiana era molto apprezzata. Era l’8 agosto del 1966 quando lasciai quella mia terra, che amavo tanto, ma che avrebbe potuto offrirmi solamente il mestiere di pescatore. Distaccarsi dai luoghi che ti hanno visto nascere diventa sempre un piccolo e intimo dramma. La valigia era pronta.

«Ma dove stai andando, Giovanni?» mi chiedevo. Arrivato al confine mi accorsi che piangevo.

Le onde di un mare increspato da un vento leggero sembravano portare un dolce canto sussurrato, che mi scendeva fin nel profondo dell’anima. Il profumo di zagara pareva farsi più intenso e le lacrime dei miei genitori erano come dolorose stilettate che ferivano il mio cuore. Il viaggio in treno fu lunghissimo. Guardavo continuamente dal finestrino. Scomparivano alla mia vista paesi su paesi e nella mia mente serpeggiavano mille pensieri: «Ma dove stai andando, Giovanni?» mi chiedevo. Arrivato al confine mi accorsi che piangevo.

Giunto a destinazione provai un senso di smarrimento, ma il mio amico mi trovò subito un posto di lavoro in una fabbrica metallurgica. Ben presto cominciai a conoscere circoli frequentati da italiani, accomunati dallo stesso destino. Sempre più spesso venivo chiamato a cantare canzoni nostalgiche che ricordavano la nostra Italia lontana. In principio cantavo in piccoli ritrovi, poi la mia fama si espanse e potei esibirmi nelle grandi piazze. La mia notorietà di emigrante si allargò e mi feci conoscere nelle città di Aschaffenburg, Francoforte, Würzburg. Ricevevo qualche compenso da aggiungere al mio stipendio e mi sentivo felice, perché potevo mandare qualche marco a sostegno della mia famiglia.

Nel 1969 venni invitato a Castrocaro, dove fra un migliaio di partecipanti, tra i quali figuravano i nomi di Michele e Rita Pavone, riuscii ad entrare nei dodici finalisti. Avevo già un’esperienza alle spalle, poiché nel 1964, alla festa degli sconosciuti a Reggio Calabria, condotta da Teddy Reno, riuscii a classificarmi al quarto posto. Quella manifestazione fu vinta da Dino, che sarebbe diventato poi un cantante di fama internazionale.

Il mio sole incominciò a risplendere quando incontrai sulla mia strada Maria Teresa Mosena, anch’essa emigrata.

In Germania la mia vita si divideva fra lavoro e canto. A volte provavo quella solitudine tipica di ogni emigrante quando si trova lontano. Ma il mio sole incominciò a risplendere quando incontrai sulla mia strada Maria Teresa Mosena, anch’essa emigrata. Lei era di Zoldo e ricordava i suoi monti che facevano da cornice alla borgata di Casal. Io ricordavo il mare che pareva accarezzare Sciacca. Una nostalgia in comune, lenita dal nostro amore. Ci sposammo a Forno di Zoldo nel 1972 e io continuai nel mio lavoro in fabbrica, lei in una sartoria, fino al momento del pensionamento. Il nostro amore fu completo con la nascita di due figlie.

Ma ciò che si ha nel cuore non si può abbandonare. Così continuai a cantare sempre per accontentare il pubblico, formato in gran parte da emigranti. Qualche anno fa venni chiamato persino a Miami Beach, a intrattenere gli invitati al matrimonio di un mio compaesano emigrato tanti anni prima negli Stati Uniti. Ora vivo tra Sciacca e Zoldo. Talvolta penso a quei giorni lontani della mia emigrazione, in special modo quando mi classificai secondo a un Festival in Germania nel 1976, per poi vincerlo l’anno seguente.

Ricordo sempre le fatiche di mio padre, che lavorava giorno e notte, l’amore di mia madre per la famiglia, gli amici emigranti incontrati nella mia vita. Non ho fatto del canto una professione. Tuttavia, mi sento onorato di aver allietato le serate dei miei connazionali in terra straniera, facendo conoscere quell’Italia che, attraverso le musica, viene sempre apprezzata e stimata. “Terra straniera… Quanta malinconia!”*. Mi torna ora alla mente questa canzone e mi accorgo che una lacrima scende dai miei occhi.

Giovanni Soldano

*”Terra straniera”, canzone di Claudio Villa.

