Una rara storia di emigrazione temporanea in Brasile
di Luisa Carniel
Quando si parla di emigrazione italiana di massa verso il Brasile ci si riferisce al periodo storico che va dal 1875 fino alla fine del secolo: si è trattato quasi esclusivamente di un’emigrazione definitiva, in quanto non vi erano le condizioni, né economiche, né logistiche, per tornare, dato che qui i contadini emigranti avevano venduto tutto prima di partire e avevano intrapreso la grande traversata con mogli, figli e magari anche genitori al seguito.
Tra le migliaia di storie di emigrazione bellunese ce ne sono almeno due che vedono i protagonisti rientrare dopo un periodo più o meno lungo in terra gaúcha: una è quella di Ferdinando Burigo, tornato a Belluno dopo la morte della moglie e dopo aver lasciato a Urussanga i figli, ormai sposati e con prole.
L’altra è quella di Angelo Biasuz, padre di Giuseppe, che fu figura di spicco della cultura feltrina, preside di liceo prima a Pola e poi per un ventennio a Padova, studioso e scrittore di storia locale: è lui stesso, che fu tra i fondatori dell’associazione “Famiglia Feltrina”, a raccontare l’esperienza di emigrazione del padre nei suoi scritti apparsi sulla rivista “El Campanon”.
Angelo Biasuz (il cognome ha avuto un’evoluzione dall’originario Biasuzzi) nacque a Mugnai il 23 marzo 1860, figlio primogenito di Giovanni Battista Biasuzzi e Giovanna Fent. Dopo il triennale servizio militare, nel 1884 sposò la compaesana Petra Angela Maccagnan (1866) e l’anno dopo nacque il loro primogenito Giovanni Battista, seguito poi da una femminuccia, Lucia.
Angelo trovò lavoro nella costruzione della rete ferroviaria Treviso – Feltre – Belluno, inaugurata nel 1886, e nell’estate 1887 fu in Croazia come boscaiolo; ma i tempi erano difficili e anche per lui si prospettò quindi la via dell’emigrazione, come per la maggior parte dei bellunesi. Scelse il Brasile, probabilmente sulla scia degli zii Giacomo e Margherita, che una dozzina di anni prima vi erano emigrati con i loro undici figli, acquisendo un lotto nella Travessão Garibaldi, oggi zona di Flores da Cunha.
Nel febbraio 1888 Angelo si imbarcò a Genova sulla nave Cheribon, in compagnia di altri emigranti di Mugnai, come Giuseppe Polesana e Vittore Maccagnan, il quale partiva con la moglie e i loro sei figli.
Ma Angelo non raggiunse il Rio Grande come i suoi parenti, si stabilì fin da subito in Paraná, dove trovò lavoro come sorvegliante nella costruzione della linea ferroviaria Paranaguá–Santos. Nonostante le condizioni climatiche difficili dettate dal pressante caldo umido e la conseguente presenza di zanzare portatrici della febbre gialla, Angelo era felice del lavoro che faceva, lui che poteva contare su un corpo sano, robusto e abituato alla fatica.
… nell’intraprendere il viaggio di ritorno, che durò circa un mese, si era cucito all’interno della giacca una ventina di sterline d’oro e in una cassettina aveva riposto dei piccoli ricordi del Brasile…
Nel 1891, ultimato il lavoro della ferrovia, si trasferì alla periferia di Curitiba, la capitale dello Stato, dove abitava la cognata Maria Giovanna Maccagnan, proprietaria di un podere con animali da latte, viti e frutteti.
Nel marzo 1892 Angelo fu raggiunto dalla moglie, che lasciò i loro due figli in custodia ai nonni.
L’anno dopo nacque Giuseppe (1893-1991), che fu battezzato nella cattedrale cittadina e che nel suo secondo nome, Brasilio, porta un chiaro riferimento al luogo che gli ha dato i natali.
Angelo nel frattempo tornò al suo lavoro di sorvegliante nella costruzione di strade, questa volta nel territorio di Rio Negro, a nord di Curitiba. Più tardi si trasferirono in una zona isolata a occidente della capitale, dove era presente un’immensa foresta con alberi di ogni specie appartenenti alla vegetazione tropicale. Rimasero lì tre anni: in quel periodo il piccolo Giuseppe era l’unico bambino di quel gruppo di lavoratori, molto distanti dal resto del mondo.
Infine, si trasferirono alla periferia di Curitiba, che allora contava circa tremila abitanti ed era un posto tranquillo e salutare in cui vivere. Angelo aprì un negozio di combustibili, frequentato da clienti di diverse nazionalità. Arrivò anche un altro nascituro che però morì quando aveva solo due anni.
La nostalgia per l’Italia, e in particolare per i due figli rimasti a Mugnai, si fece sentire sempre di più, così nel 1899 decisero di rientrare definitivamente a Feltre.
Nei suoi scritti, Giuseppe ricorderà che il padre, nell’intraprendere il viaggio di ritorno, che durò circa un mese, si era cucito all’interno della giacca una ventina di sterline d’oro e in una cassettina aveva riposto dei piccoli ricordi del Brasile, tra i quali il becco di un tucano e ciò che rimaneva della coda di un cobra.
Angelo, che morì poi nel 1932, parlò sempre con simpatia del Paese che l’aveva ospitato, ma secondo il figlio quei dodici anni di sacrifici non erano stati giustamente remunerati.
