Paura e fede. Un viaggio indimenticabile

Rinaldo Tranquillo
Rinaldo Tranquillo

Il governo coloniale inglese aveva il progetto di costruire, in Zambia, un ponte sul Luapula, un grande fiume immissario del fiume Congo.

L’incaricato del primo sopralluogo fu un ingegnere scozzese, John Philips. Essendo un mio amico, mi chiese di accompagnarlo, dato che conoscevo bene la zona sia dal punto di vista geografico che geologico. Siamo partiti di buon mattino; al confine con l’allora Zaire (Congo) non abbiamo avuto nessuna difficoltà. La strada era di boscaglia, ma essendo la stagione secca, non dovevamo passare attraverso i pantani della stagione delle piogge. Tutto filò liscia per circa 20 km., quando improvvisamente dal fianco della strada sbucarono una dozzina di soldati congolesi, che ci fermarono con una certa prepotenza; uno di loro si avvicinò e ci fece scendere dalla macchina; abbiamo subito ubbidito, se non altro per la presenza di un fucile puntato verso di noi. Il militare mi chiese in lingua swahili dove andavamo; io risposi in swahili che non conoscevo bene la sua lingua. Lui si arrabbiò e mi disse come ci permettevamo di essere in quel posto senza sapere la sua lingua. Dissi allora che io parlavo italiano, inglese, francese, spagnolo ed anche chibemba. Mentre stavo discutendo si avvicinò uno che forse era il comandante del gruppo e mi disse, in francese questa volta, che doveva arrestarci. Chiesi quindi che cosa avevamo fatto e quello rispose che “sollevavamo troppa polvere nella strada”!

Gli chiese che cosa dovevamo fare e lui con calma mi disse che bisognava che ci scusassimo. Cercando di rimanere il più calmo possibile dissi: “Je m’escuse”. Lui rispose: “Non così!”. Intanto l’amico John che non aveva finora aperto bocca mi chiese che cosa volevano e gli dissi:”Soldi!”. Mise subito mano al portafoglio e levò un biglietto da 20 sterline: una grossa somma per loro, perché rappresentava lo stipendio di un mese per un locale. Il capo ordinò ai suoi uomini di salutarci e così ripartimmo per il fiume.

Al fiume il traghetto non funzionava. Si avvicinò uno zambiano, che ci disse che per una modesta somma ci avrebbe traghettati all’altra riva in canoa. L’amico John accettò subito, mentre io tentennavo parecchio. Devo confessare a questo punto che non sono mai stato capace di nuotare e la mia paura non erano i coccodrilli, ma di finire annegato! Con grande timore entrai in quel pezzo di legno scavato ed iniziammo l’attraversata. Mi sono subito pentito di aver accettato, ma ormai ci stavamo allontanando dalla riva ed io, accucciato in fondo alla canoa, incominciai a pregare. Sono certo di non aver mai pregato così intensamente come durante quella attraversata: avevo perfino paura di respirare e ad ogni movimento le mie preghiere diventavano più intense. Sull’altra riva credo di non essere stato molto utile per il mio amico, dato che avevo il terrore del ritorno. Sono certo che il buon Dio ha ascoltato le mie preghiere e così posso raccontare l’episodio.

Sulla via del ritorno mi son reso conto di come funziona il tam-tam delle foreste africane, dato che siamo stati fermati ben sei volte da dei gruppi di soldati e tutte le volte abbiamo dovuto pagare per il nostro misfatto che consisteva nel sollevare la polvere sulla strada. L’ultimo che ci fermò aveva la divisa della polizia, ma dato che eravamo ad un centinaio di metri dal confine e che avevano finito le nostre finanze, mi arrabbiai: dissi che la macchina era del governo e non nostra, che gliela lasciavo e finivamo la nostra strada a piedi. Quello mi insultò e mi disse che non voleva la macchina e che solo per la sua magnanimità ci lasciava andare.
Così finì una giornata che non auguro a nessuno Fu solo il giorno in cui pregai di più e con più devozione.

Tranquillo Rinaldo

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