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I tumulti antiitaliani di Aussersihl

Una Little Italy, o forse sarebbe meglio dire una Klein Italien, visto che siamo a Zurigo. Questo era il quartiere di Aussersihl. «Una sorta di baraccopoli di italiani», lo definisce lo storico delle migrazioni Toni Ricciardi nel Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo.

Non solo. Era una «“zona rossa”, vista la massiccia presenza di operai socialisti e anarchici». Furono forse queste caratteristiche a farne il teatro di una delle più gravi violenze xenofobe che la storia zurighese abbia mai conosciuto: i cosiddetti “tumulti antiitaliani”.

Alla fine di luglio del 1896, infatti, ad Aussersihl andò in scena una vera e propria “caccia all’italiano” che costrinse centinaia di famiglie a mettersi in fuga.

Ad accendere gli animi e a innescare l’incendio fu l’accoltellamento di un arrotino alsaziano, morto durante una rissa nella notte tra il 25 e il 26 luglio. Il sospetto ricadde su un muratore italiano. Da qui la rivolta, che finì per investire non solo il presunto assassino, ma un’intera comunità.

Il delitto, in sostanza, fece esplodere la rabbia popolare che covava contro gli immigrati giunti dal Bel Paese, capri espiatori di una guerra tra poveri provocata da datori di lavoro interessati ad abbassare il più possibile i salari approfittando della disponibilità degli italiani a lavorare per paghe che gli svizzeri reputavano troppo basse.

Anche allora, una frase che si è poi ripetuta spesso nella storia e che riecheggia ancora ai giorni nostri iniziò a insinuarsi nei discorsi della gente: gli stranieri “rubano il lavoro” ai locali. 

L’irritazione dettata da insicurezza economica e sociale sfociò così nella violenza fisica.

“Il Corriere della Domenica” dà notizia degli scontri.

«La reazione da parte svizzera – scrive Ricciardi – fu molto dura: tutto ciò che nel quartiere era italiano fu distrutto, tanto che l’esercito dovette intervenire per fermare la rappresaglia e riportare l’ordine». Nel frattempo, però, centinaia di persone erano state costrette a lasciare Zurigo per sottrarsi a quelle ritorsioni.

La giornalista Maria Miladinovic, in un articolo del 2021 pubblicato su tvsvizzera.it, riporta: «Il più importante giornale locale, la Neue Zürcher Zeitung (NZZ), in quel periodo scrisse: “Ad Aussersihl, si è gradualmente sviluppata una profonda amarezza contro i lavoratori italiani immigrati, muratori e lavoratori della terra. La ragione di questa agitazione non ingiustificata sono i numerosi tafferugli notturni in cui i focosi figli del Sud, che sanno come evitare le liti e gli scontri da sobri, fanno uso dei loro coltelli, e in cui sono stati commessi cinque omicidi in poco tempo, sempre per mano di italiani ubriachi”».

Camillo Cason, ragazzo del ’99

Primo piano dell'emigrante Camillo Cason

Fiero del suo cappello alpino e delle medaglie al petto, Camillo Arnoldo Cason, che qui vediamo nella foto, è uno dei tanti esempi bellunesi del binomio emigrante-combattente. 

Camillo nacque a Zurigo il 12 gennaio 1899, secondogenito di Giuseppe Cason e Antonietta Buttol, i quali erano emigrati per lavoro in Svizzera, dove si erano conosciuti qualche anno prima e dove erano tornati dopo il matrimonio, avvenuto nel 1896 ad Agordo, paese di origine della sposa. Giuseppe invece era nativo di Pren di Feltre e qui egli rientrò da Zurigo con la famiglia agli inizi del 1900; Camillo visse dunque la sua infanzia nella frazione feltrina, dove frequentò le scuole e temprò il suo carattere deciso ma buono, presto avezzo alle difficoltà della vita di allora. A diciotto anni Camillo venne arruolato e nei primi mesi di servizio militare fu a Belluno, nel magazzino del Battaglione Feltre. Venne poi mandato sul campo: divenne caporale maggiore del 3° Reggimento Alpini, Battaglione Val Cenischia. Nel 1924 gli venne concessa la croce al merito dal Ministero della guerra, a cui fece seguito quella di Cavaliere di Vittorio Veneto. Tra il ’20 e il ’30, Camillo emigrò per diversi periodi lavorativi stagionali in Francia, impiegato nel settore edile in compagnia del padre e del fratello Silvio. Si trasferì poi a Milano, dove lavorò alle dipendenze dell’Istituto per bisognosi Cardinal Ferrari. Era il 1927 quando si recò a Somma Lombardo, in provincia di Varese, per presenziare al matrimonio di un suo amico, un certo Miglioranza, anch’egli feltrino; qui conobbe la sua futura sposa, Antonietta Casolo. Un anno dopo venne celebrato il matrimonio, da cui nacquero due figli, Enrica e Giuseppe. Nel piccolo centro varesino Camillo faceva inizialmente lavori di diverso tipo, finchè il suocero chiese al suo datore di lavoro se aveva un posto per lui nella sua fabbrica tessile. Camillo venne assunto subito e vi rimase fino all’età della pensione. Ogni anno tornava al suo paese, ai piedi del Paffagai, dove amava ritrovare gli amici di infanzia e i numerosi fratelli e sorelle, che sempre ha aiutato nei momenti di bisogno. Persona molto generosa e altruista, aveva uno spirito gioviale, aperto all’amicizia e all’allegria. Due sono stati i suoi ideali di vita: la famiglia e l’amore per la Patria; finchè le condizioni di salute glielo hanno permesso, ha sempre partecipato alle annuali sfilate degli Alpini. Si è spento nel 1979. 

