Author Archive

Roberto il giramondo

di Stefania Dall’Asen

Nel giugno del 1973 Roberto Dall’Asen giunse nell’umida e piovosa Formosa, per partecipare ai lavori di costruzione di una diga, a circa novanta chilometri da Tai-Chang. Qui trovò moltissimi militari: l’isola era allora una base per l’intervento americano in Vietnam. Erano giorni di intensa umidità e piogge continue.

Nel 1975, Roberto volò in Sudafrica, per partecipare alla costruzione di un’altra grande diga, e della relativa centrale elettrica, al confine fra Namibia e Angola. I lavori furono realizzati in una zona isolata del Paese: la città più vicina si trovava a novecento chilometri di distanza.

La Namibia, ex colonia tedesca, era in quegli anni amministrata dal Sudafrica. Il Sudafrica dell’Apartheid razzista si mostrò subito all’arrivo all’aeroporto di Johannesburg: inseritosi nella fila sbagliata, Roberto fu trattenuto da una guardia che controllava l’effettiva separazione di bianchi e neri.

Lavorando al confine con l’Angola, Roberto fu presente a un evento storico: l’arrivo dei militari cubani, con l’Operaciòn Carlota, che portò nel paese più di 50mila cubani in soli quindici giorni. Il conflitto fu lungo e vide coinvolti da un lato Cuba e Unione Sovietica, dall’altro Stati Uniti e Sudafrica: si giunse alla firma di un accordo di pace solo nel 1988.

All’arrivo dell’esercito cubano, i lavori di costruzione della diga furono interrotti per due settimane. I militari cubani si limitarono poi a sequestrare le macchine fotografiche, e presto i lavori ripresero lì dove erano stati interrotti.  

Lui e i suoi colleghi riuscirono a fatica a raggiungere l’aeroporto di Teheran, dove restarono bloccati per alcuni giorni, insieme ad altri cittadini europei. Un volo inviato appositamente dall’Italia permise loro di far ritorno a casa.


Nell’aprile del 1978, Roberto volò in Iran, a Ahvaz, per la costruzione di silos per stivare zucchero e caffè. L’Iran, allora governato dallo Scià di Persia, aveva tentato con la rivoluzione bianca di portare avanti riforme sociali e economiche, ma la protesta popolare verso il governo dello Scià, iniziata già negli anni Sessanta, era cresciuta.

L’ayatollah Khomeyni, uno dei leader della protesta, nel 1964 fu esiliato in Iraq, ma continuò da lì a fomentare le proteste. La risposta fu un inasprimento del regime dello Scià: nel 1978 la polizia di regime sparò sui dimostranti scesi in piazza. In quei giorni, il cantiere dove Roberto lavorava venne bloccato, in concomitanza con l’evacuazione delle principali Ambasciate.

Lui e i suoi colleghi riuscirono a fatica a raggiungere l’aeroporto di Teheran, dove restarono bloccati per alcuni giorni, insieme ad altri cittadini europei. Un volo inviato appositamente dall’Italia permise loro di far ritorno a casa. Le proteste in Iran andarono avanti e nel 1979 si giunse all’instaurazione della Repubblica Islamica dell’Iran di Khomeyni.

All’inizio del 1980, Roberto si spostò in Libia, governata dal regime di Ghedaffi, per partecipare ai lavori per la costruzione di un ospedale a Bengasi. Nonostante la repressione interna, la nazionalizzazione di imprese e di possedimenti italiani, la Libia era ancora un Paese tranquillo per gli stranieri e per gli italiani che vi vivevano.

Il viaggio successivo fu in Camerun, nell’Africa equatoriale, caratterizzata da precipitazioni abbondantissime durante la stagione delle piogge, da marzo a ottobre. Qui partecipò ai lavori per la costruzione di una diga a circa ottanta chilometri da Douala, in un villaggio sul fiume Wouri.

Nel luglio del 1981 fu in Algeria, nelle vicinanze di Costantina. Dopo una guerra civile scoppiata nel 1954, l’Algeria aveva ottenuto l’indipendenza dalla Francia all’inizio degli anni Sessanta. Era un Paese che rivendicava già le sue origini arabe con forza: bisognava fare attenzione a non incorrere in incidenti con i locali ancora in rivolta contro i dominatori stranieri.

