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Di generazione in generazione

Mi chiamo Giuseppe Tiziani e sono orgogliosamente di Lamon. Vi sono nato il 18 ottobre 1950 e dopo quasi due anni vissuti nella frazione di San Donato (precisamente in località Galline), con i miei genitori sono emigrato a Daverio, un piccolo comune in provincia di Varese. La mia vita si è svolta qui, anche se più volte, ogni anno, sono tornato e continuo a ritornare al mio paese natio, dove ho parenti, amici e conoscenti e dove ho ristrutturato la casa natale. 

Ho trascorso gli anni della mia vita studiando – con tanti sacrifici da parte dei miei genitori – e lavorando fin dai tempi della scuola, quando nel periodo estivo facevo ogni tipo di lavoro per pagarmi gli studi. Nel 1987 ho perso mio padre Celestino, morto di silicosi a causa degli anni trascorsi nelle gallerie dell’Alta Savoia, in Francia. Mia madre Adalgisa è ancora vivente e ha raggiunto la ragguardevole età di 94 anni. 

Con mia moglie Oretta, originaria del Padovano, siamo sposati da quarantadue anni. Ho avuto tante soddisfazioni professionali, in particolare durante i quasi quarant’anni di servizio per Whirlpool (ex Ignis), leader mondiale nella produzione di grandi elettrodomestici, dove ho svolto, tra gli altri, il ruolo di direttore di fabbrica in molti stabilimenti della multinazionale. 

Ho sempre nutrito questo spirito d’avventura fin da quando mio zio Giuseppe partì dal porto di Genova per l’Australia in cerca di fortuna

Ciò si è reso possibile perché ho seguito l’istinto – direi quasi la vocazione – indotto dalla mia terra di origine a spostarmi alla ricerca del nuovo inteso come opportunità, scoprendo di possedere una grande capacità di adattamento. Ho sempre nutrito questo spirito d’avventura e di approccio alle sfide fin da quando mio zio Giuseppe, nei primi anni Cinquanta, partì dal porto di Genova per l’Australia in cerca di fortuna, formando proprio in Australia la sua famiglia. 

Però ho sempre mantenuto nel cuore il ricordo di San Donato, specialmente dei tempi della mia giovinezza, delle estati trascorse dai nonni, piene di vita fatta di decorosa povertà, ma arricchita da valori impagabili. Mi sento figlio dell’epopea che i miei genitori hanno vissuto, come molti altri della provincia di Belluno a quei tempi, con la valigia in mano tra Francia e Svizzera, fino alla definitiva decisione di stabilirsi a Varese. 

Una vita di sacrifici, rinunce e tanto lavoro che alla fine hanno permesso loro un affrancamento e un gratificante riscatto sociale e in me hanno lasciato un insegnamento a una condotta morale di grande aiuto nella carriera professionale e nella vita di tutti i giorni. 

Mio figlio Stefano, ingegnere meccanico, da tre anni è espatriato per lavorare in Cina e anche mia figlia Francesca, laureata in Ingegneria Fisica, sta preparando le valigie. La tradizione dell’emigrazione, ancorché con diverse modalità rispetto al passato, si sta perpetuando di generazione in generazione.

Cent’anni fa in Australia

La digitalizzazione delle fonti scritte, a livello internazionale, offre sempre nuovi squarci di storie poco conosciute o che, talvolta, possono stravolgere quanto fino a quel momento dato per certo. La riprova sta in un articolo che ci è stato segnalato attraverso Facebook da Darren Piasente, pubblicato dal quotidiano “The Argus” di Melbourne, Victoria, il 17 giugno 1929. Titolo: “Jumbunna Mine Tragedy”. Tema: la tragedia mineraria di Jumbunna, che colpì tre nostri connazionali.

Durante l’inchiesta che ricercava i colpevoli della tragedia nella quale il 3 giugno persero la vita i tre italiani, il giudice Grant, assieme a una giuria di sette persone, ascoltò le testimonianze dei vari responsabili, e di quanti – presenti – potessero fornire dettagli su quanto avvenuto.

