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Un immigrato pioniere

Ancelmo Trojan era figlio di Giovanni Battista Trojan, partito da Genova a bordo della nave Polcevere e arrivato a Rio de Janeiro il 25 gennaio 1884. Giovanni Battista era nativo di Maras di Sospirolo, figlio di Filippo Vincenzo e Rosa Moretti. I suoi fratelli e sorelle – Maria Antonia, Caterina, Anna, Giustina, Giustina Giovanna e Luigi – rimasero a Maras. Con Giovanni Battista c’erano sua madre, la moglie Maria Teresa Sasset, e i loro quattro figli Rosa Pasqua, Vincenzo, Giovanni e Luigi.

Si insediarono nel distretto di Ana Rech, comune di Caxias do Sul, nel Rio Grande do Sul, dove nacquero altri cinque figli: Francisco, Giuseppina, Giuseppe, Pietro e appunto Ancelmo. Ancelmo, l’ultimo figlio di Giovanni Battista, aveva dieci anni quando il padre morì. Tre anni più tardi, il fratello maggiore lo introdusse a lavorare in una conceria nella quale già erano impiegati gli altri fratelli. Questo, però, non era il desiderio di Ancelmo.

In quello stesso periodo andò a Erechim a far visita alla sorella Giuseppina e fu invitato a vivere con lei e il cognato Alberto Lise. Alberto, recatosi alla Casa di Commercio di Emilio Grando, gli disse che stava ospitando suo cognato ed Emilio Grando invitò Ancelmo ad andare a lavorare con lui nel magazzino.

All’inizio Ancelmo lavorava con i muli che si recavano verso l’interno portando tavole e cibo. Dopo qualche tempo, la sua padrona gli chiese di lavorare in cucina, poiché aveva notato il suo talento nella preparazione del cibo. Così Ancelmo diventò cuoco della famiglia di Emilio Grando e dei suoi dipendenti. Lavorò per quindici anni in questo posto. Emilio offrì a ciascuno dei suoi dipendenti trenta ettari di terreno nel comune di Erval Grande, scalandone gradualmente il costo dallo stipendio. Nella terra di Ancelmo, a tre chilometri nell’entroterra, c’erano molti pini e araucarie.

Una volta finito di pagare il suo capo, Ancelmo acquistò altri trenta ettari ad Aratiba. Successivamente, Gomercindo Grando chiese a suo fratello Emilio di “prestargli” il suo dipendente Ancelmo, per assisterlo come cuoco dei suoi dipendenti a Erval Grande. Gomercindo, infatti, aveva comprato un sacco di terreni, ma non disponeva di personale che sapesse cucinare. Nel viaggio da Erechim a Erval Grande, Ancelmo segnalò il suo arrivo con dei fuochi d’artificio.

Fu proprio a Erval Grande che Ancelmo incontrò la sua futura moglie, Emilia Martini, allora diciassettenne. Tornato a Erechim, Ancelmo avvertì il suo capo, Emilio Grando, che avrebbe sposato Emilia. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferì nell’area acquistata da Ancelmo ad Aratiba, mettendo in piedi un piccolo ranch vicino al fiume.

Facendosi strada nel bosco, arando il terreno e spaccando legna, costruirono la loro casa e una grande famiglia, con diciannove figli: Maria Regina, Artemio Domingos, Zelide Rosa, John Anacleto, Aldo Carlos, José Honorino (mancato da bambino), Lydia, Honorino Luiz, Jandir Lourenço, Claudino Valentinem, Rosa Clara (mancata da piccola), Anair Angelina, Rosa Clara, Perzentino David, Ondina Lucia, Roque Antonio, Massimino Mario, Terezinha Lourdes, Francisco Higino.

