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“Cerca il tuo avo”. On line il nuovo strumento del Centro Studi sulle Migrazioni “Aletheia”. Da una ricerca di Luisa Carniel sull’emigrazione bellunese in Brasile caricati i primi 2500 record

In primo piano Patrizia Burigo, vice presidente Abm e, sullo sfondo in video conferenza, il consigliere Abm Luisa Carniel
In primo piano Patrizia Burigo, vice presidente Abm e, sullo sfondo in video conferenza, il consigliere Abm Luisa Carniel

Si chiama “Cerca il tuo avo” ed è il nuovo strumento del Centro Studi sulle Migrazioni “Aletheia”. Una banca dati in cui saranno riversate le informazioni contenute nei registri parrocchiali della provincia di Belluno. Navigando tra i campi si potrà conoscere data e luogo di nascita dei propri avi, oltre al registro parrocchiale di riferimento. In alcuni casi saranno presenti anche informazioni sulle rotte migratorie: spostamenti, viaggio per mare ed eventuali familiari al seguito.

Il progetto è stato presentato questa mattina presso la sede dell’Associazione Bellunesi nel Mondo. «Con “Cerca il tuo avo” vogliamo mettere a disposizione una banca dati indispensabile per chi vuole fare ricerca sul fenomeno migratorio bellunese, ma anche per i singoli discendenti desiderosi di ricostruire il proprio albero genealogico o scoprire in quale comune sono nati i propri avi – le parole della vice presidente Abm Patrizia Burigo – certo questo è solo l’inizio. Ci vorranno anni, costanza e pazienza per completare questa banca dati, ma dovevamo partire e così è stato».

L’inserimento dei dati sarà effettuato da volontari formati dal personale Abm e questi opereranno in tutto il territorio provinciale. «La situazione attuale, data l’emergenza Covid-19, non ci permette di affrontare a pieno regime la digitalizzazione dei registri, ma una volta passata questa pandemia l’operatività sarà al 100 per cento».

La banca dati del Centro Studi sulle Migrazioni “Aletheia” non parte comunque da zero. Attualmente infatti sono stati caricati oltre 2500 record di capifamiglia bellunesi emigrati in Brasile tra il 1875 e il 1950. Questo grazie al lavoro certosino del consigliere Abm Luisa Carniel che, in videoconferenza, ha illustrato la sua ricerca. «Le schede che ho attualmente caricato nel nostro database – ha sottolineato la Carniel – corrispondono a oltre 2500 nuclei famigliari bellunesi emigranti in Brasile. I campi compilati riguardano nome e cognome del capofamiglia;  soprannome se conosciuto; data di nascita; comune di nascita; località di residenza; anno di emigrazione; anno di morte; numero dei componenti il nucleo familiare; nome del vapore; traversata transoceanica; Stato e località di destinazione in Brasile; fonte; note: paternità, nomi e date di nascita dei familiari partiti in quella circostanza».

La ricerca può essere fatta inserendo, nel campo specifico, il cognome del capofamiglia emigrato, ma anche attraverso il nome, l’anno di nascita, il luogo di nascita o addirittura sommando i diversi campi appena citati.

In questa ricerca la Carniel ha consultato venticinque archivi parrocchiali presenti nelle zone del Feltrino, Valbelluna e Agordino, oltre all’archivio digitale brasiliano “Arquivo Nacional”, che le ha permesso di trovare le liste dei passeggeri dei bastimenti salpati per il Brasile, a partire dal 1876, e l’elenco degli emigranti ospitati presso le hospedarie. La sua analisi si è poi concentrata attraverso la lettura di numerosi volumi, riferiti all’emigrazione in Brasile, presenti nel catalogo della Biblioteca delle migrazioni “Dino Buzzati”.

«Dal mio studio si evince come per oltre il 60% degli emigranti si conosce il nome del vapore che ha permesso loro la traversata oceanica. Alcune curiosità? Il cognomi più diffusi sono Rech, Grando e Bof, mentre l’emigrante più anziano è Gioacchino Rech partito da Belluno all’età di 88 anni».

