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L’identità italo-argentina. La testimonianza di Rachele De Maestri.

rachele_mamma_sorella_ bellunoRachele De Maestri è nata a Quilmes in Argentina. Le sue origini, però, sono bellunesi. In questa intervista ci racconta la sua vita come italo-argentina, il suo amore per l’Italia e cosa ha significato per lei avere questa grande opportunità di crescere con due identità, due lingue e due culture diverse dentro di sé.

“Sono nata a Quilmes. La mia famiglia è emigrata perché mio nonno ha vissuto entrambe le guerre ed era preoccupato che ne scoppiasse una terza. Girava voce che in Argentina non ce ne fosse il rischio. Prima sono venuti i miei zii nel 1950 circa e poi i miei nonni mentre mia mamma, Ildegonda Simonetto, nel 1960. La famiglia materna non sapeva parlare spagnolo, ma si sono adattati bene perché l’Argentina aspettava l’arrivo dei migranti per popolare il territorio. Gli immigrati hanno lavorato molto anche se inizialmente con poco profitto economico, ma erano determinati grazie all’idea di lavoro e progresso. Negli anni ’90 sono stata due volte a Belluno e ad Arten. Le case, la storia e le strade di Belluno mi sono piaciute moltissimo. È stato molto emozionante. Uno dei miei zii ha scritto un libro, Vita grama, che si trova a Fonzaso: spiega la vita prima e durante la guerra, vicende che raccontava spesso anche a noi. Mentre visitavo l’Italia pensavo a queste storie e mi sembra di essere dentro ai quei racconti. Nel cuore sapevo di essere parte dell’Italia. Non mi sentivo straniera.
L’Italia rappresenta, innanzitutto, la nostalgia della quale la mia famiglia ha sempre sofferto e, infatti, continuano sempre a parlare delle loro origini. La nostalgia è il “dolore del ritorno”.  Dico “ritornare” perché sempre c’è l’idea del ritornare alle origini. L’Italia è anche l’idea del lavoro, del progresso, dell’unione familiare, della religione, della cultura, della letteratura… principi molto forti che voi italiani avete portato in Argentina. Vi rispettiamo per averci fatto crescere lavorando molto.
Tra i due paesi non ci sono molte differenze perché c’è molto dell’Italia nella nostra cultura. Forse la diversità più evidente è l’organizzazione: noi non siamo così organizzati come voi nelle leggi, nelle istituzioni… in Argentina c’è molta povertà e si sente, mentre in Italia non penso ci sia. Inoltre, voi preservate molto la storia mentre noi non abbiamo ancora questa mentalità. Un’altra differenza potrebbe essere la geografia. In Argentina è bellissima con un territorio ampio e molta diversità climatica.
La mia vita e il mio cuore sono divisi tra Argentina ed Italia. Parlo italiano e spagnolo e mi sono sempre piaciute le lingue. Sono state come una porta nella mia professione. Difatti, anche per questo ho deciso di studiare psicoanalisi perché in questo studio il linguaggio è fondamentale in quanto costruisce la realtà e parlare più di una lingua fa pensare che non ci sia una sola visione, né un’unica verità. Ognuno ne ha una in base anche alla propria lingua materna. Fa riflettere sulle diversità, sulle differenti forme di pensare e ti insegna a rispettare l’altro. Quando si parla piú di una lingua si sa che nessuno è padrone della verità”.

 

 

 

La storia di Mario Giacchetti tra Italia e Argentina. Un’intervista alla figlia Maria

matrimonio mario e lucia

Matrimonio di Mario Ghacchetti e Lucia

Maria Giacchetti nasce a Belluno nel 1956. Le sue origini, però, si mescolano tra italiane a argentine. Il papà Mario, infatti, ancora molto giovane, spinto dalla necessità di dare una svolta di fortuna alla sua vita, decide di partire per Buenos Aires dove incontrerà e poi sposerà una donna argentina, Lucia, nata da padre argentino e madre italiana.  Nell’intervista, Maria ci racconterà dei suoi genitori, delle storie sull’Argentina che essi le raccontavano e di quanto questo paese sia diventato parte di lei entrandole nel cuore. Ad oggi, Maria sente di appartenere a due nazionalità e a due paesi che, simili e differenti, si intrecciano fra di loro. Il legame speciale con l’Argentina si intensificherà tanto da sentire di dover soddisfare un bisogno ed una necessità di visitare i suoi luoghi e conoscere le sue persone. L’Argentina è entrata a fa parte di lei in modo totalmente naturale.

 

Mi racconti chi della tua famiglia è andato via? E dove?
Il primo della famiglia a lasciare il Paese è stato mio padre Mario, all’epoca poco più che ventenne e appena diplomato presso un Istituto Tecnico Superiore nel campo dell’Edilizia. Nell’immediato dopoguerra Mario, primo di cinque fratelli, spinto dalla necessità di trovare lavoro decise di emigrare in Argentina.

