Tra Soccher e l’Argentina. Storia di un legame mai interrotto

Sergio Pierobon nacque nel 1931 a Montereale Valcellina, in provincia di Pordenone, dove il papà Angelo – che lavorava come capo cantiere per un’impresa di costruzioni – si era trasferito con la famiglia. 

La famiglia di Sergio, però, era originaria di Soccher, e seguì Angelo nei suoi vari spostamenti in Italia fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Angelo venne colpito a un occhio da una grave malattia che non gli permise di continuare nel suo lavoro. Giunti a questo punto della storia, bisogna fare una breve premessa.

La storia di emigrazione della famiglia Pierobon da Soccher ebbe inizio nel 1915, quando Vittore, il nonno di Sergio, decise di andare in Argentina, allora terra veramente promessa, per poter fare fortuna. Nel 1922 lo raggiunse il figlio Giovanni e nel 1923 partì anche la moglie Anna con la figlia Pia, appena nata. Anna viaggiò con la nave “Principessa Mafalda”, tristemente nota perché in una traversata successiva verso il Sud America naufragò al largo di Rio de Janeiro con centinaia di vittime.

In quegli anni di miseria in Italia, l’Argentina era ancora in piena espansione economica

E ora riprendiamo da dove ci eravamo interrotti. Terminata la guerra, Angelo si operò l’occhio ma, una volta guarito, nel dicembre 1948 decise ugualmente di raggiungere il padre e il fratello lasciando a casa la moglie Rosina e i suoi tre figli. In quegli anni di miseria in Italia, l’Argentina era ancora in piena espansione economica e presentava infinite possibilità di cominciare una nuova vita.

Con i primi guadagni, Angelo decise di farsi raggiungere dalla famiglia. E così il 31 marzo 1950 Rosina e i due figli più piccoli – Sergio di diciannove anni e Vanna di sei – si imbarcano a Genova sulla motonave “Conte Grande”, con destinazione Buenos Aires. In Italia rimase la figlia maggiore Milena, che nel frattempo si era sposata. 

Il viaggio fu alquanto disagiato. Rosina e Vanna dovettero dividere la cabina con altre persone mentre Sergio dovette dormire in un «casermone» (sono le sue parole) con circa cinquecento altri uomini. Arrivarono a Buenos Aires il 16 aprile. 

Sergio raccontava che all’inizio la vita fu molto difficile, per la diversità della lingua, per i problemi con i documenti e per la mancanza di una propria abitazione: nei primi tempi dovettero infatti convivere con lo zio Giovanni. 

Il padre Angelo lavorava come capo cantiere edile e così, dopo un po’, anche Sergio iniziò a lavorare nel ramo delle costruzioni. Era una vita di sacrifici, ma con i primi risparmi decise di acquistare un terreno in una “quadra” di Bernal, sobborgo allora al limite Sud di Buenos Aires, per costruirsi una propria casa.

A quell’epoca era usanza che tutti gli italiani immigrati si aiutassero a vicenda per costruire le loro case, mettendosi a disposizione nelle giornate di sabato e di domenica. Fu così che Angelo e Sergio poterono terminare la loro abitazione in Calle Maipù 32. In questa casa Sergio visse tutta la propria vita.

Nei primi anni di emigrazione Sergio lavorò con il padre e si iscrisse a una scuola serale dove conseguì il diploma di Geometra. 
Nel 1956 sposò Dorina, anche lei emigrata, da Altamura, in Puglia, con la famiglia. Dalla loro unione nacquero due figli, Mario e Laura. 

In Argentina, già da diversi anni la situazione politica ed economica si era fatta caotica e burrascosa, al punto di far desiderare il ritorno di tutta la famiglia in Italia.

Nei primi anni i contatti con la sorella rimasta in Italia furono solamente epistolari. Poi, con la possibilità delle comunicazioni intercontinentali, anche telefonici. Solo nel 1964 il papà Angelo, Rosina e Vanna ritornarono per la prima volta in Italia, ritrovandola in pieno boom economico. In Argentina, invece, già da diversi anni la situazione politica ed economica si era fatta caotica e burrascosa, al punto di far desiderare il ritorno di tutta la famiglia in Italia. Ma nonostante la nostalgia per Soccher fosse sempre forte, decisero di rimanere a Bernal. 

Sempre nel 1964, Sergio decise di lasciare il lavoro con il padre e venne assunto da un’impresa italo-argentina, la Techint, per la quale lavorò fino alla pensione. Questa nuova occupazione lo portò anche a girare il mondo (Cile, Indonesia, Venezuela e Colombia, a volte accompagnato dalla famiglia, altre volte da solo), sempre come capo cantiere, e a condurre lavori di grandi complessità.

Raggiunta infine la pensione, dagli anni Novanta lo zio cominciò a viaggiare non più per lavoro, e tornò regolarmente in Italia con la moglie Dorina, mantenendo così i rapporti con la famiglia di origine, che ricambiò le visite. Anche io nel 2008 finalmente ho potuto andare con mia moglie Patrizia a riabbracciare gli zii e i cugini. A questo primo viaggio ne sono seguiti altri. Durante le nostre permanenze, Sergio ha sempre voluto conoscere le novità del suo paese, di cui ricordava aneddoti, fatti e persone, a dimostrazione di un profondo e immutato legame tenuto vivo nonostante la lontananza.

Nel 2014 Sergio venne colpito da una grave ischemia che ne compromise fortemente la salute. Ha lottato per sette anni, aiutato dai famigliari, fino a domenica 24 gennaio 2021, quando all’età di ottantanove anni si è spento, lasciando in Argentina e in Italia un vuoto che potrà essere colmato solamente attraverso il legame che lui ha costruito tra i due continenti.

Il nipote, Eligio Pison

Al centro Eligio e Patrizia con i famigliari Sergio, Dorina, Vanna ed Edoardo, davanti alla casa di Bernal.

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