Questo e molto altro è fruibile on line. Basta entrare nel sito del Centro Studi sulle Migrazioni “Aletheia”. «Abbiamo anche attivato una serie di funzioni – le parole di Marco Crepaz, direttore Abm – affinché tutti i record siano costantemente aggiornati. Per questo motivo in ogni scheda è presente un form in cui si lancia l’invito a inviarci eventuali correzioni o aggiunte da fare. Da sempre la nostra Associazione crede nell’interattività e nella condivisione con i propri soci e, in questo caso, utenti».

«Inoltre – conclude Crepaz – è attiva anche una chat per supportare gli utenti nella loro ricerca in particolar modo riferita ai cognomi. In molti casi infatti il cognome all’estero veniva modificato o storpiato».

Questo il link per accedere direttamente allo strumento “Cerca il tuo avo”: www.centrostudialetheia.it/archivio. Per maggiori informazioni è possibile inviare una mail a: aletheia@bellunesinelmondo.it o contattare gli Uffici ABM al +39 0437 941160.

On line l’annata del 1982 della rivista “Bellunesi nel mondo”

Il numero di dicembre 1982 della rivista "Bellunesi nel mondo"

Continua il caricamento on line delle annate di “Bellunesi nel mondo”, la rivista dell’Associazione Bellunesi nel Mondo attiva dal 1966 anno di costituzione della stessa realtà associativa.

È stata appena messa on line l’annata del 1982. Un anno ricco di attività per le Famiglia Abm all’estero, ma anche per la provincia di Belluno. Un territorio che vuole puntare maggiormente sia allo sviluppo industriale, sia a quello turistico.

Presenti anche due servizi dedicati al pontificato di Giovanni Paolo I e al tormentato confine della Marmolada, tra il Veneto e il Trentino.

Sempre nel 1982 veniva costituita la Federazione Mondiale della Stampa Italiana per l’Emigrazione.

Buona lettura!

Volare bellunese. L’aeroporto di Bariloche

Aeroporto di Bariloche. L'ing. Antonio Dal Mas con Bruna Giacori, alla sua sinistra, e Pier Luigi Pasini, alla sua destra
Aeroporto di Bariloche. L’ing. Antonio Dal Mas con Bruna Giacori, alla sua sinistra,
e Pier Luigi Pasini, alla sua destra

Tutti o quasi conoscono la storia di Primo Capraro, “El Emperador” di una famosa località turistica ai piedi delle Ande soprannominata la Cortina d’Ampezzo del Sud America: San Carlos de Bariloche. E se oggi numerosi viaggiatori da tutto il mondo trascorrono a Bariloche le proprie vacanze, una parte di merito va data agli emigranti bellunesi. Uno in particolare, un ingegnere nato nel 1910 di nome Antonio Dal Mas. Come mai?
Il contesto è questo: negli anni ’40 Bariloche era dotata di impianti sciistici, le sue bellezze naturali attiravano persone sia in estate che in inverno, ma c’era un problema: per raggiungerla servivano due giorni di viaggio da Buenos Aires, distante circa 1.600 chilometri. Non c’erano alternative, bisognava dotarsi di un aeroporto. L’appalto dei lavori venne affidato a un’impresa francese, la Picot, che tra i suoi dipendenti aveva proprio Dal Mas. Le operazioni presero avvio nel 1949. E qui, altro dilemma: la Picot non disponeva di operai specializzati in loco. Quindi? Bisognava assumere emigranti. Da dove? Da Belluno. Dalla nostra provincia arrivarono i tecnici e gli operai che si occuparono delle costruzione.
L’apertura avvenne nel 1953 e fino al 1982 l’opera che collega San Carlos al resto del mondo portò il nome dell’ingegnere che ne aveva progettato e diretto i lavori: il “nostro” Antonio Dal Mas.