Ancelmo Trojan fu un leader nella comunità e dato che non era frequente la presenza di preti nella regione, si incaricò delle sepolture, dell’assistenza ai malati, dell’organizzazione delle feste in chiesa. Servizi nei quali fu affiancato e sostenuto dai figli. La religiosità fu sempre molto presente nella casa di Ancelmo. Nel mese di ottobre, per esempio, conosciuto come il mese del Rosario, ogni sera la famiglia si riuniva in preghiera. Era tradizione di famiglia, inoltre, che tutti frequentassero la messa la domenica mattina, e l’accordo era che se non andavano a messa non potevano passeggiare nel pomeriggio.

La domenica pomeriggio, infatti, andavano spesso a trovare gli amici d’infanzia di Ancelmo. In chiesa, poi, Ancelmo cantava nel coro, in latino. Insomma, tra impegno e lavoro, la famiglia si affidò sempre con grande fede a Dio. Emilia Martini non sapeva scrivere e non conosceva i soldi. Era pertanto Ancelmo a occuparsi dell’organizzazione finanziaria di famiglia, non facendo mai mancare nulla in casa. Ai suoi figli proibì sempre di fumare prima dei diciotto anni, e vietò loro di entrare in casa con il cappello in testa.

Alla moglie, non permise di andare lontano per lavorare, così da poter stare più vicina alla casa e ai bambini. Con Emilia, in casa, c’era sempre un figlio più grande a darle aiuto, affinché lei potesse continuare anche a lavorare. Dopo ogni nuovo nato, Emilia camminava per tre o quattro chilometri per ricevere la benedizione dal sacerdote. Per la terra di Erval Grande, Ancelmo chiarì il suo desiderio di non venderla finché era vivo. Tuttavia, quando si ammalò, Fioravante Andreis fece ad Artemio, il figlio maggiore di Ancelmo, un’offerta.

Dopo una riunione con tutti i figli, Ancelmo decise di vendere, perché Fioravante era un amico di famiglia. Con i soldi guadagnati, Ancelmo sostenne le spese ospedaliere, chiedendo a tutti i figli di stare con lui in ospedale. E così fu durante gli ultimi otto giorni di ricovero. Prima di morire, Ancelmo radunò tutti e disse: «Figli, so che sto per morire, ma seguite tutti la strada della Salvezza». Ancelmo si spense il 4 settembre del 1976. I servizi ospedalieri e funebri furono saldati con il denaro della terra di Erval Grande.

I figli Honorino Luiz e Jandir Lourenço

La famiglia di Ancelmo.

Un fià di storia di Giovanni Battista Fontanella

Il primo ad arrivare in Brasile fu Gio Batta Fontanella, il fratello di Giovanni Battista. Giunto nel 1879, scrisse una lettera in Italia al padre Domenico. Nella lettera gli diceva di partire per il Brasile, dove c’erano tante terre e opportunità di lavoro.

Dunque Giovanni Battista Fontanella, che abitava a Pirago, nel 1882, all’età di undici anni, emigrò in Brasile con suo padre, la matrigna Giacoma Damian Preve (Domenico era vedovo di Catarina Bez e si risposò con Giacomina Damian, anch’essa vedova, unendo le due famiglie) e i fratelli Angelo (sedici anni) e Lucia (diciassette anni).

Attraversarono l’Atlantico (“trentasei giorni di macchina e vapore”) in cerca di nuove opportunità in America, quella “lunga e larga”.

In Italia rimase una sorella già sposata. Come avvenne agli altri emigranti, anch’essi lasciarono la loro patria, i loro vicini, gli amici e un po’ della loro anima.

Il primo posto dove si fermarono fu Rio Maior, una località della città di Urussanga, nello Stato di Santa Catarina. Successivamente si trasferirono e andarono a vivere in centro a Urussanga, in terre acquisite dalla famiglia Bez Batti.

Giovanni Battista si sposò con Maria Bez Fontana, figlia di Giacomo Bez Fontana, un’emigrata da Igne che trovò posto nel “Nuovo mondo” nella località di Rio America Baixo, nella città di Urussanga. Un posto benedetto, dove il legno, la segheria, le piantagioni e le bestie (maiali, mucche, galline) rappresentavano la fonte di sostegno economico.

