Category “Vite migranti”

Storie di emigranti bellunesi

La balia Angela Cesa De Costa

Angela Cesa De Costa

Il dopoguerra fu un periodo molto critico per la nostra provincia la cui economia era essenzialmente basata sull’agricoltura. Le rare industrie ed un artigianato minacciato da una grave crisi economica, non offrivano alcuna prospettiva di assunzione. I poderi agricoli erano generalmente poveri, male attrezzati, e l’emigrazione era la sola via possibile per gran parte della gioventù. Niente lasciava allora prevedere il miracoloso sviluppo economico della Val Belluna intervenuto negli anni successivi al dramma del Vajont.
I miei genitori, Lino De Costa e Angela Cesa, si sposarono a Lentiai il 19 novembre 1949. Mio padre emigrò all’estero e trovò lavoro come minatore in galleria. La mamma rimase nella casa dei nonni paterni. Nel 1954 nacque Milena e la necessità spinse la nostra mamma ad iscriversi ad un’agenzia che “reclutava” signore idonee per il baliatico.

Milena aveva 5 o 6 mesi quando la mamma ricevette una chiamata urgente per allattare una bambina di Brescia. Si rese subito disponibile e, dopo avermi affidata a sua madre e Milena a sua suocera, partì, sebbene a malincuore, per salvare una piccola in gravi difficoltà di sopravvivenza a causa della mancanza di latte materno.

Per alcuni mesi tutto andò bene, poi la preoccupazione delle figlie lontane facendosi sempre più assillante, Angela non fu più in grado di allattare, ma la bambina ed i suoi genitori si erano affezionati a lei. Angela accettò d’occuparsi della piccola come “baby sitter” e rimase ancora tre mesi. Ebbe così la soddisfazione, quando ripartì, di aver ben cresciuto la bambina e di poter portare a casa qualche soldo contante.
Dopo circa tre anni, Angela partì per altri dieci mesi nei pressi di Novara dove venne chiamata a servizio come bambinaia per due gemelli di un anno. Nel frattempo il papà lavorava sempre all’estero, in galleria, sempre lontano da noi, ma fortemente motivato dal riavvicinamento che effettuò non appena gli fu possibile.

La figlia Valeria

Angelo e Giuseppina Fregona

Giuseppina e Angelo

Quest’anno è mancata Giuseppina Casagrande, già ricordata dalla Famiglia Monte Pizzocco. Venticinque anni fa era mancato anche suo marito Angelo Fregona. Una coppia che, assieme ad altri volonterosi bellunesi, cinquant’anni fa collaborò, magari dietro le quinte, alla fondazione della Famiglia Bellunese di Zurigo. Difatti, sulla lista del primo Consiglio Direttivo, troviamo il nome di Angelo e di Marilisa Fregona, loro primogenita.
Angelo era un bellunese molto generoso. Sin dalla nascita della Famiglia ABM di Zurigo, anno 1966, si era impegnato in seno al Consiglio come tesoriere. Non solo, il suo impegno principale è stato quello di propagandare ai nostri coetanei qui residenti la presenza dell’Associazione, motivandoli a farsi soci e a partecipare alle riunioni, conoscersi e farsi conoscere, aver più contatto con la Provincia e con la Regione: questo era il moto di quei tempi. Di fronte alla sciagura di Mattmark ci siamo sentiti soli, con poche informazioni e inerti, incapaci di renderci utili di fronte alla gravità dell’accaduto. Dopo cinquant’ anni, i ricordi rendono sempre più tangibile la situazione dell’emigrazione dell’epoca. Con l’impegno dei nostri pionieri bellunesi, fra questi anche Angelo e Giuseppina, la Famiglia di Zurigo raggiunse in pochi anni 330 famiglie iscritte, la più numerosa della Svizzera (record mantenuto fino ad oggi).

Voglio ricordare un particolare dell’impegno della famiglia Fregona.