Caricati i primi dieci anni della rivista “Bellunesi nel mondo”

Uno dei numeri di Bellunesi nel mondo caricato nel sito Centrostudialetheia.it

Il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia” si arricchiste con le prime dieci annate della rivista “Bellunesi nel mondo”. Sono appena stati caricati gli oltre cento numeri che, a partire dal 1966 – ininterrottamente -, sono stati spediti ai soci dell’Associazione Bellunesi nel Mondo.
E in quei dieci anni (1966-1976) si rivive la storia non solo della “giovane” Abm, ma anche dell’intera provincia di Belluno. Molti, infatti, i temi affrontati: dall’autostrada Monaco – Venezia al Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi; dalla carenza del sistema ferroviario Bellunese allo sviluppo turistico del nostro territorio.
Vi è poi un crescendo delle attività delle Famiglie Bellunesi e, attraverso la rubrica Vita Bellunese, si viene a conoscenza di quanto accaduto nelle singole vallate bellunesi.
Per consultare tutti i numeri, attualmente caricati, della rivista “Bellunesi nel mondo” basta visitare cercare, per parole chiave, nella sezione “documenti” all’interno di questo sito.

C’è bisogno di Storia. Il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia” e il ruolo del digitale per la conservazione e la valorizzazione del passato

Lo storico Jacopo De Pasquale

“Ma io aggiungerei che forse bisogna fare più storia che memoria. Oggi il rischio è di concentrarsi sulla memoria, ma poi nessuno sa cos’è successo davvero […]”

Anna Foà

La storia tra scienza e racconto nel XXI secolo. Qualche appunto di viaggio

Non è facile raccontare la storia. Ma soprattutto non è facile renderla fruibile ai non addetti ai lavori. Spesso mi è capitato di riflettere sull’ostracismo che la storia, negli ultimi anni, sta subendo nelle scuole e su come, di contraltare, abbia un sempre maggiore successo mediatico in grandi iniziative come quelle promosse in TV da Piero e Alberto Angela, nelle grandi mostre e nelle aperture straordinarie di palazzi spesso chiusi al pubblico. E’ quasi un paradosso da un lato lo studio della storia sembra non servire più nel bagaglio formativo della nostra nazione, e dall’altro, invece, raccoglie sempre più consensi quando si tratta di raccontare in poco tempo grandi vicende o grandi opere. Il problema è proprio nel verbo che ho utilizzato poc’anzi: raccontare. Alla gente piace sentir raccontare le storie e forse, come ha detto Tyrion Lannister alla fine dell’ultima stagione di Games of Thrones, le storie hanno il potere di vincere anche la spada più affilata. Il problema è che stiamo parlando della Storia con la S maiuscola e non di una storiella qualsiasi. Non è forse svilente rendere il nostro passato una semplice storiella? Il confine è molto labile. Se da un lato è giusto uscire dall’aura di scientificità radical-chic che spesso ammanta gli addetti ai lavori, dall’altro bisogna stare attenti a non confondere la preparazione storica e tecnica di un qualsiasi insegnante o storico con un programma fatto in TV, o una pagina di Wikipedia. Sia ben chiaro, sono il primo ad utilizzare l’enciclopedia libera, ma bisogna stare attenti perché il digitale, nonostante metta a disposizione un quantitativo di informazioni enorme, spesso non è capace di auto regolamentarsi, rendendo facile il rischio di errore, di semplificazione e di partigianeria. Allo stesso tempo però ci sono programmi televisivi, come Passato e Presente condotto su Rai Storia da Paolo Mieli, che rappresentano degli interessanti esperimenti mediatici in cui storia e divulgazione riescono a fondersi in maniera pregevole.
Inoltre, per un qualsiasi storico di professione o no che si cimenti in una qualsivoglia ricerca, rimane fondamentale, oltre che lo studio delle fonti, anche lo studio del supporto sul quale la fonte è stata trasmessa. Parlare in maniera esaustiva di notai medievali, ad esempio, senza aver mai preso in mano una pergamena o un codice manoscritto non è fattivamente possibile. Ma, andando oltre questo dato meramente tecnico, il problema di base è capire in che modo il digitale possa essere per l’uomo di oggi, che si interessa di storia, stimolo e riferimento narrativo nell’acquisizione di nuove nozioni e competenze. Come scrive Anna Foà la conoscenza storica degli italiani è molto bassa e «l’attenzione alla memoria non ha inciso sulla conoscenza» nonostante l’enorme successo di iniziative come quelle descritte all’inizio di questo breve articolo.