Fonte: BNM n 10/2015

Angelo e Giuseppina Fregona

Giuseppina e Angelo

Quest’anno è mancata Giuseppina Casagrande, già ricordata dalla Famiglia Monte Pizzocco. Venticinque anni fa era mancato anche suo marito Angelo Fregona. Una coppia che, assieme ad altri volonterosi bellunesi, cinquant’anni fa collaborò, magari dietro le quinte, alla fondazione della Famiglia Bellunese di Zurigo. Difatti, sulla lista del primo Consiglio Direttivo, troviamo il nome di Angelo e di Marilisa Fregona, loro primogenita.
Angelo era un bellunese molto generoso. Sin dalla nascita della Famiglia ABM di Zurigo, anno 1966, si era impegnato in seno al Consiglio come tesoriere. Non solo, il suo impegno principale è stato quello di propagandare ai nostri coetanei qui residenti la presenza dell’Associazione, motivandoli a farsi soci e a partecipare alle riunioni, conoscersi e farsi conoscere, aver più contatto con la Provincia e con la Regione: questo era il moto di quei tempi. Di fronte alla sciagura di Mattmark ci siamo sentiti soli, con poche informazioni e inerti, incapaci di renderci utili di fronte alla gravità dell’accaduto. Dopo cinquant’ anni, i ricordi rendono sempre più tangibile la situazione dell’emigrazione dell’epoca. Con l’impegno dei nostri pionieri bellunesi, fra questi anche Angelo e Giuseppina, la Famiglia di Zurigo raggiunse in pochi anni 330 famiglie iscritte, la più numerosa della Svizzera (record mantenuto fino ad oggi).

Voglio ricordare un particolare dell’impegno della famiglia Fregona.

Giuseppina, che a quel tempo amministrava una casa con mini appartamenti per gente che pernottava durante la settimana, era riuscita a dare alloggio a tutto il Gruppo Folcloristico di Cesiomaggiore (oltre trentacinque persone), venuto a dare spettacolo a una nostra manifestazione. All’epoca non era cosa facile trovare alloggi per così tante persone e in più gratuitamente, cosa naturalmente sostenuta dal marito, cassiere dell’ABM-ZH. Angelo e Giuseppina erano emigrati in Svizzera dopo il matrimonio, nel 1947. Erano rientrati in Italia nel 1948 per la nascita dalla primogenita Marilisa, per poi, nel 1951, ripartire per Zurigo dove nel 1961 arrivò anche la secondogenita Adonella. Nel 1986, dopo circa. trentanove anni di emigrazione, Angelo e Giuseppina andarono in pensione e decisero di lasciare definitivamente la Svizzera per rientrare a Campo di Santa Giustina dove, da buoni italiani, si erano preparati l’abitazione per la terza età. Qui a Zurigo rimasero le due figlie, Marilisa e Adonella con le loro famiglie. La sorte volle che per Angelo la morte arrivasse nel 1990, quattro anni dopo il rientro.
Giuseppina, con molto coraggio e determinazione visse in casa da sola. Ultimamente anche aggravata e costretta a muoversi solo con le stampelle, ebbe la fortuna di trovare un valido aiuto da Silvana, la sua amica che l’assistette fino alla fine, all’età di novantadue anni.
Ricorderemo Angelo Fregona e Giuseppina Casagrande per il loro impegno a favore della comunità bellunese e dell’ABM di Zurigo.

Per l’ABM di Zurigo, Saverio Sanvido – gennaio 2016