Nel 1983, tutta la famiglia, me compresa, volò in Botswana. Qui mio padre, Roberto, lavorò alla costruzione di una strada che attraversa il Botswana collegandolo allo Zimbabwe, a circa centocinquanta chilometri delle Victoria Falls. Io avevo due anni e mia sorella sei. Raggiungemmo il nostro villaggio, nei pressi del delta Okavango, con un lungo tragitto in jeep, su strada sterrata, e lì, vicino a noi, vivevano ippopotami, zebre ed elefanti.

Un immigrato pioniere

Ancelmo Trojan era figlio di Giovanni Battista Trojan, partito da Genova a bordo della nave Polcevere e arrivato a Rio de Janeiro il 25 gennaio 1884. Giovanni Battista era nativo di Maras di Sospirolo, figlio di Filippo Vincenzo e Rosa Moretti. I suoi fratelli e sorelle – Maria Antonia, Caterina, Anna, Giustina, Giustina Giovanna e Luigi – rimasero a Maras. Con Giovanni Battista c’erano sua madre, la moglie Maria Teresa Sasset, e i loro quattro figli Rosa Pasqua, Vincenzo, Giovanni e Luigi.

Si insediarono nel distretto di Ana Rech, comune di Caxias do Sul, nel Rio Grande do Sul, dove nacquero altri cinque figli: Francisco, Giuseppina, Giuseppe, Pietro e appunto Ancelmo. Ancelmo, l’ultimo figlio di Giovanni Battista, aveva dieci anni quando il padre morì. Tre anni più tardi, il fratello maggiore lo introdusse a lavorare in una conceria nella quale già erano impiegati gli altri fratelli. Questo, però, non era il desiderio di Ancelmo.

In quello stesso periodo andò a Erechim a far visita alla sorella Giuseppina e fu invitato a vivere con lei e il cognato Alberto Lise. Alberto, recatosi alla Casa di Commercio di Emilio Grando, gli disse che stava ospitando suo cognato ed Emilio Grando invitò Ancelmo ad andare a lavorare con lui nel magazzino.

All’inizio Ancelmo lavorava con i muli che si recavano verso l’interno portando tavole e cibo. Dopo qualche tempo, la sua padrona gli chiese di lavorare in cucina, poiché aveva notato il suo talento nella preparazione del cibo. Così Ancelmo diventò cuoco della famiglia di Emilio Grando e dei suoi dipendenti. Lavorò per quindici anni in questo posto. Emilio offrì a ciascuno dei suoi dipendenti trenta ettari di terreno nel comune di Erval Grande, scalandone gradualmente il costo dallo stipendio. Nella terra di Ancelmo, a tre chilometri nell’entroterra, c’erano molti pini e araucarie.

Una volta finito di pagare il suo capo, Ancelmo acquistò altri trenta ettari ad Aratiba. Successivamente, Gomercindo Grando chiese a suo fratello Emilio di “prestargli” il suo dipendente Ancelmo, per assisterlo come cuoco dei suoi dipendenti a Erval Grande. Gomercindo, infatti, aveva comprato un sacco di terreni, ma non disponeva di personale che sapesse cucinare. Nel viaggio da Erechim a Erval Grande, Ancelmo segnalò il suo arrivo con dei fuochi d’artificio.

Fu proprio a Erval Grande che Ancelmo incontrò la sua futura moglie, Emilia Martini, allora diciassettenne. Tornato a Erechim, Ancelmo avvertì il suo capo, Emilio Grando, che avrebbe sposato Emilia. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferì nell’area acquistata da Ancelmo ad Aratiba, mettendo in piedi un piccolo ranch vicino al fiume.

Facendosi strada nel bosco, arando il terreno e spaccando legna, costruirono la loro casa e una grande famiglia, con diciannove figli: Maria Regina, Artemio Domingos, Zelide Rosa, John Anacleto, Aldo Carlos, José Honorino (mancato da bambino), Lydia, Honorino Luiz, Jandir Lourenço, Claudino Valentinem, Rosa Clara (mancata da piccola), Anair Angelina, Rosa Clara, Perzentino David, Ondina Lucia, Roque Antonio, Massimino Mario, Terezinha Lourdes, Francisco Higino.

Ancelmo Trojan fu un leader nella comunità e dato che non era frequente la presenza di preti nella regione, si incaricò delle sepolture, dell’assistenza ai malati, dell’organizzazione delle feste in chiesa. Servizi nei quali fu affiancato e sostenuto dai figli. La religiosità fu sempre molto presente nella casa di Ancelmo. Nel mese di ottobre, per esempio, conosciuto come il mese del Rosario, ogni sera la famiglia si riuniva in preghiera. Era tradizione di famiglia, inoltre, che tutti frequentassero la messa la domenica mattina, e l’accordo era che se non andavano a messa non potevano passeggiare nel pomeriggio.