La storia digitale, una storia democratica

Sicuramente il mondo digitale crea degli spazi di condivisione più rapidi ed immediati e consente la realizzazione di aree meta-disciplinari prima impensabili che, oltre a rendere la didattica della storia molto più profonda, ricompongono sullo stesso piano temi, argomenti e soprattutto fonti che fino a qualche anno fa sarebbe stato quasi impossibile mettere in comunicazione, se non grazie a qualche fortuito ritrovamento o allo sforzo di un attento ricercatore. Una rete interdisciplinare eccezionale che pone democraticamente allo stesso livello scienze o anche enti spesso trattati in maniera non equanime, sia dal punto di vista della valorizzazione culturale sia da quello delle fonti e delle risorse di loro competenza. La ormai classica espressione “fare rete” permette a realtà piccole e poco conosciute di essere valorizzate nella loro unicità, all’interno di un sistema che avvicina fonti e progetti, alla ricerca di ciò che le accomuna e non di ciò che le divide. Il programma che proprio in questi mesi la fondazione Dolomiti Unesco sta sviluppando, ossia mettere in rete tutti assieme i numerosi musei presenti nelle nostre montagne, rappresenta in maniera lampante questa idea democratica della trasmissione del sapere. (https://www.dolomitiunesco.info/musei-delle-dolomiti-verso-una-nuova-rete/) . E’ anche da segnalare il macroportale voluto dalla Conferenza Episcopale Italiana, (https://beweb.chiesacattolica.it/?l=it_IT) in cui diverse tipologie di fonti, accomunate dall’essere parte del grande mondo dei Beni Culturali di origine ecclesiastica (dalle chiese, ai libri, ai fondi di archivio, fino alle opere d’arte), vengono intersecate attraverso un portale creato con lo scopo di creare delle ricerche orizzontali e tematiche, con alla base il concetto di multidisciplinarietà.
Infine il digitale ha insita, nella sua vastità, una capacità conservativa senza uguali che rende fruibili una serie di fonti archiviate in banche dati multimediali prima accessibili soltanto fisicamente con il rischio di rovinarle o usurarle. Basti pensare all’enorme laboratorio multimediale messo in piedi dalla Biblioteca Apostolica Vaticana per digitalizzare il suo enorme patrimonio manoscritto (www.digitavaticana.org) rendendolo fruibile agli studiosi e non solo.

March Bloch e la storia come scienza del cambiamento

Se torniamo però al nocciolo della questione, e cioè alle motivazioni che possono essere alla base di una qualsiasi ricerca o progetto di divulgazione storica che riesca al tempo stesso ad essere precisa e accessibile non possiamo non citare uno dei più grandi storici del nostro tempo: March Bloch.
Fucilato dalle SS durante la II Guerra Mondiale, ancora oggi rimane un indiscusso punto di riferimento per la profondità della sua riflessione sul ruolo della storia nella storia società. Bloch, consapevole del fatto che siamo tutti attori nella società nella quale ci troviamo a vivere, porta alle estreme conseguenze il ruolo civile della professione di storico, mettendosi in gioco in prima persona nella resistenza francese fino alla morte. In una famosa conferenza tenuta ormai più di 70 anni fa a Parigi, lo storico francese si pose proprio la domanda che ancora oggi qui ci prospettiamo:”Che cosa chiedere alla storia?”. Siamo abituati a cercare nel passato le conferme del nostre presente, utilizzando la storia come semplice voce di conferma per le nostre azioni, ed estremizzando il famoso detto di Cicerone “historia magistra vitae”. E’ vero, la storia insegna e ci permette di non ripetere gli errori del passato ma non in qualità di materia inerte da cui attingere informazioni bensì come scienza del cambiamento, in cui ricercare le cause degli avvenimenti di oggi. Scrive Bloch:« La lezione più importante del passato consiste nel suggerirci un avvenire molto differente dal passato e nel permetterci di intravedere quelle che all’incirca saranno le differenze». Ecco lo spunto iniziale dal quale dovrebbero partire tutte le manifestazioni di valorizzazione del passato, che siano un programma televisivo o un saggio critico. La storia è quindi una valigia degli attrezzi, che ci permette di analizzare il passato in funzione del presente rispondendo alla domanda fondamentale: perché?

