Una famiglia di Cencenighe

Prima parte

Sebbene io ami Bologna, città dove sono nata e in cui ho trascorso più di sessant’anni, c’è un piccolo paese delle Dolomiti al quale mi sento legata in modo del tutto speciale: si tratta di Cencenighe Agordino, “Cence”, come lo chiamava affettuosamente Lieta, mia madre, fiera di esserne originaria. Benché fosse stata costretta ad abbandonarlo quando era ancor giovane per lavorare, le era rimasto nel cuore: lì aveva lasciato i suoi adorati genitori, Serafino e Vittoria Soppelsa, alcuni dei suoi fratelli e i cari amici con i quali aveva condiviso l’infanzia e l’adolescenza.

Di quel periodo amava narrare, a me e a mia sorella Maria Vittoria, curiosi aneddoti, e anche raccontarci, non senza una vena di nostalgia, tradizioni e abitudini che le erano care, così come le piaceva utilizzare il suo dialetto non appena se ne presentava l’opportunità. C’è un episodio che meglio di ogni altro dimostra quanto tenesse a Cencenighe: quando, nel novembre del 1966, esso fu vittima di una terribile inondazione, incurante del pericolo, convinse mio padre a raggiungere il paese su una piccola automobile carica di provviste.

La distruzione e le scene macabre che si offrirono ai suoi occhi – l’acqua aveva spazzato via il cimitero – le procurarono un’angoscia dalla quale si liberò a fatica. Raccontò che durante quel tragico evento la nonna aveva generosamente dato asilo a molti compaesani che si erano rifugiati nella sua modesta abitazione ai Coi, dato che si trovava in una posizione elevata rispetto alla piazza invasa dall’acqua e dai detriti.

Sin da quando ero piccola, la famiglia formata dai miei nonni (entrambi del 1872) mi è parsa, a suo modo, speciale. Sebbene come tanti loro compaesani abbiano dedicato tutta la vita al lavoro e alla famiglia, la loro storia, per alcuni aspetti, è alquanto singolare. Serafino e Vittoria si sposarono contro il volere del mio bisnonno materno, il cavalier Giovanni De Biasio, segretario comunale a Cencenighe e uomo di un certo prestigio, come attesta il suo elegante necrologio pubblicato nel 1919. Una foto che conservo gelosamente, nella quale appare con la prima moglie, Giuseppina Riva, ne dimostra il carattere orgoglioso e deciso: elegante e sicuro di sé, ostenta, non senza fierezza, un bel paio di baffi a manubrio, di moda all’epoca.

Perché mai, se non per un sentimento autentico e profondo, una ragazza con le sue qualità avrebbe scelto di unirsi a un giovane di condizione sociale modesta rispetto alla propria, mettendo al mondo con lui, nell’arco di ventisette anni, ben diciassette figli, tanto da divenire una delle donne più prolifiche dell’Agordino?

Il cavaliere non vedeva di buon occhio il fatto che sua figlia si unisse in matrimonio a un semplice scalpellino, mentre si racconta che mia nonna non avesse gradito le sue seconde nozze, ma non voglio credere che si sia sposata per una ripicca, anzi, sono fortemente convinta che quello tra Vittoria e Serafino sia stato un grande amore. La nonna, quando io venni al mondo, era ormai anziana, sfiancata dal lavoro e dalle ravvicinate gravidanze. Nulla era rimasto della sua giovanile bellezza che mostra in una foto in cui appare elegante e acconciata con cura. Perché mai, se non per un sentimento autentico e profondo, una ragazza con le sue qualità, e di ottima famiglia, avrebbe scelto di unirsi a un giovane di condizione sociale modesta rispetto alla propria, mettendo al mondo con lui, nell’arco di ventisette anni, ben diciassette figli, tanto da divenire una delle donne più prolifiche dell’Agordino?

Grazie a questo soggiorno, imparò la lingua tedesca, la cui conoscenza mise più volte a disposizione degli uffici comunali di Cencenighe, dando prova della sua intelligenza pur non avendo potuto studiare

Dal padre, la nonna aveva certamente ereditato il carattere forte, forse temprato dai lutti che si susseguirono nella sua vita, durante la quale – fatto non trascurabile – dovette affrontare anche due conflitti bellici: dapprima la morte della madre, poi quella di numerosi figli in tenera età. Della sua tenacia e del suo coraggio, testimonia il trasferimento che effettuò, assieme ai figli, in Svizzera, ove visse per molti anni, seguendo Serafino a Rorschacherberg, città in cui lui si era recato per lavoro. Grazie a questo soggiorno, imparò la lingua tedesca, la cui conoscenza mise più volte a disposizione degli uffici comunali di Cencenighe, dando prova della sua intelligenza pur non avendo potuto studiare come invece avevano fatto i suoi fratelli, in particolare Silvio, per anni maestro elementare a Falcade-Caviola e autore di interessanti saggi sul territorio, tra i quali La valle del Biois (1928), La valle del Cordevole (1929), La valle fiorentina (1939), oggi reperibili presso la Biblioteca civica di Belluno. Detto per inciso, fu proprio grazie a lui che, assieme a mio marito, ebbi l’onore di stringere amicizia con il grande scultore falcadino Augusto Murer, che gli era stato particolarmente legato.

Vittoria De Biasio Soppelsa

Tornando alla nonna, ella non era avvezza a smancerie e fronzoli, bensì schietta ed essenziale. In tutte le foto che la ritraggono quando non era più giovane indossa lo stesso abbigliamento severo, consistente in un vestito lungo con sopra una traversa, e copre il capo con un fazzoletto annodato dietro alla nuca, che le cinge la fronte fino alle sopracciglia. Non amava manifestare le sue emozioni, tanto da sembrare rigida a chi non la conosceva bene, preferendo esprimersi con i gesti piuttosto che con le parole.

A questo proposito, ricordo un fatto che mi lasciò molto commossa: mentre la mamma, mia sorella e io eravamo in partenza per Bologna, Vittoria mi prese da parte, mi mise tra le mani un pacchettino, dicendomi che era “par el viazz”. Salita in auto scoprii di cosa si trattava…
(continua…)

Patrizia Garelli Rossi

La famiglia Soppelsa durante il soggiorno in Svizzera

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