Giuseppina, che a quel tempo amministrava una casa con mini appartamenti per gente che pernottava durante la settimana, era riuscita a dare alloggio a tutto il Gruppo Folcloristico di Cesiomaggiore (oltre trentacinque persone), venuto a dare spettacolo a una nostra manifestazione. All’epoca non era cosa facile trovare alloggi per così tante persone e in più gratuitamente, cosa naturalmente sostenuta dal marito, cassiere dell’ABM-ZH. Angelo e Giuseppina erano emigrati in Svizzera dopo il matrimonio, nel 1947. Erano rientrati in Italia nel 1948 per la nascita dalla primogenita Marilisa, per poi, nel 1951, ripartire per Zurigo dove nel 1961 arrivò anche la secondogenita Adonella. Nel 1986, dopo circa. trentanove anni di emigrazione, Angelo e Giuseppina andarono in pensione e decisero di lasciare definitivamente la Svizzera per rientrare a Campo di Santa Giustina dove, da buoni italiani, si erano preparati l’abitazione per la terza età. Qui a Zurigo rimasero le due figlie, Marilisa e Adonella con le loro famiglie. La sorte volle che per Angelo la morte arrivasse nel 1990, quattro anni dopo il rientro.
Giuseppina, con molto coraggio e determinazione visse in casa da sola. Ultimamente anche aggravata e costretta a muoversi solo con le stampelle, ebbe la fortuna di trovare un valido aiuto da Silvana, la sua amica che l’assistette fino alla fine, all’età di novantadue anni.
Ricorderemo Angelo Fregona e Giuseppina Casagrande per il loro impegno a favore della comunità bellunese e dell’ABM di Zurigo.

Per l’ABM di Zurigo, Saverio Sanvido – gennaio 2016

Ottavio Romanel. Io, mancato “caregheta”

Cantiere in Nigeria, con la moglie e un dipendente locale
Cantiere in Nigeria, con la moglie e un dipendente locale

Mi chiamo Ottavio Romanel, sono nato a La Valle Agordina il 5 giugno 1935.e voglio raccontare la mia storia di mancato caregheta.
Figlio di careghete iniziai tale attività nel biennio 1949-50 in quel di Savona, dove mio padre aveva la zona di lavoro. Questo avvenne dopo aver frequentato l’avviamento professionale nella scuola di Agordo. Ma i tempi stavano cambiando e allora chiesi a mio padre di riprendere gli studi all’ITIM, Istituto Tecnico Industriale Minerario di Agordo.
Conseguii il diploma nel 1956 e a marzo del 1957 fui assunto dalla RAIBL, Società Mineraria di Cave del Predil, che estraeva i minerali di blenda e galena. In quel periodo la direzione tecnica era affidata alla Pertusola che sfruttava le miniere in Sardegna. Fui visionato ed assunto dall’Ing. Valdivieso, noto a noi studenti perché autore di una dissertazione riguardante la perforazione e le cariche di esplosivo inclusa nel “Gerbella”, la bibbia del perito minerario. Nel 1962 la concessione mineraria fu tolta alla Pertusola ed assegnata all’Amministrazione Società Stradale. Alla direzione della miniera arrivò l’Ing. Bonato, nostra conoscenza essendo stato insegnante all’ITIM di Agordo.

Alla fine del 1968 cambiò la mia storia: l’Ing. Bonato venne chiamato dal cognato Prof. Milli, nostro insegnante di geologia e mineralogia, per andare in Perù a risolvere certi problemi legati allo scavo di una galleria di 20 km per una centrale idroelettrica.