La storia come scienza e il ruolo della memoria

Scrive E.W. Carr:«Studiare la storia vuol dire studiarne le cause. […] Il grande storico – o forse dovrei dire genericamente il grande pensatore – è un uomo che risponde alla domanda “Perche?” in connessione a problemi e contesti nuovi». Ecco la discriminante tra una narrazione che si vuole definire con l’appellativo di storica e un semplice memoriale, atto a ricordare in maniera soggettiva alcuni avvenimenti del passato. Spesso le narrazioni televisive o anche digitali non effettuano questo fondamentale passaggio. La memoria di avvenimenti o situazioni passate è importante e rappresenta una fondamentale elemento per la ricostruzione di qualsivoglia evento trascorso, ma non ha le caratteristiche che lo rendano una vera e propria analisi storica. Primo Levi, ad esempio, autore di fondamentali resoconti sulla Shoah come il romanzo autobiografico Se questo è un uomo non si è mai definito storico ma testimone di un fatto: lo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, che aveva vissuto in prima persona. La memoria è infatti, per quanto si possa essere razionali e smaliziati, soggettiva e soprattutto selettiva e non permette di attuare da sola una analisi precisa ed accurata. Il ruolo dello storico è quello di utilizzare le memorie e le fonti per cercare di ricostruire in maniera quanto più possibile adeguata le cause degli avvenimenti passati. Come ho già scritto in precedenza è utopico pensare di poter ricostruire il passato per quello che è stato. Non eravamo presenti, non abbiamo una macchina del tempo come quella di Ritorno al Futuro, il passato è passato. L’unica ambizione che possiamo avere è quella di comprendere gli avvenimenti trascorsi in vista del futuro che ci attende. Per questo motivo non bisogna circoscrivere la storia alla semplice narrazione, come spesso si fa, sbagliando, negli ultimi anni. Si è passati, come scrive lo storico Giuseppe Sergi, da «una prosa di spiegazione a quella di narrazione allontanando lettori-spettatori-ascoltatori da una quota di ‘presa diretta’ con i risultati della ricerca e rinunciando a combattere gli stereotipi sul passato». Uno dei compiti che quindi possiamo ascrivere alla rivoluzione digitale è proprio quello di utilizzare nuovi approcci, che possano spiegare in maniera distesa e al tempo stesso puntuale il passato, senza scadere in facilonerie che non hanno nulla di scientifico.

Un esempio di archivio digitale condiviso. Il Centro studi sulle migrazioni “Aletheia” dell’Associazione Bellunesi nel Mondo