Annabella Fairtlough

Mi chiamo Annabella Fairtlough, nome italiano, cognome inglese. Sono nata a Roma quaranta anni fa. I miei nonni italiani, Jole Mosena e Arturo Campo, erano bellunesi, zoldani emigrati in Spagna nel 1936. Mio nonno lavorava nelle costruzioni e doveva viaggiare in tutta Italia. Mia nonna aveva lavorato in una gelateria in Ungheria. Lei lo convinse ad aprire una gelateria in Spagna per poter stare insieme. Dopo diverse difficoltà, la guerra in Spagna, la guerra in Italia, una figlia, mia zia Aida lasciata a Zoldo, mia mamma Marina nasce nel 1942 a Cadice, dove avevano aperto la gelateria due anni prima.

Ritornavano a Zoldo ogni tre anni. Parlavano zoldano in casa, anche se mia mamma rispondeva in spagnolo. Lei trova un inglese, si sposano e finiscono a Roma1. Nasco, studio in una scuola internazionale inglese, facciamo vacanze ed amici tornando ogni estate a Zoldo. Vado all’università in Inghilterra, lavoro a Londra come architetto e tutto sembra avviato su un binario buono.

Invece il destino è stato diverso. Londra è bella e stimolante, il lavoro interessante, ma volevo qualcosa in più. Ho deciso di utilizzare i miei risparmi per fare il giro del mondo per un anno: Brasile, Perù, Cile, Bolivia, Nuova Zelanda, Thailandia, Laos, India. In Perù, salendo una montagna di 6000 m., ho incontrato Santiago, guida alpina spagnola, e decidiamo di vivere insieme e iniziare una attività nelle Dolomiti.

Così ritorno al paese dei nonni e delle mie vacanze nella Val di Zoldo. La nostra attività “Dolomismo”, avventure guidate nelle montagne, comincia. Con i nostri contatti abbiamo più clienti dall’estero che dall’Italia. Mi sembra un sogno lavorare per vivere in Zoldo e fare quello che ci piace: scalare il Pelmo, fare torrentismo a Claut, “ciaspolare” a Palafavera, arrampicare sulle pareti di ghiaccio di Sottoguda.

Dopo anni in città, Roma, Milano, Parigi, Londra, la vita zoldana piace. C’è più tranquillità, più solidarietà, più serietà. Lavoriamo sodo, ma c’è anche tempo per rilassarci. Mangiamo bene, ma non troppo. Conosciamo nuova gente e rinnoviamo lontane amicizie.

Nel 2006 mia sorella Amapola, anche lei un po’ stufa della vita di città, si sposa con uno zoldano, amico delle nostre vacanze giovanili. Il suo lavoro le permette di lavorare da casa con visite saltuarie all’ufficio vicino a Milano. Arrivano tre figli che parlano inglese, zoldano e italiano. Lei vuole impegnarsi per la comunità zoldana. Crea una lista per l’elezione del comune; arriva seconda con uno scarto di soli 16 voti.

All’inizio di quest’anno con nostro padre (insegnante di lingua inglese), abbiamo deciso di iniziare una nuova attività per noi stessi e anche per l’economia locale. Si chiama “English Summit” (“Cima Inglese”) www.englishsummit.eu, dove riuniamo gruppi di persone per perfezionare il loro inglese, con programmi di conversazione intensivi e con volontari di madre lingua che parlano continuamente con loro per un’intera settimana… nell’incantevole isolamento di Fornesighe.

Annabella Fairtlough
La storia dei genitori di Annabella è contenuta nel libro (in lingua inglese) “Love, War and ice cream”

Cesare Lamastra

Cesare Lamastra

La mia vita di emigrante pare tratta da un romanzo di Salgari, ma sulle navi che solcavano gli oceani non c’erano i pirati bensì marinai che con fatica e sudore si guadagnavano ogni giorno il sudato pane. Io ero uno di quelli. La storia della mia famiglia è semplice.

Mia madre di Villa di Zoldo aveva trovato impiego a Trieste in una gelateria dove incontrò mio padre che faceva il marinaio. Lui era proveniente dal Sud. Il loro fu un amore a prima vista ed il giorno di San Valentino del 1936 venni alla luce portando un raggio di sole nell’unione dei due sposi.

Giunto all’età scolare frequentai la prima classe elementare a Fiume (oggi Rieka, ma in seguito mia madre decise di portarmi dai nonni a Zoldo per farmi crescere in un ambiente più tranquillo. Finita la quinta elementare praticai una scuola dove insegnavano il mestiere di carpentiere e di muratore e a quindici anni ero in Val Grisende sulla Dora Baltea, dove costruivano una diga; venni poi trasferito a Zoldo in occasione dell’apertura di un cantiere a Pontesei dove avrebbero innalzato una diga. Ai nostri giorni sarebbe inconcepibile per i giovani di quindici anni praticare un lavoro massacrante sotto pioggia e gelo ad ogni stagione, arrampicati ad altezze spaventose con sistemi di sicurezza precari. A quel tempo eravamo in tanti in quella condizione: non abbiamo avuto una vita facile.