Dopo il matrimonio con Maria, Giovanni imparò i segreti della carpenteria. La sua prima opera fu un “tripie”, un piccolo banco con tre piedi. Da semplice allievo, nel tempo divenne un maestro costruttore di chiese.

La chiesa madre “Santa Maria Immacolata”, l’opera più bella e il grande simbolo della città di Urussanga, ha il lavoro delle sue mani. La città di Urussanga gli ha reso omaggio il 15 Agosto 1953, apponendo sulla facciata della chiesa una targa con il suo nome, in segno di riconoscenza e gratitudine.

La coppia ebbe quattordici figli, due dei quali sfortunatamente morirono ancora bambini, vittime dell’influenza spagnola.

Mentre Giovanni faceva il muratore, Maria faceva il casaro e i suoi prodotti divennero famosi nella regione. Era molto religiosa, pregava sempre la Madonna del Caravaggio, nutrendo la speranza di un mondo migliore e più promettente.

Per tanti anni Maria, dopo la messa della domenica, fu solita andare alla birreria della famiglia Damian, che si trovava in piazza Anita Garibaldi, nel centro della città, a prendere delle birre. Riempiva la “derla” e le portava a casa.

Per ciascun figlio, in occasione del matrimonio, Giovanni e Maria, con tanto sacrificio e lavoro, riuscirono a lasciare un buon pezzo di terra e le attrezzature, i primi passi per garantire loro un futuro.

La famiglia Fontanella
La famiglia Fontanella
La targa in onore di Giovanni Battista

Nova Beluno

di Cesar Augusto Murari e Luciano Gastaldo*

La Colonia Jaguari fu creata nel 1871. Tuttavia, a causa di alcune dispute per il possesso della terra, la demarcazione dei lotti iniziò solo nell’agosto del 1886, con l’arrivo nella regione del dott. Jose Manoel Siqueira Couto. Nel gennaio 1887 si contavano già 78 lotti di 25 ettari demarcati come “Terra Jaguari”. All’inizio dell’anno successivo erano 249.  

Secondo lo studioso José Newton Marchiori, e in accordo con quanto riportato nel “Registro di immigrati della Colonia Jaguari”, la data da considerare fondamentale nella storia della Colonia Jaguari è il 14 settembre 1888, giorno in cui arrivarono i primi immigrati dalla Quarta Colonia. 

Alcuni documenti citano erroneamente come anno di fondazione della Colonia il 1889, prima della proclamazione della Repubblica (15 novembre 1889). Per questo il territorio non viene ricordato come le altre antiche colonie di Conde D’eu, Dona Isabel, Fundos de Nova Palmira e Silveira Martins, definite Prima, Seconda, Terza e Quarta Colonia italiana. Tuttavia, essendo stata creata nel 1871, durante il periodo imperiale, Jaguari è a tutti gli effetti la “Quinta Colonia italiana”.

Linea Nova Beluno, Colonia Jaguari, 1890/1900 circa. Inaugurazione del campanile della chiesa Nossa Senhora do Rosário.

Formarono la Colonia i nuclei: Jaguari – la sede principale, del 1888 -; Ernesto Alves, del 1891; Toroquá, del 1892; São Xavier, del 1894. Il nucleo Toroquá fu diviso in Nucleo Encruzilhada e Nucleo Nuova Belluno, in omaggio alle famiglie giunte dal Bellunese.

Tra il 1890 e il 1893 arrivò un significativo contingente di 4.865 immigrati, tra cui numerosi polacchi, tedeschi e austriaci. Alla fine del 1905 la popolazione era di 14.352 abitanti, di cui ben 9.500 italiani.