 

È stato l’unico a partire della famiglia?
No, in un secondo momento Carlo, il fratello di mio padre, lo ha raggiunto rimanendo in argentina per un periodo limitato. Mario invece, oltre a rimanervi circa 7 anni, ha conosciuto e poi sposato mia madre Lucia.

 

Inizialmente è partito solo lui perché era il fratello maschio più vecchio e doveva sostentare la famiglia? È stato l’unico motivo?
Mario ha lasciato il paese tra il 1950 e il 1952 lasciandosi alle spalle la guerra e la liberazione ma le motivazioni che lo hanno spinto non ci sono mai state riferite esplicitamente. Penso che oltre alla necessità di trovare un lavoro, nel difficile periodo del dopoguerra, ci fosse il desiderio di partecipare al sostentamento della famiglia. Infatti, nonostante il buon impiego di mio nonno Francesco come vicedirettore di banca, mantenere una famiglia così numerosa all’epoca era molto faticoso.

 

Il lavoro che ha svolto in Argentina lo aveva trovato cercando informazioni da Belluno?
Si, erano dei viaggi pianificati: venivano organizzati i piroscafi per i lavoratori italiani. All’epoca infatti, l’Argentina sotto il Governo Perón era una nazione florida e gli italiani venivano immediatamente impiegati dopo l’arrivo. Mio padre era perito edile, ma per iniziare è stato assunto come muratore. Distinguendosi poi per intraprendenza e preparazione è riuscito ad ottenere una posizione adeguata a quanto studiato.

 

Mi racconti del viaggio e dell’arrivo a Buenos Aires?
L’attraversata in piroscafo, della durata di circa 20 giorni, partiva dal porto di Genova e aveva un costo sicuramente molto elevato da affrontare per quell’epoca. Il piroscafo era purtroppo anche l’unico mezzo per coprire tragitti così elevati, rendendo difficile anche tornare in visita alle famiglie durante gli anni lontani da casa. Mario era molto religioso e appena arrivato in Argentina ha cercato conforto per la lontananza da casa presso una comunità di salesiani già frequentata da molti operai suoi compatrioti. Mio padre ci raccontava che la prima cosa che ha fatto appena raggiunto il paese d’oltremare è stato cercare una chiesa per recarsi a messa. Nel suo diario scrive che la fede e il rigore gli sono stati sempre di grande sostegno durante gli anni lontano da casa.

 

Sapeva già lo spagnolo quando è arrivato?
No, è partito senza conoscere la lingua. Tuttavia, negli anni è riuscito ad apprenderla in maniera egregia, infatti a volte dimostrava proprietà di lessico e linguaggio più spiccate di mia madre madrelingua Argentina.

 

Durante gli anni da Lavoratore Emigrato, Mario si è sempre sentito trattato bene o ha anche subito discriminazioni?
Gli italiani erano considerati sporchi, fannulloni e incapaci dalla popolazione argentina. Venivano esclusi, discriminati, sfruttati e alloggiati in baracche di lamiera torride e sovraffollate.
All’inizio per Mario non deve essere stato facile: appena arrivato non conosceva la lingua e non aveva amici. Fortunatamente grazie alla comunità religiosa che Mario ha iniziato a frequentare poco dopo il suo arrivo è riuscito ad integrarsi creando una rete di conoscenze nella quale ha incontrato Jorge, il suo più grande amico e Lucia, la sua futura sposa. Con il tempo, Mario è riuscito anche a migliorare la sua condizione di lavoratore, da muratore a capocantiere spostandosi a vivere nel centro di Buenos Aires.

 

Mi racconti di come ha conosciuto tua mamma?
Mio padre ha conosciuto Lucia, nata e cresciuta a Buenos Aires in una famiglia Italo-Argentina, ad una festa tramite il suo migliore amico Jorge. Nonostante i tentativi di osteggiamento del matrimonio da parte della famiglia di mia madre, dovuti alla possibilità di un rientro in Italia di Mario, nel 1952 i miei genitori si sposano e come meta del viaggio di nozze scelgono l’Italia.  Dopo essere rientrati in Argentina e aver messo al mondo Claudio, il primo dei miei cinque fratelli, hanno deciso di lasciare definitivamente il paese d’oltremare alla volta delle terre natie di Mario.

 

I tuoi nonni materni di che parte d’Italia erano?
La nonna originaria di Cavasso nel Friuli si è trasferita durante la guerra a Milano dove ha conosciuto mio nonno, meneghino di origini argentine. Dopo essersi sposati, sono partiti alla volta di Buenos Aires dove, una volta stabiliti, hanno avuto mia madre Lucia. Con il tempo, prima la sorella della nonna, Olga, sposata per procura con un calabrese emigrato, e poi il fratello con la moglie si sono trasferiti a Buenos Aires.