La domenica pomeriggio, infatti, andavano spesso a trovare gli amici d’infanzia di Ancelmo. In chiesa, poi, Ancelmo cantava nel coro, in latino. Insomma, tra impegno e lavoro, la famiglia si affidò sempre con grande fede a Dio. Emilia Martini non sapeva scrivere e non conosceva i soldi. Era pertanto Ancelmo a occuparsi dell’organizzazione finanziaria di famiglia, non facendo mai mancare nulla in casa. Ai suoi figli proibì sempre di fumare prima dei diciotto anni, e vietò loro di entrare in casa con il cappello in testa.

Alla moglie, non permise di andare lontano per lavorare, così da poter stare più vicina alla casa e ai bambini. Con Emilia, in casa, c’era sempre un figlio più grande a darle aiuto, affinché lei potesse continuare anche a lavorare. Dopo ogni nuovo nato, Emilia camminava per tre o quattro chilometri per ricevere la benedizione dal sacerdote. Per la terra di Erval Grande, Ancelmo chiarì il suo desiderio di non venderla finché era vivo. Tuttavia, quando si ammalò, Fioravante Andreis fece ad Artemio, il figlio maggiore di Ancelmo, un’offerta.

Dopo una riunione con tutti i figli, Ancelmo decise di vendere, perché Fioravante era un amico di famiglia. Con i soldi guadagnati, Ancelmo sostenne le spese ospedaliere, chiedendo a tutti i figli di stare con lui in ospedale. E così fu durante gli ultimi otto giorni di ricovero. Prima di morire, Ancelmo radunò tutti e disse: «Figli, so che sto per morire, ma seguite tutti la strada della Salvezza». Ancelmo si spense il 4 settembre del 1976. I servizi ospedalieri e funebri furono saldati con il denaro della terra di Erval Grande.

I figli Honorino Luiz e Jandir Lourenço

La famiglia di Ancelmo.

Una vita al di là delle Alpi

Pietro Cossalter ha 71 anni ed è un ex emigrante che ha vissuto per gran parte della sua vita in Svizzera.

Nel 1969, a soli 17 anni, decise di fare le valigie, con l’obiettivo di trovare un buon lavoro. Partito da Sedico, si trasferì a Pfungen, nel Canton Zurigo, dove erano già presenti i suoi fratelli. 

Nonostante oggi ami la Svizzera, racconta che all’epoca lasciare l’Italia per trasferirsi al di là delle Alpi fu davvero molto difficile. Era giovane, e per la prima volta si trovava lontano dai suoi cari. Una delle difficoltà incontrate all’inizio fu la lingua, visto che non conosceva il tedesco. Riuscì però a imparare il necessario grazie al suo lavoro e alle nuove amicizie.

Grande aiuto lo ricevette anche dai fratelli, soprattutto ai primi tempi. Alla fine, malgrado gli ostacoli iniziali, l’esperienza elvetica fu molto positiva e oggi Pietro si dice contentissimo di quegli anni.

Nel 1971, dopo tre anni dalla partenza, rientrò in Italia per il servizio militare. Assolto il suo dovere, nel 1973 espatriò nuovamente, restando in Svizzera fino al 2016. Lavorò come operaio addetto al carico-scarico merci in due diverse aziende: prima la Keller AG Ziegeleien, una fabbrica di mattoni e tegole. Poi, dal 2001, per la Maag Recycling, azienda di riciclaggio, con la quale raggiunse la pensione nel 2016. 

Ogni anno riusciva a tornare in visita in Italia, per trascorrere del tempo con la fidanzata e aiutare i genitori. Nel 1978, mentre si trovava a Sedico, sposò Carla Rosso, sua compaesana. Dopo il matrimonio i due si trasferirono insieme a Pfungen e nel 1980 nacque il loro figlio Claudio. Claudio che nel 2008 e nel 2011 regalò loro i nipoti Ivan e Davide, grandi appassionati di calcio.

Durante la sua vita in Svizzera, per circa trent’anni Pietro svolse anche attività di volontariato presso la Colonia Libera di Embrach, aiutando altri emigranti con i documenti e con l’approccio al tedesco. Ogni tanto, oltre a questioni burocratiche e di inserimento nel nuovo contesto, con la Colonia riuscivano a organizzare anche qualche festa, per distrarsi e socializzare.