Milli, in qualità di consulente dell’Impregilo, chiese a Bonato di occuparsi della faccenda portandosi dietro dei tecnici minerari con le competenze necessarie ad affrontare la situazione. Io fui tra i prescelti e mi fu affidato l’incarico di scavare l’ultimo tratto della galleria, compreso il pozzo piezometrico e due camere di espansione. Dopo due anni di quel lavoro venni trasferito, sempre tramite l’Impregilo, in Colombia per i lavori di scavo del tunnel di deviazione ed altre gallerie inerenti alla costruzione di una diga sul fiume Chivor, nella zona smeraldifera a nord del Paese.
Alla fine del 1974 venni trasferito a Medellin, dove dovevo supervisionare lo scavo di una caverna sotterranea adiacente ad una centrale funzionante con quattro turbine. Naturalmente non si trattava di una cosa semplice e vennero ingaggiati dei tecnici svedesi della ditta Nitro Consult dai quali appresi le tecniche degli spari controllati. Alla fine del 1976 venni trasferito in Iran e fui addetto agli scavi del tunnel di deviazione per la costruzione di una diga in terra a nord di Teheran, vicino al Mar Caspio. A gennaio del 1977 fui trasferito in Nigeria con una società joint venture composta da Girola, Borini, Prono e il rappresentante nigeriano Hiconi. La ditta aveva in appalto la costruzione del ponte “Therih Milan”, in prossimità di Lagos. Io avevo l’incarico di Quarry Manager per lo scavo e la produzione degli inerti che servivano alla costruzione. Alla fine del 1979 fui trasferito in Argentina per la costruzione di una diga in terra nelle vicinanze di San Carlos de Bariloche. Ero addetto agli scavi di due tunnel di deviazione e a quelli inerenti le spalle della diga. A marzo del 1982, dopo una breve esperienza alle cave di marmo in Sicilia, trovai lavoro nelle gallerie autostradali della tratta Udine-Tarvisio fino a settembre del 1984 con la ditta Italstrade. Fui quindi trasferito a Napoli per la ristrutturazione della galleria Cumana, danneggiata dai bradisismi nella zona flegrea.

Miniera di Cave, con il collega Asquini sul filone mineralizzato di blenda
Miniera di Cave, con il collega Asquini sul filone mineralizzato di blenda

Alla fine del 1986 l’Impregilo mi richiamò per la costruzione di una nuova diga in Argentina, dove trovai impegnativo il lavoro di scavo di due gallerie nella zona alluvionale detta “il palecause” con una macchina tedesca del diametro di 5 m, detta “scudo”. Alla fine del 1987 mi ricercò l’Italstrade per inviarmi in Turchia per la costruzione di una diga in calcestruzzo arco e gravità alta 120 m simile a quella del Vajont. Rimasi fino al giugno del 1988, quando venni trasferito in Val d’Aosta per lo scavo di gallerie autostradali verso Courmayeur e verso il Gran San Bernardo con la mansione di direttore tecnico. Alla fine di quel periodo avevo maturato il diritto alla pensione, ma il Presidente Amato la bloccò per due anni. Dovetti preparare nuovamente le valigie e tramite l’Impregilo fui trasferito in Cile per lo scavo di un tunnel di desvio e di una caverna sotterranea per la costruzione di una centrale. Durante i miei trasferimenti sono sempre stato accompagnato dalla famiglia. Nel marzo del 1994 mi sono ritirato in pensione.

Solidarietà tra minatori emigranti

Arturo Costella a lato della tomba di Vittore Luigi Menegaz
Arturo Costella a lato della tomba di Vittore Luigi Menegaz

Raccontiamo in questo numero la straordinaria storia di Vittore Luigi Menegaz che nacque nel 1875 da una famiglia originaria di Caupo di Seren del Grappa. Nei primi anni del Novecento egli emigrò in Pennsylvania dove trovò impiego nelle miniere di carbone. Sposò per procura Amabile Zatta di Vellai di Feltre, che subito lo raggiunse in America dove nacquero i loro due figli, Anna e Vittore.
Nel giugno 1906, quando il secondogenito aveva solo tre mesi, Amabile e i due figli rientrarono in Italia, ignari di salutare per sempre il capofamiglia. Si sa, le comunicazioni allora non viaggiavano veloci come ora e la famiglia non ebbe più notizie del congiunto fino a quando, nel marzo dell’anno successivo, arrivò una lettera del datore di lavoro che annunciava la scomparsa di Vittore Luigi a seguito di un incidente in miniera: solo qualche riga per informare che era morto per annegamento causa l’apertura di un’improvvisa falla, non prima però di aver messo in salvo la squadra di operai di cui era responsabile. La vedova ed i figli furono sempre convinti che il congiunto fosse morto in una miniera statunitense, ma qualche anno fa, grazie ad Internet, una bisnipote fa una scoperta impensabile: la località menzionata sulla missiva non si trova in America, bensì in Sudafrica, precisamente nella località denominata Witwatersrand, nei pressi di Johannesburg.

