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Grande interesse da parte degli studenti del “Renier” per il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia” presentato all’interno di un progetto di Dolom.it

Dolom.it è il primo museo virtuale del paesaggio dolomitico, composto da materiali digitali co-creati da centinaia di studenti, professori, associazioni e appassionati di cultura, storia e ambiente del territorio dolomitico. Un museo che racconta il paesaggio attraverso gli occhi dei suoi abitanti e permette loro di studiarlo, reinterpretarlo e sentirlo proprio impiegando media e percorsi di rielaborazione espressiva dalla parola scritta alla performance teatrale. Nel 2017 il museo virtuale ha promosso la prima edizione di Invasioni Digitali Dolomitiche, stimolando il pubblico a promuovere delle vere e proprie “invasioni organizzate” di musei, centri storici e itinerari naturalistici che hanno portato il paesaggio dolomitico al centro della vita quotidiana grazie all’attività sui social network.Il corso più recente, partito nel febbraio del 2018, coinvolge due classi dell’istitituto Renier  e prevede la valorizzazione di un sito estremamente importante per la storia medievale della Valbelluna: il castello di Cor.I ragazzi, dopo un inquadramento storico comune sull’Alto medioevo in Valbelluna, divisi in due gruppi, si sono concentrati sull’elaborazione di una invasione digitale del castello di Cor da una parte e sul ruolo degli archivi come poli di conservazione e fruizione del nostro patrimonio culturale dall’altra. In particolare il secondo gruppo è stato portato a riflettere sul ruolo fondamentale che le nuove tecnologie hanno per l’elaborazione di una strategia di valorizzazione del nostro passato. È in questo contesto  che si è inserito il direttore dell’Associazione Bellunesi del mondo Marco Crepaz che su invito dello storico Jacopo De Pasquale ha presentato agli studenti il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia”,  che si occupa di archiviare on line e di rendere fruibile in tutto il mondo i ricordi e le vicende di tutte le famiglie bellunesi emigrate all’estero. Una presentazione che ha riscontrato grande interesse da parte degli studenti, tanto da rendersi subito disponibili a dare il proprio contributo per arricchire lo stesso archivio con materiale fotografico personale riferito ai loro parenti emigranti all’estero. Finita questa interessante presentazione i ragazzi si sono allenati ad archiviare in un ambiente di test una serie di materiali relativi al castello di Cor seguendo alcuni standard di catalogazione in uso in questo momento nel mondo. Il percorso, che continuerà anche nei prossimi mesi (conclusione giugno 2019), porterà gli studenti a creare un percorso di valorizzazione museale nel digitale del  castello di Cor volto a dare nuovo lustro ad uno dei siti più importanti ma meno conosciuti dal grande pubblico della nostra storia.

Il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia” si presenta agli studenti del “Renier”

Non sempre un archivio deve essere visto come un luogo polveroso e noioso. Il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia”, il nuovo strumento dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, vuole proprio eliminare questo cliché e lo farà martedì 19 marzo al Liceo statale “Renier” di Belluno. L’incontro, organizzato dalla Isoipse con la collaborazione dello storico Jacopo De Pasqule, ha l’obiettivo di presentare agli studenti un innovativo archivio fotostorico (Centrostudialetheia.it), che sta divulgando attraverso il web migliaia di documenti inerenti l’emigrazione bellunese. Il progetto sarà presentato dal direttore Abm Marco Crepaz.

«Sono davvero felice che il nostro nuovo archivio fotostorico entri nelle scuole», sono le parole del presidente Abm Oscar De Bona, «e sono convinto che da questo incontro nasceranno nuovi interessi verso un periodo storico, quello dell’emigrazione, ancora poco conosciuto e studiato».

La storia di Luciana e Sonia Francescon. Tra Svizzera e Belluno

Sonia e Luciana FrancesconLuciana Francescon nasce a Belluno nel 1935. Di famiglia contadina, a 18 anni decide di lasciare l’Italia e di trasferirsi in Svizzera con il marito Vicenzo Zanivan dove deciderà di restare tutta la vita. Ciò nonostante ritorna spesso a Belluno per le vacanze con la famiglia e i suoi figli. In quest’intervista, Luciana e una delle figlie, Sonia Ammann-Zanivan (nata in Svizzera nel 1975), ci racconteranno la loro esperienza tra la Svizzera e l’Italia e quanto il loro cuore e i loro sentimenti siano divisi a metà tra queste due nazioni e culture.