Gli ultimi immigrati arrivarono il 29 agosto 1906, poi la Colonia andò via via ad estinguersi e i suoi nuclei vennero integrati alle vicine città di São Vicente do Sul (soprattutto dal nucleo principale e da São Xavier), Santiago (dal nucleo Ernesto Alves) e São Francisco de Assis (Nucleo Toroquá).

Il 16 Agosto 1920 Jaguari divenne città autonoma.

Dalle ricerche effettuate su alcuni libri che trattano dell’emigrazione italiana a Jaguari, attraverso le visite ai cimiteri e mediante l’analisi dei documenti di famiglia, è stato trovato il seguente elenco di immigrati provenienti dalla provincia di Belluno e stabilitisi a Colonia Jaguari:

BEN Giovanni, figlio di Giovanni Battista e Anna Campedel, entrato nella Colonia il 15 ottobre 1898;

BENVEGNÙ Pietro, marito di Maria Giovanna Selva, entrato nella Colonia il 20 aprile 1895;

BERNARDI Antonio, marito di Giustina Giradini, entrato nella Colonia il 4 marzo 1895;

BOTTA Angelo, figlio di Isidoro e Assunta De Min, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

CADO Pietro, figlio di Adriano e Maria Maoret, entrato nella Colonia il 9 febbraio 1893;

CARLIN Giovanni, figlio di Gaetano e Antonia Pol, entrato nella Colonia il 17 aprile 1893;

CASSOL Eugenio, figlio di Michele e Giustina Pollet, entrato nella Colonia il 25 gennaio 1892;

CONTE Felice, figlio di Vincenzo e Catarina Bosco, entrato nella Colonia il 20 febbraio 1893;

DAL PRA Candida, figlia di Battista e Camila Sasso, entrato nella Colonia il 5 giugno 1905;

DAL’ASEN Giovanni Battista, marito di Teresa Zanivan, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

DALL’OMO Agostino, marito di Maria Maddalena Da Canal, entrato nella Colonia il 4 marzo 1895;

DECIMA Angelo, marito di Candida Dai Pra, entrato nella Colonia il 5 giugno 1905;

DELLA VECCHIA Sante, marito di Antonia Savaris, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

DEON Pietro, di Sedico, marito di Maria Schiocchet, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

FABRIS Giacinto, marito di Natalina Frada, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

GUADAGNIN Giovanni, marito di Giovanna M. Capellin, entrato nella Colonia il 19 gennaio 1898;

LENA Celeste, marito di Angela Sotlacal, entrato nella Colonia l’8 luglio 1889;

LIMANA Giuseppe, marito di Maria Santel, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

MADALOZZO Lorenzo, figlio di Vittore e Maria Dall’Osto, entrato nella Colonia il 25 gennaio 1892;

MARIN Giulio, marito di Luigia Sacchet, entrato nella Colonia il 22 maggio 1891;

MASTELOTTO Luigi, marito di Celeste Zandomeneghi, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

PASUCH Angelo, marito di Maria Giudita Della Vedova, figlio di Luigi e Angela Pol, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

PAZZA Pietro Gervasio, figlio di Bortolo e Filomena Zucco, entrato nella Colonia il 20 settembre 1888;

PIANI Ferdinando, marito di Angela Gris, entrato nella Colonia il 10 marzo 1895;

POLLET Abelardo, figlio di Luigi e Maria Luisa Marin, entrato nella Colonia il 22 febbraio 1891;

POLLET Luigi, figlio di Antonio e Maria Cecchin, entrato nella Colonia il 17 gennaio 1893;

PRINA Luigi, figlio di Angelo e Maria Filomena Orlandin, entrato nella Colonia il 17 gennaio 1893;

REOLON Luigi, figlio di Gioachino e Rosa Sommacal, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

RIGHES Luigi, figlio di Giuseppe e Antonia Carlin, entrato nella Colonia il 22 febbraio 1891;

RIVA Pietro, marito di Maria Annunziata Veny, entrato nella Colonia il 16 gennaio 1892;

ROSSO Giovanni, figlio di Antonio e Giovanna Angela Fasiol, entrato nella Colonia il 10 marzo 1895;

SACCHET Vittore, marito di Giacoma Marian, entrato nella Colonia il 25 gennaio 1892; 

SAVARIS Nicolò, di Mel, marito di Domenica Cesa, entrato nella Colonia il 30 novembre 1894;

ZUCCO Antonio, figlio di Angelo e Maria Maccagnan, entrato nella Colonia il 22 giugno 1893.