E qui entrano in campo Oscar De Bona e la nostra Associazione che mettono in contatto la famiglia Menegaz con Arturo Costella, già presidente della Famiglia Bellunese del Sudafrica, anche lui con un passato da minatore.

Vittore Luigi Menegaz
Vittore Luigi Menegaz

Egli si mette subito alla ricerca e nel vecchio cimitero cattolico di Springs, al posto numero uno, sotto un’enorme pianta di eucalipto, trova le spoglie di Vittore Luigi Menegaz, come riportato nel registro ufficiale. La famiglia conosce finalmente il luogo dove riposa il familiare e deduce che in data imprecisata egli si è trasferito in Sudafrica per lavorare nelle miniere d’oro di Geduld, ritenute forse più redditizie e meno pericolose di quelle di carbone. Artuto Costella, a cui la famiglia sarà per sempre riconoscente, fa sistemare il luogo di sepoltura e questo accade proprio a cento anni dalla morte del povero Vittore Luigi. Un atto d’amore verso questo sfortunato emigrante che soddisfa il desiderio di una famiglia di testimoniare che il proprio caro non è mai stato dimenticato.

Storia raccolta da Luisa Carniel,
su informazioni di Annamaria e Susanna Zatta

Irma, Beniamino ed Eugenio. Persone diverse, ma con una storia comune: l’emigrazione

Qualche tempo fa la classe III C della scuola media “Ricci” di Belluno è venuta in visita al MiM – Museo interattivo delle Migrazioni. Tre alunni, una volta tornati a casa hanno chiesto ad alcuni parenti emigranti di raccontare la loro storia. Ecco qui il racconto dell’esperienza all’estero di due nonni e una zia.

Irma Brancher, emigrante in Germania
Sono nata il 18 gennaio 1966 a Sant’Antonio di Tortal (Trichiana). Ho dovuto partire perché avevo una famiglia numerosa e con dei genitori molto poveri. Quindi, quando ho avuto la possibilità di avere un lavoro, ho approfittato.Sono stata per cinque stagioni emigrante in Germania, vicino al Mare del Nord, ai confini con la Danimarca. Un posto bellissimo. Non riuscivo a capire come facessero i tedeschi, all’inizio della stagione, quando ancora le temperature erano molto basse, a mangiare così tanto gelato.
Lavoravo dalle sette della mattina fino a mezzanotte, con due pause, anche se spesso, visto il tanto lavoro da fare, le saltavo. La paga era sicuramente buona, ma non adeguata alla mole di lavoro che svolgevo. Comunque, con il piccolo quantitativo di denaro guadagnato riuscivo ad aiutare la mia famiglia. Dopo cinque stagioni difficili ho trovato lavoro in un bar a Belluno e così sono tornata in provincia. Credo che per i giovani in cerca di lavoro sia importante provare ad andare all’estero, magari anche per tempi brevi. È molto utile sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista sociale.