Il titolo di un articolo pubblicato il giorno dopo la tragedia, avvenuta il 3 giugno del 1929

Assodato, da parte di tutti, che vi era presenza di aria “cattiva”, che i vari registri e valvole presenti nelle gallerie non riuscirono a purificare, si convenne che i tre italiani, Ferdinando Triziana, J. Triziana e Caeser Pisanti (nomi trascritti erroneamente), che si erano spinti fino a circa 300 yarde (300 metri scarsi) all’interno della galleria, erano morti per asfissia a causa della presenza di “black damp”, un miscuglio soffocante di diossido di carbonio e di altri gas irrespirabili, come testimoniato dal campione analizzato dal reparto chimico della miniera.

Nel corso del dibattimento vi furono rimpalli di colpe da parte delle persone preposte alla sicurezza e fu proposta un’indagine sulle condizioni di questa e di altre miniere della zona, la qual cosa, tuttavia, non riportò in vita i nostri concittadini, originari di Lamon, e dall’articolo non emerge se giustizia fu fatta.

Ma è proprio alla conclusione dell’articolo che veniamo a conoscenza che il giudice Grant, a fine dibattimento, volle evidenziare che Caeser Pisanti perse la vita, nel tentativo di salvare la vita dei suoi compagni. Ed è proprio quest’ultima affermazione che non collima con quanto inciso nella lapide posta il 7 agosto 2009, a San Donato, dove risulta, invece, che fu Ferdinando Tiziani a tentare di salvare i suoi compaesani.

Forse altre fonti potranno fornire una spiegazione e lasciare le tre vittime riposare in pace.

Irene Savaris

La lapide posta il 7 agosto 2009 a San Donato, frazione del comune di Lamon

Fortunato Campigotto: emigrante, alpino, artista

primo piano di Fortunato Campigotto

Nel nostro Museo interattivo delle Migrazioni fa bella mostra di sé una scultura in bronzo che rappresenta il mondo sostenuto da due mani e vuole simboleggiare diversi aspetti dell’emigrazione, quali l’andata, il ritorno, la frattura generazionale, l’attaccamento al paese natio, le vittime sul lavoro; è dono delle famiglie bellunesi della Svizzera in occasione del loro trentesimo anniversario di costituzione ed è stata realizzata dall’artista di origine lamonese Fortunato Campigotto. 

Figlio di emigranti, Campigotto nasce nella frazione di Campigotti il 22 novembre 1941 e già all’età di 17 anni segue il padre Giacomo, muratore stagionale, a Muttenz presso Basilea. Da allora la Svizzera sarà la sua nuova Patria, mantenendo però le radici ad Arina dove egli tornerà ogni anno per le vacanze estive. Oltralpe lavora per la ferrovia svizzera e poi per una ditta edile. Nel tempo libero frequenta corsi privati conseguendo la qualifica di capomastro. Da sempre appassionato di arte, alla fine degli anni Settanta inizia a scolpire il legno da autodidatta, continuando a frequentare corsi di disegno artistico. Fortunato Campigotto esprime la sua creatività e le due doti attraverso diversi materiali, come il legno, il bronzo, il gesso, il ferro, la pietra e negli anni ha partecipato a numerosi concorsi in tutta Europa, ottenendo importanti riconoscimenti, come il Grand Prix d’Art ’84 alla Euro Galerie di Turgovia; tra le numerose esposizioni ricordiamo quelle presso la Casa d’Italia a Zurigo e l’Ambasciata d’Italia a Berna. Nella sua scultura sono quasi sempre presenti le mani, le grandi mani: fortemente aggrappate ad un globo terracqueo oppure pensosamente raccolte attorno ad un viso o ancora dolorosamente strette nella sofferenza o congiunte nella preghiera. Questa presenza, quasi ossessiva, è probabile memoria inconscia delle sue forti mani di manovale e muratore nei cantieri edili della Svizzera. Tra le sue opere presenti in provincia, oltre alla scultura nel MIM, è bene ricordare il crocifisso in legno di cirmolo esposto nella chiesa parrocchiale di Arina, nel quale Gesù è sostenuto da due grandi mani che simboleggiano gli uomini che vogliono proteggerlo, la via Crucis, sempre ad Arina, inaugurata nell’agosto 2017 (voluta dalla Famiglia Ex emigranti di Arina e per la quale l’artista ha donato le quattordici sculture raffiguranti la Passione di Gesù Cristo) e la scultura esposta nel palazzo comunale di Longarone per ricordare il disastro del Vajont. Campigotto, che era stato tra i primi soldati alpini accorsi, aveva voluto donare l’opera nel 1998, in occasione del trentacinquesimo anniversario: si tratta di un’imponente crocifissione che rievoca al contempo la tragedia del 9 ottobre di cinquant’anni fa dove vittime, case, chiesa, diga si susseguono circolarmente in un dinamico affollamento dando la sensazione, a chi osserva, che siano stati scolpiti per girarci intorno. Ancora una volta, mondo dell’emigrazione, Vajont e arte si intrecciano e diventano espressione della nostra bellunesità. Nel 2017 Campigotto ricevette un riconoscimento speciale in occasione della XVIII edizione del premio internazionale “Bellunesi che onorano la provincia di Belluno in Italia e all‘estero”, un’attestazione di stima voluta in prima persona dal nostro presidente Oscar De Bona. 