Fonti:
Gênese da Colônia de Jaguari, di José Newton Marchiori; Est Edições 2001
Esboço Histórico de Jaguari, di José Newton Marchiori; Pallotti 1999
Jaguari, Documentos Históricos e Relatos, di José Newton Marchiori; Est Edições 2001
La nostra stòria. Família Gindri do Brasil, di Narlei Gindri Rigotti; Est Edições 2008
– Archivio di Stato di Belluno

* Cesar Augusto Murari, ricercatore dell’Associazione Culturale Italiana “Vale do Jaguari”;
Luciano Gastaldo, presidente dell’Associazione Culturale Italiana “Vale do Jaguari”.

Il Clube Social do Beluno, giugno 2018

Fotografia attuale della Chiesa di Beluno. Da sinistra: Miguel Bianchini, Cesar Murari e Luciano Gastaldo.

«Regna in questo continente un morbo contagioso»

Lettera spedita da Brusque (Santa Catarina, Brasile) a Fonzaso.
(Per gentile concessione di G.Vieceli, Fonzaso)

Carissimi fratelli

Brusque li 10 agosto 1895

Con questo picolo folio vengo a notificarvi lotimo statto di mia salute unitamente amio marito ed fili, e così pure voria sperare che sarà di voi tutti di familia.

Laltro giorno con soma consolazione riceviamo la vostra tanto desiderata letera, nela quale intesi che godete buona salute tutti di familia, di questo ci congratuliamo molto, ancora abiamo avuto la triste nuova della perdita di nostra cara madre. 

O cara Madre siamo certi che il Cielo vi avrà acolto nelle sue sedie per godere la gloria in sempiterna, da tante fatiche meritatta. O! quanto dolore provò il mio cuore di tal notizia, e vero che tutti abiamo Amorire ma almeno potersi dare l’ultima gocia d’aqua e chiudersi gli ochi per letternità, ma questo Idio non celà concessa sollo ci resta di unire le nostre orazioni apresso il signore che dia ad essa etterno riposo.

In quanto a noi la va meno male, siamo tutti sani fora una filia di nome Angelina che patiscono un brutissimo male deto il mal cadutto, tutti i giorni è abattuta dal deto male tre o quatro volte e non si trova rimedio alcuno per poterla aliviare; per il resto la stichiamo meno male quantunque sia cangiata la situazione di cose anche qui in Brasile, specialmente da tre anni acuesta parte vano sempre pegiorando, regna in questo continente un morbo contagioso che sono una guera fraticida tra i due partitti, riboluzione da una parte e dal’altra, lo statto pieno di convulsone, i generi carissimi fino algi ultimi ecessi, il cambio ribassò incridibilmente, si può dire che ora con dieci mil reis non si compera più nula, cincue anni prima un mil reis valeva 2 lire e 50 centesimi in oro, ora vale 65 centesimi, una terza parte incirca;

da vivere poi ne faciamo abastanza, e siamo anche contenti del nostro statto, delgi avanzi non sene può fare essendoché abiamo una familia groseta e i filioli ancora picoli, non si può avere dei ressultatti, però noi non siamo punto amici degli avari e siamo sempre contentissimi, noi ora siamo in familia X persone: 3 fili maschi cioe Pietro, angelo, Faustino; 4 filie Anna, angela, Veronica, Elena; una nuora cioè Rosina, noi vechi e due morti che sarebe una dosina intiera.