Storia raccolta da Vittoria Marcolongo

Nigeria, 1963. Beniamino Fant con un collega. Lavoravano alla costruzione di una diga

Beniamino Fant, una storia di emigrazione lunga 35 anni
Nato a Sospirolo il 13 dicembre 1936, attualmente vive nella valle del Mis, ma in passato ha viaggiato molto all’estero per lavoro.
«Ho iniziato ad andare all’estero nel 1954, a 18 anni. Lavoravo per una azienda chiamata Impregilo, che costruiva dighe. Sono stato in giro per il mondo per circa 35 anni, tra Svizzera, Iran, Turchia, Sudan, Nigeria, Brasile, Ecuador, Honduras e infine Argentina e Cile. Quasi sempre portavo con me la famiglia, soprattutto nel Sudamerica. Lì le mie figlie hanno studiato per la maggior parte della loro carriera scolastica. In tutti i posti dove sono stato mi sono sempre trovato bene con le persone che ho incontrato. In Africa erano molto solidali, in Sudamerica erano molto accoglienti, ti facevano sentire a casa. Solo in Iran non mi sono trovato molto bene: le persone ti guardavano male, erano rigide e molto dubbiose nei confronti di noi Italiani.
Quando giri così tanti Paesi, non è sempre facile ambientarsi. In alcuni casi io e i miei compagni ci accampavamo nelle tende, altre volte avevamo le case mobili.
Inoltre, erano abbastanza frequenti gli incidenti sul lavoro. Purtroppo ho perso molti amici. Si sfidava ogni giorno la morte. Lavoravo quattordici ore al giorno e avevo una domenica libera ogni due settimane. È stata un’esperienza molto utile, anche se faticosa.
I climi erano differenti, si passava dal freddo al caldo estremo, in più c’era anche il fatto della fauna. In Brasile, ad esempio, trovavamo sempre serpenti! C’è un episodio che ricordo in modo particolare. È avvenuto appunto quando mi trovato in Brasile. Per lavoro ci avevano mandato nella foresta. Mentre camminavamo, un nostro amico ha iniziato ad urlare “aiuto”; io e i miei compagni ci siamo girati e abbiamo visto un pitone enorme. Abbiamo chiamato il resto degli operai che erano nella diga e l’abbiamo ucciso, poi ci siamo seduti tutti lungo il pitone; ci sono voluti 20 operai. Era veramente lungo!
Dopo essere stato emigrante per tanto tempo, non ho più voglia di viaggiare. Il mondo l’ho già girato! Però tornerei in alcuni posti per rivedere i miei amici.

Storia raccolta da Asia De Pellegrin

Parigi, 1956. Eugenio e Francesco Sacchet

Eugenio Sacchet, un emigrante della “terza grande ondata”
Eugenio Sacchet emigrò per lavoro in vari paesi. Tra il 1956 e il 1960 eseguì in Francia lavori di edilizia a Parigi, nel quartiere periferico di Senne-Ouase. Tra il 1967 e il 1974 lavorò in Turchia per la costruzione di una diga e di una centrale elettrica, in località Keban, sul fiume Eufrate, dove fu seguito dalla moglie e dai figli, tra cui mio padre. Proprio mio padre mi racconta di un posto splendido e fertile, contrariamente a ciò che si può pensare di una zona semi-desertica come il nord-est della Turchia. Tra il 1976 e il 1977 lavorò alla costruzione di un ponte sul fiume Nilo, in Sudan. Ricorda che il soggiorno fu piacevole, nonostante l’ostilità della fauna locale, in particolare serpenti e scorpioni. Alloggiò in un campo a quattrocento chilometri da Khartoum. Tra il 1978 e il 1979 fu invece in Libia con una ditta di Locarno, per la costruzione di una serie di condomini in pieno centro a Tripoli, la capitale.
Rientrato in Italia nel 1979, tornò al suo paese natio, Olantreghe, frazione di Longarone, e lavorò in una fonderia fino al pensionamento, avvenuto nel 1985. Operaio specializzato, instancabile lavoratore, che dai quattordici anni fino ai cinquantotto si guadagnò da solo “la pagnotta” – quarant’anni di lavoro sulla schiena, contando anche il servizio militare – è ora seduto in una poltrona a narrare al nipote la sua faticosa vita da emigrante.

Storia raccolta da Lorenzo Sacchet