Quando si è nati in un luogo dove la natura ogni giorno propone processi nuovi e fantasmagorici spettacoli proposti dal sole, le montagne sembrano precludere lo sguardo per trattenere i propri figli come fa una madre. Ma la valigia diventa imposizione, l’emigrazione croce e delizia dell’uomo. Mio padre, notando la durezza del mio lavoro, un giorno mi portò a Venezia e siccome veniva dalla navigazione gli fu facile farmi avere il libretto di navigazione e così incominciava per me una nuova vita, una vita continua di emigrazione. Incominciai la mia vita di marinaio su una petroliera che trasportava petrolio greggio dall’Arabia Saudita al Nord Europa per poi passare ad altre navi molte delle quali portavano la bandiera del Panama che stava a significare la mancanza di assicurazione. Volevo un lavoro sicuro e finalmente trovai nella “Società di navigazione Italia” ciò che cercavo. Ho lavorato per anni su tante navi. Ricordo con uno stato d’animo particolare la nave “Hermosa”. Ero a Bahia Blanca in Argentina e si doveva caricare del grano. La partenza della nave era prevista per le 9 del giorno dopo e, passata la notte con una bella ragazza, alle 7 mi recai al porto per apprendere che la nave era partita da cinque minuti. Dovetti rimanere a Buenos Aires in attesa di ordini per rimpatriare, ma il ritorno avvenne dopo oltre un anno. Nel frattempo mi ero sposato con una ragazza argentina che mi regalò due splendide bambine per poi volatilizzarsi. Solo, a suon di sacrifici, allevai onestamente le mie figlie.

Avrei tanto da raccontare della mia vita, fatta di luci ed ombre, ma lo spazio è tiranno e devo fermarmi all’essenziale. Michelangelo, Raffaello, Cristoforo Colombo, altri nomi altisonanti mi tornano alla memoria. Ancora mi pare di risentire il fischio che annunciava la partenza. Guardavo l’Italia che si allontanava con un senso di malinconia, ma questa era quasi dolce, perché col pensiero pregustavo, a mesi, la gioia del ritorno. Non ci si abitua mai a partire, le notti dell’emigrante sono trapunte di sogni che brillano come stelle del firmamento, i canti nostalgici, le città visitate in ogni parte del mondo che hanno visto la partecipazione degli emigranti italiani, altri particolari mi facevano sentire orgoglioso di essere italiano.

Una volta smesso il servizio sulle navi, prima di andare in pensione, ho lavorato per dieci anni ad Avellino per rimanere fino al 1994 per poi tornare definitivamente a Zoldo. Nei miei viaggi ho toccato ben 20 nazioni: dalla Svezia all’Africa, dal Nord America al Giappone. Ho toccato – fermandomi più o meno a lungo – oltre cento porti. Non li elenco, ma i loro nomi sono tutti impressi nella mia memoria. Questa la mia vita di emigrante. Nostalgia e fatica, disagi e qualche appagamento, la partenza, il rientro. Luci ed ombre dicevo sopra. Le ombre nel passare momenti bui, dolorosi anche, ma talvolta i sogni si avverano, il destino pare possedere una bacchetta magica. Una sera durante una festa paesana ballavamo all’aperto. Il cielo era trapunto di stelle come quando navigavo al mare. Eros scoccò la sua freccia e credere che i sogni si avverino e che il destino prima o poi ti da ciò che ti ha rubato fu tutt’uno. Annetta era di fronte a me; ora sono dieci anni che mi sta ancora di fronte in ogni momento donandomi amore vero come io lo dono a lei. Abitiamo a Mas di Sedico e talvolta a Zoldo. Nei momenti liberi costruisco navi in scala che mi ricordano la mia gioventù, il mio lungo viaggiare per le vie del mondo.

Mentre scrivo questi miei ricordi di emigrante, Annetta mi è accanto e sento la serenità che mi culla come l’onda del mare. Lei mi è vicina e mi fa capire in ogni momento che sono arrivato in un porto nel quale fermarmi per sempre per assaporare fino all’ultimo giorno della vita la felicità.

