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Un ritorno inatteso

Vi narro la storia di un giovane di Soverzene. Giosuè, si chiamava, ed era il mio papà, nato nel 1879.

Prima della “guerra 15-18” partì per l’America del Sud per fare fortuna. Sapeva fare tanti lavoretti. Là trovò due coniugi anziani che volevano farlo “figlio di anima”, perché gli volevano bene. Purtroppo si ammalò e i soldi che aveva li spese per curarsi. Così, solo grazie all’aiuto di quelle buone persone, prese la nave per il ritorno.

Il viaggio lo pagò lavorando come “alborata” in cima all’albero maestro. Era la vedetta che avvisava di altre navi o di imprevisti, gridando del pericolo ai marinai sul ponte di sotto.

Tutti lo credevano morto e fecero celebrare diciotto messe di suffragio. Lui intanto arrivò in Italia. Dove sbarcò non lo so, so solo che passò prima per Belluno e si fermò da “Bepi delle strasse”. Quest’ultimo come lo vide gli disse: «Setu vivo o setu ‘n fantasma de morto?», poi gli spiegò la sua situazione al paese.

Guardandolo, Piero disse a voce alta: «Se non si sapesse che Giosuè è morto, direi che quest’uomo è lui».

Dopodiché, Giosuè prese la strada di casa salendo la montagna da Soccher. A Mont salutò degli uomini che tagliavano legna, ma non lo riconobbero. In paese incontrò Piero Bortoluzzi e lo salutò con un buongiorno. Guardandolo, Piero disse a voce alta: «Se non si sapesse che Giosuè è morto, direi che quest’uomo è lui».

Quando arrivò a casa, mia jeja* mescolava la polenta, brontolando per le parole di quell’uomo che diceva di avere colà qualche diritto e prese il mescol** per cacciarlo. Finalmente, dicendo il proprio nome, lei lo riconobbe. Lasciò allora bruciare la polenta e corse a chiamare la gente dicendo che era arrivato Giosuè.

Poi arrivò la guerra del “15-18” e mio papà si trovò con il genio militare a Maserno, in Emilia. Anche qui si trovò bene e dandosi da fare con i suoi lavori conobbe una buona famiglia. Tanto lo stimavano che tenne di cresima anche i loro figli. Rimasero in contatto per diversi anni anche finito il conflitto.

A Maserno lo andarono a trovare i cugini “Gol”: Beniamino, Giovanni Ernesto e Celeste, anche loro del Genio. Esiste da qualche parte una foto che hanno scattato insieme.

Dopo la guerra, mio papà trovò un pezzo di terra buona e pensò di trasferirsi con i suoi sei figli, per migliorare la situazione. Ai miei fratelli, però, non piaceva la polenta di castagne, come si usava preparare in quel luogo, e così rimanemmo a Soverzene tutti uniti e contenti con la mia dolce mamma, che come tutte le mamme compensava con l’affetto la mancanza di tante cose necessarie a vivere.

Pasqua Burigo

* Termine dialettale che sta per “zia”.
** mestolo.

Soverzene, 27 gennaio 1934. Giosuè Burigo e la moglie Lucia Del Vesco nel venticinquesimo di matrimonio. In mezzo a loro la figlia Pasqua. Dietro, da sinistra, i figli Felice, Cristina e Giulio.