Cesare Lamastra

La mia vita di emigrante pare tratta da un romanzo di Salgari, ma sulle navi che solcavano gli oceani non c’erano i pirati bensì marinai che con fatica e sudore si guadagnavano ogni giorno il sudato pane. Io ero uno di quelli. La storia della mia famiglia è semplice.
Mia madre di Villa di Zoldo aveva trovato impiego a Trieste in una gelateria dove incontrò mio padre che faceva il marinaio. Lui era proveniente dal Sud. Il loro fu un amore a prima vista ed il giorno di San Valentino del 1936 venni alla luce portando un raggio di sole nell’unione dei due sposi.
Giunto all’età scolare frequentai la prima classe elementare a Fiume (oggi Rieka, ma in seguito mia madre decise di portarmi dai nonni a Zoldo per farmi crescere in un ambiente più tranquillo. Finita la quinta elementare praticai una scuola dove insegnavano il mestiere di carpentiere e di muratore e a quindici anni ero in Val Grisende sulla Dora Baltea, dove costruivano una diga; venni poi trasferito a Zoldo in occasione dell’apertura di un cantiere a Pontesei dove avrebbero innalzato una diga. Ai nostri giorni sarebbe inconcepibile per i giovani di quindici anni praticare un lavoro massacrante sotto pioggia e gelo ad ogni stagione, arrampicati ad altezze spaventose con sistemi di sicurezza precari. A quel tempo eravamo in tanti in quella condizione: non abbiamo avuto una vita facile.
Quando si è nati in un luogo dove la natura ogni giorno propone processi nuovi e fantasmagorici spettacoli proposti dal sole, le montagne sembrano precludere lo sguardo per trattenere i propri figli come fa una madre. Ma la valigia diventa imposizione, l’emigrazione croce e delizia dell’uomo. Mio padre, notando la durezza del mio lavoro, un giorno mi portò a Venezia e siccome veniva dalla navigazione gli fu facile farmi avere il libretto di navigazione e così incominciava per me una nuova vita, una vita continua di emigrazione. Incominciai la mia vita di marinaio su una petroliera che trasportava petrolio greggio dall’Arabia Saudita al Nord Europa per poi passare ad altre navi molte delle quali portavano la bandiera del Panama che stava a significare la mancanza di assicurazione. Volevo un lavoro sicuro e finalmente trovai nella “Società di navigazione Italia” ciò che cercavo. Ho lavorato per anni su tante navi. Ricordo con uno stato d’animo particolare la nave “Hermosa”. Ero a Bahia Blanca in Argentina e si doveva caricare del grano. La partenza della nave era prevista per le 9 del giorno dopo e, passata la notte con una bella ragazza, alle 7 mi recai al porto per apprendere che la nave era partita da cinque minuti. Dovetti rimanere a Buenos Aires in attesa di ordini per rimpatriare, ma il ritorno avvenne dopo oltre un anno. Nel frattempo mi ero sposato con una ragazza argentina che mi regalò due splendide bambine per poi volatilizzarsi. Solo, a suon di sacrifici, allevai onestamente le mie figlie.
Avrei tanto da raccontare della mia vita, fatta di luci ed ombre, ma lo spazio è tiranno e devo fermarmi all’essenziale. Michelangelo, Raffaello, Cristoforo Colombo, altri nomi altisonanti mi tornano alla memoria. Ancora mi pare di risentire il fischio che annunciava la partenza. Guardavo l’Italia che si allontanava con un senso di malinconia, ma questa era quasi dolce, perché col pensiero pregustavo, a mesi, la gioia del ritorno. Non ci si abitua mai a partire, le notti dell’emigrante sono trapunte di sogni che brillano come stelle del firmamento, i canti nostalgici, le città visitate in ogni parte del mondo che hanno visto la partecipazione degli emigranti italiani, altri particolari mi facevano sentire orgoglioso di essere italiano.
Una volta smesso il servizio sulle navi, prima di andare in pensione, ho lavorato per dieci anni ad Avellino per rimanere fino al 1994 per poi tornare definitivamente a Zoldo. Nei miei viaggi ho toccato ben 20 nazioni: dalla Svezia all’Africa, dal Nord America al Giappone. Ho toccato – fermandomi più o meno a lungo – oltre cento porti. Non li elenco, ma i loro nomi sono tutti impressi nella mia memoria. Questa la mia vita di emigrante. Nostalgia e fatica, disagi e qualche appagamento, la partenza, il rientro. Luci ed ombre dicevo sopra. Le ombre nel passare momenti bui, dolorosi anche, ma talvolta i sogni si avverano, il destino pare possedere una bacchetta magica. Una sera durante una festa paesana ballavamo all’aperto. Il cielo era trapunto di stelle come quando navigavo al mare. Eros scoccò la sua freccia e credere che i sogni si avverino e che il destino prima o poi ti da ciò che ti ha rubato fu tutt’uno. Annetta era di fronte a me; ora sono dieci anni che mi sta ancora di fronte in ogni momento donandomi amore vero come io lo dono a lei. Abitiamo a Mas di Sedico e talvolta a Zoldo. Nei momenti liberi costruisco navi in scala che mi ricordano la mia gioventù, il mio lungo viaggiare per le vie del mondo.
Mentre scrivo questi miei ricordi di emigrante, Annetta mi è accanto e sento la serenità che mi culla come l’onda del mare. Lei mi è vicina e mi fa capire in ogni momento che sono arrivato in un porto nel quale fermarmi per sempre per assaporare fino all’ultimo giorno della vita la felicità.
Cesare Lamastra