Cari frateli, già è molto tempo che noi non si corispondiamo più, non sò di chi sarà la colpa, se siete contenti la ripartiamo metà per uno, io viò scrito molte volte e non ò avuto mai riscontro e per cuesto avevamo cessato anche noi di scrivervi, ora poi se non vi rincresce e che la providenza lo vuole, scriveremo più di frequente dandosi nostre corispondenze.

Per in quanto non ò altro a dirvi solo vi lascio salutandovi caramente unitamente a mio marito e fili e sono per sempre la vostra affezionatissima sorela Zucco Eva e di cuore Adio.

Darete un mare di baci e saluti amia sorela Veronica, e nipoti e nipote, cugnati e cugnate, parenti ed amici, infine tutti queli che ricerca di noi; così pure io che compongo queste poche righe vi partecipo i più distinti saluti che partono dal fondo del cuore e mi dichiaro di essere per sempre il vostro Cugnato Zucco Bortolo e di cuore Adio, ci saluterete molto i miei frateli e sorele con le loro familie e tutti i miei cari parenti, atendo pronta risposta.

Urussanga

Gli emigranti del Longaronese, assieme ad altri delle zone circostanti, hanno dato i natali al comune di Urussanga, nello stato di Santa Catarina, in Brasile, nel lontano 1878 (la data ufficiale è il 26 maggio 1878). Vi giunsero dopo un esodo difficile e penoso, con un lungo trasferimento in Europa fino al porto d’imbarco ed una traversata in mare durata una quarantina di giorni fino alle coste brasiliane. 

Famiglie intere lasciarono i nostri paesi, fuggendo anni di fame e privazioni dovute a una terra arida di risorse e a una situazione politico-economica in lento sviluppo, ma lontana da un esito di sicurezza e stabilità. Essi furono indirizzati dalle autorità brasiliane in una zona lottizzata già dal 1877 dall’ing. Joaquim Vieira Ferreira alla confluenza tra il rio America e il rio Urussanga.

Sorsero così Urussanga Sede (attuale città), Rancho dos Bugres (quattordici famiglie), Rio Maior (diciannove, in massima parte oriunde da Casso), Linha Rio Maior (sei) e São Pedro (dieci). In Urussanga Sede rimasero le famiglie di Pietro Bez Batti, Giovanni Damian, Bonaventura De Bona, Francesco, Domenico e Jacintho De Bridda e Antonio De Cesero.

Durante anni di duro lavoro e sacrifici, la zona è stata trasformata da foresta e boscaglie in fertili campagne ove primeggia la coltivazione della vite (Urussanga è considerata la patria del buon vino). 

Il popolo di Urussanga realizza diverse feste durante l’anno, che attraggono visitatori da tutta la regione. La più tradizionale è la Festa del Vino, realizzata negli anni pari e sempre nella prima quindicina del mese di agosto. Negli anni dispari c’è la Festa del Ritorno alle Origini, sempre nell’ultima settimana di maggio, clou della festa il giorno 26 che è la data di fondazione del comune.

In questa stessa data si commemora lo scambio socio-culturale ed economico (gemellaggio) con Longarone. La comunità dimostra sempre più la coscienza dell’importanza di preservare le sue origini etniche tradizionali, contribuendo significativamente con le manifestazioni culturali promosse dalle numerose associazioni italo-brasiliane nel comune.

(Testo tratto da Longarone Urussanga, gemellaggio; a cura di Arrigo Galli, 2011)

Famiglia Fontanella, emigrati da Longarone a Urussanga. In piedi, da sinistra: Ângelo, Egídio, Isidoro, Jacomo, Hercílio, Adelino, Enrico. Seduti, da sinistra: Elvira, Helena, Joana, João Battista, Maria Bez Fontana Fontanella, Hermínia, Henriqueta.
(Per gentile concessione di Fernando Luigi Padoin Fontanella)