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La centrale nucleare

Tranquillo Rinaldo in Zambia, in un cantiere di ricerca dell’uranio
Tranquillo Rinaldo in Zambia, in un cantiere di ricerca dell’uranio

Diversi anni fa mi trovavo nello Zambia come direttore di una compagnia anglo – americana di ricerche minerarie. A quel tempo anche l’Agip Nucleare aveva delle concessioni di ricerca, così noi facevamo le perforazioni anche per loro. Per il fatto che tutti i membri della missione AGIP erano italiani, eravamo legati da una stretta amicizia, in particolar modo con il dr. Luigi Meneghel, che, oltre che essere il direttore, era anche veneto.

Quando l’Università dello Zambia aprì i corsi di Ingegneria Mineraria, fu chiesto a diverse persone, compreso il sottoscritto, di presentare una pubblicazione sui minerali, sui metodi di ricerca, ecc. La mia trattava dei metodi di ricerca nei vari posti del Paese; al dr. Meneghel fu chiesto di parlare di uranio, e l’Agip Nucleare presentò dei campioni di minerale d’uranio. Le nostre pubblicazioni ottennero un buon successo, anzi vorrei dire ottimo, dato che, dopo alcuni giorni, ricevetti un invito del Primo Ministro di recarmi nel suo ufficio (…).

Mi recai nell’ufficio e qui trovai il dr. Meneghel, anche lui con lo stesso invito; nei brevi minuti di attesa ci chiedemmo che cosa mai volesse da noi. Il Primo Ministro arrivò subito, scusandosi per averci fatto aspettare, anche se la nostra attesa non era durata più di due o tre minuti. Mentre noi stavamo ancora chiedendoci cosa volesse, iniziò col dirci che aveva molto apprezzato le nostre conferenze sui minerali radioattivi, per continuare dicendo che secondo lui noi eravamo le due persone più competenti di energia nucleare del Paese. Arrivò infine al motivo per cui ci aveva convocati (francamente io c’ero già arrivato): ci chiese la possibilità che anche la Repubblica dello Zambia potesse avere una centrale nucleare. Ci siamo guardati in faccia e ho visto il dr. Meneghel cambiar colore. Io dissi: “Signor Ministro, lo Zambia possiede con le sue centrali idroelettriche tanta energia che fornisce anche gli stati vicini. E lui sorridendo rispose: “Lo sappiamo”, – ha usato proprio il plurale majestatis, – “ma provate a immaginare quale sarebbe il prestigio per il nostro paese avere una centrale nucleare”. Il dr. Meneghel cominciò a elencare le difficoltà; visto che non venivano recepite, anche lui cominciò a sviare il discorso. Il Ministro, dopo averci ringraziato vivamente, con la richiesta di farci un pensierino, si è congratulato nuovamente per le nostre pubblicazioni e gentilmente ci ha congedati.

Siamo ritornati alla sede dell’Agip e abbiamo faticato non poco a spiegare ai vari membri della missione la richiesta che a tutti sembrava assurda e il tutto è finito a grandi risate.

Questo sta a dimostrare che non tutti sono contrari alle centrali nucleari!

Tranquillo Rinaldo

Un incontro in miniera

Minatori

Diversi anni fa mi trovavo a Bruxelles, ospite della Diamant Board, una compagnia costruttrice di macchine e materiali di perforazioni, dove ho tenuto una serie di conferenze sui moderni, per allora, metodi di perforazione. All’Università di Louvain ho incontrato un caro amico, l’ ing. Gorge Van Anderlect, che mi chiese il parere per un problema che aveva in una miniera di carbone in Inghilterra, problema in teoria facile da risolvere, ma in pratica molto difficile: consisteva nel praticare dei fori orizzontali lunghi 400 m. nel banco di carbone, senza uscire dal banco stesso, che servivano a determinare se ci fossero delle sacche di “grisou”, il tanto temuto gas, che è la causa principale delle sciagure nelle miniere di carbone (…).

Decisi di accompagnare l’amico in Inghilterra per rendermi conto in sito cosa si poteva fare per far sì che i fori non deviassero dallo strato di carbone.

Scesi in miniera, e, mentre percorrevamo un cunicolo piuttosto basso, picchiai con l’elmetto in una sporgenza di roccia, e mi lasciai scappare in italiano uno spontaneo “Accidenti a questi maledetti buchi!”. Vicino a me, piegati per lasciarci il passaggio, c’erano due minatori ed uno di questi, mentre cercavo di riaggiustarmi l’elmetto, mi disse: “Siete italiano?” Risposi affermativamente tentando di indirizzare la luce sul mio interlocutore. Era un uomo sui trent’anni; a prima vista poteva anche essere un sudanese tanto era nero; si vedeva solo il candore dei denti e il bianco degli occhi (…).

Mi fermai, volevo sapere come aveva fatto ad arrivare in una miniera di carbone inglese. Mi disse che era calabrese, d’essere sposato con quattro figli e di aver trovato quel lavoro tramite un amico che viveva in Inghilterra, più o meno la storia di tanti. Lavorava in quel posto da una decina di giorni, aveva anche una grande nostalgia dell’Italia e della sua famiglia.

Lo lasciai parlare; intercalava parole in italiano con altre in diletto calabrese e mentre parlava due rigagnoli di lacrime lasciavano i segni sulle guance nere coperte di polvere e non ho potuto fare a meno di pensare che quella polvere si stava accumulando anche nei polmoni. Dopo un paio di frasi di incoraggiamento, che non ho potuto fare a meno di giudicare estremamente banali, lo lasciai; al ritorno lo ritrovai e mi fermai ancora un paio di minuti ad incoraggiarlo. Ricordo che mi prese la mano e prima che potessi ritirarla la baciò facendomi sentire molto imbarazzato, e mentre m’allontanavo sentii che mi diceva “Salutatemi l’Italia”.

Alla sera, con l’auto che mi portava all’aeroporto, sono passato vicino alla miniera e, mentre guardavo i cumuli di carbone che si stagliavano nel cielo come piccole colline, non ho potuto fare a meno di pensare a quel minatore calabrese e spontaneamente credo di aver chiesto per lui la protezione di Santa Barbara, dato che certamente ne aveva bisogno.

Tranquillo Rinaldo