Fortunato Campigotto è venuto a mancare improvvisamente il 5 giugno 2020 a Zurigo. 

Fonte: BNM n.9/2013 e Aletheia news

Angelo Antoniol

Nacque a Lamon il 2 novembre 1900. Appena sposato ad una giovane del luogo, Anna Mastel, lascia il paese natale nel 1923 ed emigra nel Belgio, bacino di Liegi, seguendo il destino di tanti a cui la terra era stata avara. La vita della sua famiglia, accresciuta di sei figli è una continua lotta sia per le difficoltà ambientali che per i tempi difficili che corrono; ma egli, uomo dalla volontà ferrea, con una fede in Dio più forte delle montagne che aveva lasciato, onora la sua terra e quella ospitale con il duro lavoro di minatore. La fede negli ideali di famiglia, Dio e Patria, lo vede lavorare fianco a fianco coll’allora primo missionario italiano in Belgio, il defunto Piumatti per la realizzazione della prima Missione Cattolica Italiana in Belgio per dare agli emigranti italiani un luogo in cui riunirsi negli anni trenta-trentacinque, sormontando le difficoltà d’ambiente e qualche volta anche certe ostilità per l’insorgere di questa missione guardata dalla gente del luogo come un’avventura. Il “savoir faire” e la pazienza però di questi due pionieri, è il caso di dirlo, e il coraggio acquistano col tempo il benestare tanto della parte civile e religiosa belga. La guerra non smorza in Angelo Antoniol lo spirito creativo e combattivo, continua nel lavoro di apostolato perché la missione che Dio gli aveva affidato non scompaia. Lavora con il signor Vincenzo Bombardieri alla fondazione dell’Azione Cattolica nel 1947. Gli emigranti italiani trovano in lui il consigliere, l’aiuto, le suore delle Poverelle chiamate alla missione per dare assistenza agli emigranti non bussano mai invano alla sua porta: povere tra i poveri. Gli è compagna fedele la moglie Anna che nei momenti difficili lo sostiene con amore e dedizione. L’attaccamento agli ideali della famiglia, del lavoro della chiesa gli merita la Croce di San Silvestro Papa benignamente concessagli dal Santo Padre e che Monsignor Forte gli rimette in una riunione straordinaria a cui partecipano amici, conoscenti e tutte le Organizzazioni Cattoliche. Minato dall’inesorabile male della mina, continua nel suo cammino anche sofferente  e lo si continua a vedere nelle varie riunioni a carattere religioso. Morì il 27 novembre 1968 a Seraing, Liegi.

Fonte: BNM 1970