Cesare Lamastra

Giovanni D’Isep. Il suo cuore batterà sempre per la Val di Zoldo

Il giorno 4 febbraio ho festeggiato i 50 anni di matrimonio. In quel momento, come destati da arcane ed intime potenze, si sono fatti vivi tutti i ricordi della mia vita di emigrante. Mi sono ritrovato, come per superbo incanto, sui banchi di scuola, dove passavo il periodo invernale a Zoldo, per poi cambiare e ritrovarmi a Pinerolo, dove i miei genitori gestivano una gelateria. Dovevo abbandonare i miei amici d’infanzia, per ritrovarmi in un ambiente nuovo, tutto da scoprire; inserirmi in un nuovo contesto, ben lontano dall’ambiente di Zoldo. Quando me ne andavo, pur essendo bambino, guardavo i miei monti, vedevo scomparire la valle che mi suggestionava con i suoi colori, i canti ed i suoni della natura. Il distacco era doloroso, le figure degli anziani si allontanavano, ma non dal mio cuore. Ed il 4 febbraio tutti questi ricordi si sono ridestati nella mente. Mio padre Valerio, una volta finito il servizio militare, si era finalmente formato la sua famiglia. Doveva tuttavia pensare al futuro, per il sostentamento dei suoi cari. Suo fratello Giobatta era a Milano, occupato nell’attività di gelatiere ambulante. Gli affari non andavano per il meglio e decise allora di trasferirsi a Pinerolo, dove esisteva una scuola di Cavalleria. Mio padre lo seguiva così in Piemonte; anche lui incominciava la vendita del gelato, con il tipico carretto: era questa l’attività dei primi pionieri dell’attività di gelatiere. Nel 1939, dopo anni di sacrifici, mio padre aveva già aperto una gelateria, attività tuttora esistente, dove ha visto passare ben cinque generazioni, dato che oggi è condotta da mio figlio Ernesto.

Mio padre morì nel 1961, ma già anni prima era sofferente nella salute, così io avevo dovuto prendere in mano le redini della gelateria.

La gestivo con mia madre Antonia – alla quale va ancora oggi il mio ricordo – aiutato anche da volonterosa gente del posto. Capitò così il giorno fortunato della mia vita, in cui incontrai Giancarla, la donna che ancor oggi mi dà amore e sicurezza. Il suo sorriso, la sua bellezza tutta italiana, l’intelligenza, il senso pratico e la comprensione mi avevano fatto innamorare. Dal nostro matrimonio sono nati due figli, ai quali abbiano imposto il nome di ciascuno dei nonni, come si usava un tempo, per rispetto e riconoscenza ai nostri padri che ci avevano dato la vita. Nella cittadina di Augsburg, fondata dai Romani, mio suocero Ernesto gestiva una gelateria; era un uomo bonario e intelligente, aveva un portamento elegante e fiero, era benvoluto da tutti, in virtù del suo equilibrio, unito alla simpatia nel dialogare con gli altri. E’ nel 1968 che, formata la nuova famiglia, ci siamo spostati nella gelateria del suocero, fino al raggiungimento della pensione, nell’anno 2010. Oggi Ernesto porta avanti la gelateria di Pinerolo, mentre Valerio gestisce quella ad Augsburg.

Ed i ricordi continuano a mulinare nella mia mente, come farfalle di primavera.

Quel 4 febbraio il nostro pensiero era rivolto ai Signore per tutto ciò che ci ha dato; ai nostri genitori per le grandi eredità morali che ci hanno trasmesso, per gli insegnamenti ricevuti, che sono stati una pietra miliare sul nostro cammino, con sopra incise le parole: amore, onestà e gratitudine. Non sempre la mia vita di gelatiere è stata facile. Nel periodo trascorso lontano dalla valle natia, il mio pensiero si alzava verso quel firmamento di stelle luccicanti, per riportarmi nella fantasia alla mia amata Zoldo. E correvo da bambino con gli “scarpet”, a piedi nei prati umidi di rugiada e profumati dai fiori, che aprivano la corolla al sorgere del nuovo giorno. Rivedevo gli anziani seduti davanti a casa, sulla panca di legno. Risentivo il canto monotono e malinconico del cuculo in amore, a maggio. La mia valle, nei miei pensieri, diventava l’anfiteatro della natura, gli anziani e le donne, impegnati in ogni mestiere, erano gli attori di un film dove l’insuperabile regista era Uno.
Ora sono ritornato per sempre alla mia valle. Con la moglie Giancarla molte volte ricordiamo i tempi passati. Nei ricordi si alternano giorni di appagamento, momenti di gioia e di apprensione. Ad una certa età si tirano le somme della vita trascorsa. Un filosofo diceva che la felicità è da cercare in quello che abbiamo noi e mai in quello che hanno gli altri! Mi sento una persona felice! Un altro filosofo diceva che la tua vera Patria è quella dove guadagni il tuo pane quotidiano; certamente mi sento di avvalorare queste parole! Amo Zoldo, ma Pinerolo ed Augsburg le terrò sempre nel mio cuore fino all’ultimo giorno della mia vita.

Giovanni D’Isep