L’affetto e il senso di appartenenza che Pietro prova per la sua terra natia lo hanno riportato qui, per godersi gli anni della pensione nel luogo dove ha vissuto la sua infanzia. Dal 2016, infatti, Pietro vive con la moglie a Sedico. Ma quando si presenta l’occasione, torna in Svizzera da figlio, nipoti e amici. 

Se lasciare l’Italia per trasferirsi in Svizzera fu complicato, anche lasciare la Svizzera per tornare in Italia non fu da meno. In entrambi i casi, ricorda, la cosa più difficile è stare lontano dai propri cari: genitori e fidanzata prima, figlio e nipoti ora. 

Storia raccolta da Alessia Guolla

Prima di partire “per altre terre e altri luoghi”

L’incertezza della migrazione non è affare solo attuale. Come dimostra un documento del 1528. Si tratta del testamento di un feltrino che prima di partire “per altre terre e altri luoghi” al fine di migliorare la condizione propria e della sua famiglia, e non conoscendo l’esito della sua impresa migratoria, esprime di fronte a un notaio le sue ultime volontà.

Archivio di Stato di Belluno, Notarile, notaio Pietro Paolo Delaito, b. 2642, cc. 183 v-184 r, 29 febbraio 1528

Testamentum Ioannis Feltrini

In Christi nomine, amen. Cum Ioannes Feltrinus filius quondam Bernardini de Castello de Farra de Feltro sit iturus in aliis terris et locis pro aquirendo victum et vestitum cum suis laboribus pro se et uxore sua, sciens de discesu suo, sed de recesu ignorat et quia nil est certius morte et incertius hora mortis, tamen per Dei gratiam sanus mente et corpore, suarum rerum et bonorum omnium dispositionem per presens nuncupetivum testamentum sine scriptis in hunc modum facere procuravit. In primis quidem animam suam et corpus suum humiliter omnipotenti Deo et gloriose Virgini Marie recomisit. In omnibus autem suis bonis mobilibus et immobilibus, iuribus et actionibus tam presentibus quam futuris, Agnetem et Catherinam sorores et filias Pauli molendinarii quondam Ioannis de Conzago et filias domine Malgarite eius cognate et uxoris dicti Pauli, suas heredes instituit equali portione hac tamen condictione, quod si eveniret quod dicta domina Malgareta peperisset aliquem filium vel filios mascuolos, tunc sostituit ipsum vel ipsos equali portione et privat ipsas sorores in totum. Et hanc ultimam voluntatem asseruit esse velle; quam vallere voluit iure testamenti; quod si iure testamenti non valeret, valeat saltim iure codicilorum vel cuiuslibet alterius ultime voluntatis. Laus Deo. 
Lectum et publicatum fuit suprascriptum testamentum de mandato dicti testatoris ad eius claram intelligentiam et infrascriptorum testium rogatorum per ipsum met testatorem et per me notarium, videlicet ser Alexandro quondam nobilis viri ser Hieronymi de Sumaripa, Iacobo filio Zanviti de Ripa de Sosaio, Salvatore filio quondam Mei de Barpo habitatore in Trivisoio, Simone quondam Zanandrea de Levico, Petro quondam Iacobi de Peterle de Fara de Alpago, Nicolao quondam Bernardi dicto Rosso de Caverzano, Paulo molendinario, testibus rogatis a dicto testatore et a me notario, currente anno Domini millesimo quingentesimo vigesimo octavo, indictione prima, die ultimo februarii.