 

Con il trascorrere degli anni come si è evoluto il rapporto con il paese in cui tuo padre è emigrato?
Mario ha sempre avuto un rapporto speciale con l’Argentina, vuoi per gli affetti lasciati una volta rientrato in terra natia che per l’accoglienza e la solarità delle persone della comunità in cui si era stabilito. Il desiderio di tornare in visita in Argentina è rimasto sempre vivo e per mio padre la cultura e le usanze argentine sono sempre state di grande interesse.

 

Come mai Mario ha deciso di rientrare in Italia?
Nonostante la buona integrazione nella comunità, mio padre non era riuscito a portare a termine il suo progetto lavorativo e per questo nel 1954 ritorna definitivamente in Italia.

 

Com’è stato per i tuoi genitori, così legati all’Argentina, rientrare in Italia?
La nostalgia per l’Argentina è sempre stata molto presente. Infatti, mio padre, ma soprattutto mia madre hanno sempre manifestato il dolore per il distacco e la sensazione di lontananza, vuoi per gli usi e costumi che per gli affetti lasciati con il ritorno in Italia. Il primo periodo una volta trasferiti definitivamente in Italia, per mia madre è stato particolarmente duro: la realità cittadina, le abitudini erano completamente diverse e il clima non aiutava di certo. Lucia veniva considerata da tutti la “Straniera”, la “Foresta” e complice il suo temperamento molto timido non era riuscita a coltivare delle amicizie al di fuori dei rapporti familiari. La famiglia di Mario aveva accolto Lucia con un immenso amore e le è stata sempre di sostegno. Nonostante questo, mia madre ha sempre vissuto un’intera via sospirando per la nostalgia della sua patria.

 

E per voi figli com’è stato avere i genitori così profondamente legati ad un paese lontano?
Credo che questo legame così profondo sia stato trasmesso anche a noi fratelli. Infatti, alcuni di noi negli anni sono stati a vistare i luoghi dove è cresciuta la mamma e dove i nostri genitori si sono conosciuti. Io a 28 anni sono stata per circa un mese perché sentivo crescere in me il desidero di vedere personalmente i luoghi della giovinezza di mia madre. Quando ho deciso di intraprendere questo viaggio dentro di me sentivo proprio un bisogno, una nostalgia.

 

Voi figli avete imparato lo spagnolo?
Purtroppo, no. Qui a Belluno, a casa dei genitori di mio padre, si parlava il dialetto e Lucia, con la sua indole timida, ha preferito adeguarsi e parlare questa lingua. Utilizzava la lingua spagnola solo per parlare con Mario e con noi figli. Io lo spagnolo lo comprendo discretamente proprio per questo motivo, ma non lo parlo e non lo scrivo e me ne dispiaccio molto.

 

E i nonni in Argentina come si rivolgevano a tua mamma?
I genitori di mia mamma parlavano solo in spagnolo ed anche le lettere e successivamente le telefonate erano in spagnolo. In più noi fratelli ricevevamo spesso dei libretti scritti in spagnolo spediti dalla nonna argentina. Abbiamo sempre avuto questa lingua vicino che poi è diventata la lingua del cuore e dell’affetto.

 

In che modo i vostri genitori hanno contribuito a creare questo legame con l’Argentina?
Mia mamma ci raccontava molto della sua vita in Argentina. L’Argentina veniva descritta come un bellissimo paese e quando ci sono andata è stata, per me, un’esperienza meravigliosa: ho ancora oggi il ricordo del colore del cielo e il profumo dell’aria.

Per questo paese, ho sempre avuto un grande legame affettivo.

 

È interessante questo legame che descrivi. Certi posti li senti parte di te anche senza spiegartene il motivo. Anche a me è successo quando sono andata in Argentina. Io non ho particolari legami familiari con argentini, però ho sofferto molto quando l’ho lasciata. È stata la prima esperienza nella quale ho dato più valore alle cose positive che a quelle negative e queste ultime ho saputo apprezzarle ed ero in qualche modo contenta che fossero successe. Credo sia l’unico posto al quale non riesco a staccarmi.
Certo, lo capisco. Penso sia anche per le relazioni che hai instaurato con le persone lì. Qui siamo più isolati rispetto a loro e penso che il clima detti molto sull’aspetto comunicativo delle persone. La gente di montagna è generosa e affidabile, ma non ha lo stesso carattere degli argentini. Ad esempio, mia cugina è tornata in Italia dopo 30 anni che non la vedevo, ma era come se l’avessi lasciata il giorno prima.

 

Vuoi raccontarmi qualcosa anche dei tuoi parenti in Perù?

Erano due fratelli del nonno che sono partiti dal Cadore, prima della guerra. Hanno fatto fortuna e si sono stabiliti a Lima dove vivono tutt’ora le loro rispettive famiglie. I loro figli sono venuti in Europa in più occasioni. Nei loro viaggi sono sempre venuti a Belluno a trovare mio padre e assieme si sono recati in Cadore in visita ai cugini.

 

Giulia Francescon