Una piccola Belluno in Croazia

Sono nata a Pakrac, il comune di cui fa parte l’insediamento di Plostine, dove ho vissuto la mia infanzia e la mia giovinezza fino a quando mi sono sposata. A Plostine ho frequentato per quattro anni le scuole elementari (non c’era l’asilo), poi ho fatto i quattro anni delle medie a Pakrac. A scuola si parlava in croato. 

Mia mamma è croata, mio papà bellunese, per cui sapevo entrambe le lingue, ma ricordo che a Plostine c’erano dei miei compagni di classe che non conoscevano il croato, ma soltanto il dialetto bellunese. I primi emigranti avevano portato con sé solo il dialetto e perciò la lingua che si era tramandata alle generazioni successive era quella. Inoltre, tutti in paese, tra di loro, parlavano in dialetto ed è per questo che si è mantenuto nel corso del tempo. 

A scuola non eravamo in molti, c’erano circa dieci bambini per classe. C’erano anche bambini che venivano da Campo del Capitano, ma pochi perché lì c’era solo qualche casa. La gente a Plostine lavorava i campi, perché la terra è molto ricca, oppure andava a lavorare a Pakrac. 

La prima domenica di maggio, ogni anno si svolgeva la processione in paese, lungo la via. Era una tradizione portata avanti da molto tempo…

Mio papà, Ernesto Pierobon, aveva un bar, che si chiamava bar “Belluno”. Lo aveva aperto quando aveva circa venticinque anni, alla metà degli anni Sessanta, e vi ha lavorato fino alla pensione. All’inizio il bar si trovava dove aveva la casa, poi è stato spostato nella sede della Storica Famiglia Bellunese di Plostine. 
La prima domenica di maggio, ogni anno si svolgeva la processione in paese, lungo la via. Era una tradizione portata avanti da molto tempo. Con l’avvento del comunismo, però, era stata vietata la processione in strada e fino al ’93 la si faceva solo attorno alla chiesa. Dal ’93 si è ripreso a farla come una volta e c’è stata una grande festa per il ritorno di questa bella tradizione. 

Un’altra tradizione era la festa di Sant’Antonio, a giugno. Era la festa del paese. C’erano le bancarelle lungo la via, e ci si ritrovava in casa con tutti i parenti, che a volte arrivavano anche da Belluno. 

Il bar “Belluno” a Plostine

Da bambini, divertimenti non ce n’erano molti, si giocava in strada – macchine ne passavano poche e la strada è stata asfaltata quando io ero già grande – e con i giochi che ci costruivamo da soli. C’era molta collaborazione tra la gente, grande aggregazione e senso di comunità e il paese viveva in modo sereno. Alle feste si riunivano tutti e si cantava, c’erano addirittura due complessi musicali. La mattina di Capodanno, i musicisti, anziché andare a dormire, passavano di casa in casa per fare gli auguri e suonare qualche canzone, un tradizione che nel tempo si è persa. 

Quando c’era una festa, ad esempio un matrimonio, partecipava il paese intero e ci si ritrovava anche in quattrocento. Conservo un bellissimo ricordo del periodo della mia vita trascorso a Plostine.

Liliana Da Cas

Matrimonio a Plostine
Una processione religiosa dei bellunesi di Plostine, nel 1925 (immagine tratta da: Giuseppe De Vecchi, PLOSTINA – Un isola di Bellunesi in Slavonia – Storie di emigranti, 1987 – Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno)

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