Giovanni Remor

la famiglia Remor

Vivevo la mia infanzia tranquilla aiutando mio padre postino a distribuire la corrispondenza nelle frazioni di Forno di Zoldo. Avevo sette anni e mi incamminavo su strade innevate.

L’aiuto che davo a mio padre Italo mi faceva sentire grande.
Nella piazza di Forno fu poi costruita un’edicola per vendere giornali nei periodi estivi. Mi sentivo come il padrone di una grande attività. Nei periodi invernali, quando tutto tace, passavo i miei giorni a imparare il mestiere di falegname.

Essendo nato nel 1938 avevo diciotto anni quando, seguendo il cammino di molti miei paesani, venni assunto per un lavoro in gelateria in Germania. Ricordo ancora quel treno. Sapevo che molti emigranti avevano affrontato emigrazioni più sofferte, itinerari più incogniti.

Molti miei paesani avevano scelto vie che portavano nelle miniere del Belgio, nei cantieri della Francia, oltre gli oceani.

Mi sentivo un privilegiato in quanto potevo disporre di un letto sul quale dormire; di un posto di lavoro che mi dava la possibilità di portare in famiglia il frutto del mio lavoro.

Ma la nostalgia dell’emigrante che per la prima volta lascia il luogo natio è sempre la stessa: fatta di mille emozioni e di nostalgia profonda.

Scendendo il canale che da Forno porta a Longarone lasciavo alle mie spalle i tramonti della mia valle di Zoldo, le albe affascinanti, i vecchi fienili e tutto ciò che mi parlava di quel tessuto sociale e semplice nel quale ero nato.

Il treno sbuffava, il fischio mi faceva ritornare alla memoria lo zirlare del tordo, quel ritmo monotono e sempre uguale riportava alla mia memoria il canto del cuculo.

I personaggi di paese passavano davanti allo schermo del mio cervello. Mi pareva di lasciare un mondo che amavo per entrare in un mondo sconosciuto e fatto di incognite.

L’inserimento, non conoscendo nessuna parola di tedesco, non è stato così facile. Usi e costumi diversi, cultura diversa. Ero approdato in qualcosa di nuovo che talvolta mi trovava impreparato. La speranza è un qualcosa che aiuta l’emigrante nelle nostalgiche notti quando al pensiero della terra e dei suoi lontani non aiuta a dormire. Ho sperato.

In terra straniera ho incontrato mia moglie Celestina, anche lei emigrante zoldana.

Nel 1962 ci siamo sposati. Nell’anno 1978 siamo rientrati per motivi di salute, ma più che per questo per tenere la famiglia unita affinché i nostri figli potessero godere della protezione dei genitori e perché potessero frequentare la scuola sereni.

Poi ho fatto il bidello per anni. Ora sono un pensionato che gode ancora degli spettacoli che avevo lasciato quel giorno lontano. Il 27 settembre ho festeggiato le nozze d’oro attorniato da tutta la mia famiglia (nella foto). Quel giorno la mia preghiera era rivolta al Signore.

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