Intervista a Luciana.

  • Dove sei nata? Sono nata a Trichiana, Belluno
  • Raccontaci qualcosa di quando ti sei trasferita all’estero (es. Perché ti sei trasferita all’estero; quale è stato il tuo primo lavoro all’estero e come lo hai trovato, ecc.). Noi eravamo una famiglia di contadini (coloni) e i soldi erano sempre pochi. Così avevo deciso di andare a lavorare all’estero. Ma dovevo aspettare i 18 anni per poter venire in Svizzera. Ho iniziato alla Feldmühle a Rorschach (cantone di San Gallo). Una fabbrica di filatura tessile (seta, cottone ecc.). La Feldmühle era una fabbrica grande con molti operai, soprattutto italiani.  Il direttore stesso della fabbrica era venuta a Belluno in cerca di operai. Chi aveva interesse si presentava e venivano annotati tutti i dati personali per fare il contratto di lavoro.
  • Hai mai sentito nostalgia di Belluno? Quante volte torni in Italia? Come facevi a comunicare con i tuoi familiari a Belluno senza cellulare o internet? A dire il vero: no, non ho mai sentito nostalgia. Beh, certo inizialmente mi mancavano i miei cari. Ma ci scrivevamo le lettere. Passavano 10-15 giorni fra ‘andare e tornare’ di lettera e risposta. In Italia venivamo 3 volte all’anno: per Pasqua, in estate e per Natale. Ora, dovuta la mia età (83 anni) ci vengo una volta all’anno insieme ai miei figli.
  • Sei stata l’unica della famiglia ad aver lasciato l’Italia? No, anche io mio fratello più vecchio era andato in Svizzera a lavorare come stagionale. Le mie sorelle, invece, erano andate a Milano e a Cortina D’Ampezzo in servizio in una famiglia signorile.
  • Come è stato per te dover imparare una nuova lingua? Sei mai stata discriminata dai cittadini svizzeri o sei riuscita ad integrarti bene? Come erano visti gli italiani all’epoca? Non hai mai pensato di ritornare a vivere a Belluno? Siccome c’erano tanti italiani, stavamo sempre fra di noi e così non è che impari la lingua tedesca. Al dire il vero, non la so ancora oggi dopo così tanti anni che sono qui. (sono arrivata quando avevo 18 anni e oggi ne ho 83). Nei primi anni, gli Svizzeri ci chiamavano ‘cincali’: loro intendevano ‘zingari’ e, naturalmente, ci umiliavano. Poi, con il passare degli anni, ci siamo abituati alla convivenza; loro avevano bisogno di operai e noi di lavoro. Ma non ho mai pensato di ritornare a Belluno perché volevo lavorare in fabbrica, avere i miei orari fissi. Avrei avuto anche la possibilità di lavorare in servizio a Cortina, ma non mi piaceva l’idea di lavorare per una famiglia.
  • Quando sei emigrata in Svizzera immagino avessi delle aspettative positive. Si sono poi avverate? Sì, perché ho sempre trovato il lavoro che cercavo e sono sempre stata bene. Ho incontrato persone gentili e giuste.

Intervista  a Sonia:

  • Sei nata a Belluno? No, sono nata a San Gallo in Svizzera
  • E dove vivi adesso? Ora abito in un paesino nel cantone Turgovia, sempre in Svizzera.
  • Sei mai venuta a Belluno? Quanto spesso vieni? Oh si, ci vengo spesso. Prima insieme ai miei genitori per le vacanze di Pasqua, in    estate e a Natale. Ora ci vengo con la mia famiglia: con mio marito e i miei figli. Veniamo circa due volte all’anno e ci piace molto. Anche a mio marito, che è svizzero.
  • Che rapporto hai con Belluno? Ti piace? A Belluno partono le mie radici. I miei genitori sono nati qui e come già detto, venivamo sempre in vacanza da piccoli. I miei genitori hanno costruito una casa a Belluno, con il pensiero di ritornarci un giorno da pensionati. Ma come tanti emigranti, sono rimasti in Svizzera.
  • Parli sia italiano che tedesco? Che rapporto hai con le tue origini italiane? Come ti senti ad avere dentro di te due nazioni? Ti senti diversa dagli svizzeri che non hanno origini di altre nazionalità? Beh, essendo nata qui e andata a scuola qui, il tedesco lo parlo benissimo. Poi in famiglia parlavamo sempre l’italiano e ho frequentato anche il corso di lingua e cultura italiana (5 anni di elementari e 3 anni di medie). Direi che l’italiano lo parlo abbastanza bene. Faccio parte di una corale italiana, che è il più vecchio coro italiano attivo in Svizzera (oltre 60 anni). Sono fiera delle mie origini italiane e ammiro ciò che hanno fatto i miei genitori, andando all’estero per lavoro non sapendo una parola di tedesco. Non mi sento diversa dagli svizzeri solo perché ho due nazionalità. Direi che ho preso la puntualità e la correttezza svizzera e il temperamento italiano.
  • Ti sei mai sentita discriminata per le tue origini? No, mai. Ho avuto la fortuna di avere amici italiani, spagnoli, svizzeri e turchi a scuola e anche sul posto di lavoro e ci si rispetta. Non c’entrano le origini, ma il rispetto per la persona.
  • Quando visiti Belluno ti senti straniera o ti senti a casa? No, io mi sento a casa. Come già detto ho tantissimi bei ricordi da bambina e ora ci vengo con la mia famiglia. L’unica cosa che non riuscirò mai a accettare è la burocrazia in Italia e certe procedure un po’ lente.
  • Cerchi di trasmettere la cultura italiana anche ai tuoi figli? Si, anche loro frequentano il corso di lingua e cultura italiana una volta alla settimana. Cerco di parlare loro in italiano, anche se a volte è difficile. Essendo nata e cresciuta qui, mi viene più facile parlare e discutere in dialetto svizzero, logicamente. Anche con mio marito e con tutti i maestri a scuola e sul posto di lavoro parlo in dialetto svizzero. Ma almeno i miei figli l’italiano lo capiscono e sanno rispondere.
  • (a entrambe) Pensate che appartenere a due nazioni diverse vi abbia arricchito? Luciana: Sì, mi ha arricchito e avevo visto che in Svizzera era meglio. Ho conosciuto gente buona e giusta. Ma dipende anche da noi, come ci si comporta. Sonia: Si, perché ho la possibilità di conoscere e vivere due culture diverse: quella italiana e quella svizzera. Mi ha insegnato ad essere tollerante con le persone e ad accettare le diversità. Certo, come dice mia mamma: dipende di come ci si comporta.

Nell’intervista Luciana cita un fratello maggiore andato in Svizzera come stagionale. Si tratta di Bruno Francescon (nato a Belluno nel 1921). Qui la breve testimonianza del figlio Ennio (Trichiana, 1949):

Io non avevo nemmeno 10 anni quando mio papà ha deciso di partire come stagionale in Svizzera. Difatti, non ho moltissimi ricordi e quelli pochi rimasti sono offuscati.

Nel 1956 avevamo comprato una casa a Belluno, vicino al Piave. Dovevamo trasferirci da Trichiana perchè lì la casa nella quale abitavamo era proprietà di un padrone e la mia famiglia lavorava per lui. Prima ci siamo spostati a Limana e poi a Belluno. I miei genitori dovevano pagare i debiti della casa nuova, ma a Belluno non c’era molto lavoro mentre in Svizzera gli operai venivano pagati di più. Inoltre, mio papà era un manovale e forse solo in Svizzera poteva esercitare il suo lavoro. Andava nel Canton Ticino e lì ha lavorato scavando gallerie in miniera per strade o ferrovie. Ricordo che ci è andato stagionalmente per circa 2-3 anni e al ritorno ci portava i soldi. Portava con sé una valigia di cartone. Ricordo che quando doveva partire, lo accompagnavo sempre io in stazione. Poi correvo di corsa fino all’incrocio di San Gervasio (dove c’è il passaggio a livello) e quando vedevo il treno passare, riuscivo a salutarlo. Arrivava fino a Milano con il treno e poi continuava il viaggio. I mezzi di trasporto non erano quelli di adesso e sembrava andasse così lontano, ci voleva molto tempo per arrivarci. Ci scriveva lettere, molte delle quali, a volte, contenevano soldi. Al ritorno ci portava la cioccolata e anche attrezzi rifiutati dal cantiere. Nei mesi in cui restava a Belluno, lavorava la terra e i campi e io lo aiutavo. Quando non c’era, eravamo io e mio nonno paterno a lavorare nei campi e aiutare la famiglia (io ero il fratello maschio maggiore).

Intervista fatta da Giulia Francescon