Da ormai più di un anno l’associazione Bellunesi del Mondo ha deciso di promuovere, tramite i suoi canali, un nuovo ed interessante progetto digitale, che può ben rappresentare una buona pratica di divulgazione storica rivolta agli specialisti ma anche e soprattutto al grande pubblico dei Bellunesi sparsi per il mondo e residenti nel territorio. Rintracciabile all’indirizzo www.centrostudialetheia.it il sito in questione è un enorme archivio digitale sulla migrazione bellunese.
L’intento è chiaro sin dalla homepage nella quale possiamo leggere: «Conservare la memoria della grande epopea migratoria bellunese, trasmetterne la conoscenza e valorizzarne gli aspetti più significativi. […]In altre parole, archiviare, digitalizzare e divulgare: le tre azioni guida che sintetizzano il mondo “Aletheia”, per andare a “svelare” un fenomeno che per più di un secolo ha segnato nel profondo un territorio e i suoi abitanti. Raccogliendo dati, testimonianze, racconti di vita, fotografie, lettere e documenti da diffondere tramite il web, e rendendo accessibile e alla portata di un click il grande patrimonio materiale e immateriale che la storia della nostra emigrazione ha lasciato dietro di sé, sparso in giro per le case e per le famiglie del bellunese».
Archiviare, digitalizzare e divulgare. Queste tre parole ben sintetizzano la portata del progetto che, andando oltre l’idea ormai desueta di archivio thesaurus, cioè archivio di semplice conservazione, decide di rendere fruibile il materiale a sua disposizione tramite un semplice menù filtro, grazie al quale è possibile navigare tra i metadati per cercare la tipologia di fonte di nostro interesse. Infatti una qualsiasi carta, dalla bolla papale medievale fino alla lettera di un immigrato bellunese, se rimane chiusa in un cassetto avrà sicuramente un suo valore monetario in un caso, affettivo nell’altro, ma non ha un valore storico. E’ questa una delle sostanziali differenze alla base dell’utilizzo del digitale negli archivi nel Terzo Millennio. Il patrimonio, per continuare ad avere valore storico ma anche e soprattutto civile, deve essere condiviso e questo il centro studi Aletheia lo fa in maniera egregia, chiedendo ai propri visitatori di collaborare, scovando nelle fonti archiviate sul sito, qualche informazione che il catalogatore non è stato capace di individuare. In questo modo l’archiviazione non rimane un fenomeno chiuso in se stesso, ma diventa un aggancio con la realtà e soprattutto con le comunità, bellunesi in questo caso, presenti in tutto il mondo. Il digitale quindi, oltre a permettere una nuova tipologia di conservazione, fa viaggiare istantaneamente ovunque il materiale caricato sulla piattaforma. La foto di una famiglia bellunese immigrata in Argentina può essere vista contemporaneamente a Belluno come a Buenos Aires, rendendo possibile il confronto ma soprattutto il riconoscimento, se siamo fortunati, dei volti delle persone protagoniste di quella vecchia e logora immagine. In tal modo la storia digitale consente la condivisione di passati altrimenti impossibile da attuare. Inoltre il sito https://www.centrostudialetheia.it/ , oltre ad essere un eccezionale strumento civico di incontro, permette anche agli storici di professione di avere accesso, con con un semplice click, ad una serie di documenti fondamentali per la comprensione della storia dell’immigrazione bellunese. Sono disponibili infatti anche le annate della rivista “Bellunesi nel Mondo” che fermano nei fatti in esse narrati vicende politiche e sociali altrimenti di difficile accesso.

Conclusione: il Centro Studi sulle migrazioni “Aletheia” come ancora nel viaggio dei Bellunesi nella storia

Il nostro territorio, è risaputo, rappresenta un caso eccezionale per la notevole portata del fenomeno migratorio. Ancora oggi il Bellunese è attraversato, per motivi economici e sociali che non sono però al centro di questa disamina, da tale preoccupante situazione. Molti giovani decidono di lasciare le Dolomiti per cercare fortuna lontano dalle loro radici. Il centro Studi Aletheia rappresenta una encomiabile ancora per tutti quelli che, delusi dalla situazione della nostra provincia, abbiano deciso di andarsene. Molti anni fa Dino Buzzati disse che Belluno era il luogo più bello dell’orbe terraqueo. Come mai oggi soffre così tanto, con una popolazione sempre più al lumicino, con paesi montani addirittura senza i servizi essenziali? I Bellunesi non sono consapevoli della loro grandezza? Del loro infaticabile impegno?Della loro storia?
Il Centro Studi Aletheia ci permette, grazie alle nuove tecnologie digitali, di conoscere, apprezzare e divulgare quanto di importante i Bellunesi hanno fatto in patria e all’estero, valorizzando non solo le azioni e i ricordi ma soprattutto le persone del passato e quelle del presente, ricreando virtualmente, e non solo il senso di comunità che stiamo pian piano perdendo. Le statistiche demografiche ci danno nettamente perdenti nonostante l’indubbio impegno di chi resta per mantenere il nostro stupendo e fragile territorio, e la politica non attua scelte volte alla “nostra” specificità montana. Cosa fare allora? Non perdere la speranza. E questo traspare dal sito promosso da Bellunesi nel mondo. La storia come scienza condivisa tramite i nuovi mezzi di comunicazione deve trasmettere la speranza. La speranza di coloro che lasciarono le loro case per andare verso luoghi sconosciuti, la speranza in politiche diverse per un territorio membro dell’Unesco, la speranza in un domani ricco di possibilità per Belluno e per tutti quelli che, con coraggio, decidono di viverci e di tramandarne la storia con lo sguardo al futuro.

Jacopo De Pasquale