Testamento del feltrino Giovanni

Nel nome di Cristo, amen. Essendo il feltrino Giovanni, figlio del fu Bernardino da Castello di Farra di Feltre, in procinto di partire per altre terre e altri luoghi per guadagnare con il suo lavoro il necessario per il nutrimento e il vestiario per sé e sua moglie, consapevole della partenza, ma senza sapere se sarebbe tornato e poiché nulla è più certo della morte e niente più incerto dell’ora della morte, tuttavia, sano di mente e di corpo per grazia di Dio, si premurò di lasciare una disposizione riguardante tutti i suoi beni e le sue proprietà per mezzo del presente testamento espresso oralmente, senza scritti (del testatore). Innanzitutto, in verità, raccomandò umilmente la sua anima e il suo corpo a Dio onnipotente e alla gloriosa Vergine Maria. Poi, per tutti i suoi beni mobili e immobili, diritti e azioni, tanto presenti quanto futuri, nominò sue eredi in uguale misura Agnese e Caterina, sorelle e figlie del mugnaio Paolo del fu Giovanni da Conzago e figlie della signora Margherita, sua cognata e moglie del predetto Paolo, tuttavia a questa condizione: che se fosse successo che la suddetta signora Margherita avesse partorito un figlio o figli maschi, allora avrebbe nominato erede in sostituzione questo o questi in uguale misura e avrebbe privato del tutto le sorelle stesse (di ogni eredità). 
E dichiarò di volere che questa fosse la sua ultima volontà; la quale volle che fosse valida per norma testamentaria; che se non valesse per norma di testamento, che almeno fosse valida per norma di codicilli o di qualunque altra ultima volontà. Il soprascritto testamento fu letto e pubblicato su incarico del suddetto testatore per una sua chiara comprensione e degli infrascritti testimoni richiesti dallo stesso testatore e da me notaio, cioè Alessandro figlio del fu nobile uomo Ieronimo da Sommariva, Iacomo figlio di Zanvì da Riva di Sossai, Salvador figlio del fu Mio da Barp che abita a Trevissoi, Simone del fu Zanandrea da Levego, Pietro del fu Iacomo di Peterle da Farra d’Alpago, Nicolò del fu Bernardo detto Rosso da Cavarzano, il mugnaio Paolo, testimoni richiesti dal suddetto testatore e da me notaio, correndo l’anno del Signore 1528, indizione prima, l’ultimo giorno di febbraio.

Trascrizione e traduzione a cura di Dina Vignaga.

Nova Beluno

di Cesar Augusto Murari e Luciano Gastaldo*

La Colonia Jaguari fu creata nel 1871. Tuttavia, a causa di alcune dispute per il possesso della terra, la demarcazione dei lotti iniziò solo nell’agosto del 1886, con l’arrivo nella regione del dott. Jose Manoel Siqueira Couto. Nel gennaio 1887 si contavano già 78 lotti di 25 ettari demarcati come “Terra Jaguari”. All’inizio dell’anno successivo erano 249.  

Secondo lo studioso José Newton Marchiori, e in accordo con quanto riportato nel “Registro di immigrati della Colonia Jaguari”, la data da considerare fondamentale nella storia della Colonia Jaguari è il 14 settembre 1888, giorno in cui arrivarono i primi immigrati dalla Quarta Colonia. 

Alcuni documenti citano erroneamente come anno di fondazione della Colonia il 1889, prima della proclamazione della Repubblica (15 novembre 1889). Per questo il territorio non viene ricordato come le altre antiche colonie di Conde D’eu, Dona Isabel, Fundos de Nova Palmira e Silveira Martins, definite Prima, Seconda, Terza e Quarta Colonia italiana. Tuttavia, essendo stata creata nel 1871, durante il periodo imperiale, Jaguari è a tutti gli effetti la “Quinta Colonia italiana”.

Linea Nova Beluno, Colonia Jaguari, 1890/1900 circa. Inaugurazione del campanile della chiesa Nossa Senhora do Rosário.

Formarono la Colonia i nuclei: Jaguari – la sede principale, del 1888 -; Ernesto Alves, del 1891; Toroquá, del 1892; São Xavier, del 1894. Il nucleo Toroquá fu diviso in Nucleo Encruzilhada e Nucleo Nuova Belluno, in omaggio alle famiglie giunte dal Bellunese.

Tra il 1890 e il 1893 arrivò un significativo contingente di 4.865 immigrati, tra cui numerosi polacchi, tedeschi e austriaci. Alla fine del 1905 la popolazione era di 14.352 abitanti, di cui ben 9.500 italiani.

Gli ultimi immigrati arrivarono il 29 agosto 1906, poi la Colonia andò via via ad estinguersi e i suoi nuclei vennero integrati alle vicine città di São Vicente do Sul (soprattutto dal nucleo principale e da São Xavier), Santiago (dal nucleo Ernesto Alves) e São Francisco de Assis (Nucleo Toroquá).

Il 16 Agosto 1920 Jaguari divenne città autonoma.

Dalle ricerche effettuate su alcuni libri che trattano dell’emigrazione italiana a Jaguari, attraverso le visite ai cimiteri e mediante l’analisi dei documenti di famiglia, è stato trovato il seguente elenco di immigrati provenienti dalla provincia di Belluno e stabilitisi a Colonia Jaguari:

BEN Giovanni, figlio di Giovanni Battista e Anna Campedel, entrato nella Colonia il 15 ottobre 1898;

BENVEGNÙ Pietro, marito di Maria Giovanna Selva, entrato nella Colonia il 20 aprile 1895;

BERNARDI Antonio, marito di Giustina Giradini, entrato nella Colonia il 4 marzo 1895;

BOTTA Angelo, figlio di Isidoro e Assunta De Min, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

CADO Pietro, figlio di Adriano e Maria Maoret, entrato nella Colonia il 9 febbraio 1893;

CARLIN Giovanni, figlio di Gaetano e Antonia Pol, entrato nella Colonia il 17 aprile 1893;

CASSOL Eugenio, figlio di Michele e Giustina Pollet, entrato nella Colonia il 25 gennaio 1892;

CONTE Felice, figlio di Vincenzo e Catarina Bosco, entrato nella Colonia il 20 febbraio 1893;

DAL PRA Candida, figlia di Battista e Camila Sasso, entrato nella Colonia il 5 giugno 1905;

DAL’ASEN Giovanni Battista, marito di Teresa Zanivan, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

DALL’OMO Agostino, marito di Maria Maddalena Da Canal, entrato nella Colonia il 4 marzo 1895;

DECIMA Angelo, marito di Candida Dai Pra, entrato nella Colonia il 5 giugno 1905;

DELLA VECCHIA Sante, marito di Antonia Savaris, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

DEON Pietro, di Sedico, marito di Maria Schiocchet, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

FABRIS Giacinto, marito di Natalina Frada, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

GUADAGNIN Giovanni, marito di Giovanna M. Capellin, entrato nella Colonia il 19 gennaio 1898;

LENA Celeste, marito di Angela Sotlacal, entrato nella Colonia l’8 luglio 1889;

LIMANA Giuseppe, marito di Maria Santel, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

MADALOZZO Lorenzo, figlio di Vittore e Maria Dall’Osto, entrato nella Colonia il 25 gennaio 1892;

MARIN Giulio, marito di Luigia Sacchet, entrato nella Colonia il 22 maggio 1891;

MASTELOTTO Luigi, marito di Celeste Zandomeneghi, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

PASUCH Angelo, marito di Maria Giudita Della Vedova, figlio di Luigi e Angela Pol, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

PAZZA Pietro Gervasio, figlio di Bortolo e Filomena Zucco, entrato nella Colonia il 20 settembre 1888;

PIANI Ferdinando, marito di Angela Gris, entrato nella Colonia il 10 marzo 1895;

POLLET Abelardo, figlio di Luigi e Maria Luisa Marin, entrato nella Colonia il 22 febbraio 1891;

POLLET Luigi, figlio di Antonio e Maria Cecchin, entrato nella Colonia il 17 gennaio 1893;

PRINA Luigi, figlio di Angelo e Maria Filomena Orlandin, entrato nella Colonia il 17 gennaio 1893;

REOLON Luigi, figlio di Gioachino e Rosa Sommacal, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

RIGHES Luigi, figlio di Giuseppe e Antonia Carlin, entrato nella Colonia il 22 febbraio 1891;

RIVA Pietro, marito di Maria Annunziata Veny, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

ROSSO Giovanni, figlio di Antonio e Giovanna Angela Fasiol, entrato nella Colonia il 10 marzo 1895;

SACCHET Vittore, marito di Giacoma Marian, entrato nella Colonia il 25 gennaio 1892; 

SAVARIS Nicolò, di Mel, marito di Domenica Cesa, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

ZUCCO Antonio, figlio di Angelo e Maria Maccagnan, entrato nella Colonia il 22 giugno 1893.

Fonti:
Gênese da Colônia de Jaguari, di José Newton Marchiori; Est Edições 2001
Esboço Histórico de Jaguari, di José Newton Marchiori; Pallotti 1999
Jaguari, Documentos Históricos e Relatos, di José Newton Marchiori; Est Edições 2001
La nostra stòria. Família Gindri do Brasil, di Narlei Gindri Rigotti; Est Edições 2008
– Archivio di Stato di Belluno

* Cesar Augusto Murari, ricercatore dell’Associazione Culturale Italiana “Vale do Jaguari”;
Luciano Gastaldo, presidente dell’Associazione Culturale Italiana “Vale do Jaguari”.

Il Clube Social do Beluno, giugno 2018

Fotografia attuale della Chiesa di Beluno. Da sinistra: Miguel Bianchini, Cesar Murari e Luciano Gastaldo.