12 marzo 1873. Siamo a Castion, frazione di Belluno. Nella casa dei Capraro un vispo bimbetto apre gli occhietti alla vita. È il primogenito e, filosoficamente, il padre lo chiamerà Primo. Quando gli nascerà un altro figlio, sarà chiamato, logicamente, Secondo.
La fanciullezza di Primo trascorre uguale a quella di tutti gli altri bambini: scuole elementari, bisticci con i compagni con qualche pugno, ecc.
Poi frequenta la scuola industriale di Belluno, dove si iscrive a un corso di costruzioni, dato che ha il bernoccolo della matematica. È già un bel giovinotto quando la Patria lo chiama al servizio militare e compie il suo dovere nel Genio. Tre anni dopo, quando ritorna, è già uomo fatto.
Siamo nel 1897 e Primo è disposto a lanciarsi per il mondo, sicuro delle proprie forze.
Ha sentito parlare dell’America e anche lui pensa a quelle terre lontane, ma, prudentemente, pensa che è meglio incominciare da poco. Rotti gli ormeggi incomincia il viaggio. Punto di partenza: Castion; punto di arrivo: be’ quello lo dirà il destino. Prima di lanciarsi all’America, e come misurando le proprie forze, visita paesi vicini all’Italia. Teme che la nostalgia gli giochi qualche brutto scherzo. Conosce così l’Austria, la Svizzera e la Germania. E proprio in Germania, sulle rive del Reno, conosce a una ragazza. Vorrebbe farla subito sua sposa, però comprende che per formare una famiglia è necessaria anche una certa posizione economica e lui ha solo due braccia, forti e robuste, una volontà di ferro e un cuore che trabocca di amore.
Non è sufficiente, così almeno pensa, e aspetta. Intanto lavora e risparmia. Sogna l’America e là non bisogna andare a casaccio e studia il posto. Arriva a Londra. C’è una compagnia che cerca gente e lavoratori per mandarli nelle miniere di Pachuca (Messico). Primo si presenta e in pochi minuti ha un contratto in mano. Ci sono anche dei compagni e anche loro sono contrattati. Primo, quasi automaticamente diventato capo e direttore della squadretta, aveva assicurato loro un avvenire prospero in una miniera d’oro e li aveva convinti a seguirlo. Partono così per il Messico. Incominciava il secolo ventesimo. Il viaggio si svolge senza inconvenienti.
Arrivati in Messico si presenta, contratto alla mano, all’amministrazione della miniera e qui succede il finimondo. Il gerente della compagnia non riconosce né il contratto e neppure i padroni della miniera, dato che il governo messicano ha concesso a lui tutti i diritti immaginabili e possibili. Primo ascolta e non si raccapezza. Poi, filosoficamente, alza le spalle e se ne va. «L’America è grande!» dice.
E i compagni che aveva entusiasmato? Primo non perde coraggio e ancora una volta li convince a seguirlo. Passa così al Perù, però anche qui non c’è niente da fare. Passa al Cile e arriva a Santiago con nessuna speranza di lavoro. Il gruppo si sgretola e anche Primo deve confessare, a malincuore, che è stato sconfitto. «Bisogna ritornare in Italia – dice – e per farlo ci sono due strade. O attraverso l’Argentina oppure aggirando lo stretto di Magellano».
Il gruppo sceglie il primo itinerario e, poco dopo, si sfascia. Primo aspetta a partire perché gli è venuta un’idea. Si ricorda che, stando a Londra, ha ascoltato una conferenza di Francesco Pascasio Moreno che diceva mari e monti di una zona della Patagonia e decide di andare a vedere.
Arriva alla zona dei laghi cileni e già sente qualche cosa nell’aria: paesaggi meravigliosi, degni delle zone più belle del mondo. Continua il viaggio e, superato il passo Perez Rosales, rimane con gli occhi spalancati. Capraro ammutolisce. Capraro è montanaro, credeva di aver superato la stregoneria e l’incanto delle montagne e qui, invece, l’innato amore alla montagna risorge, forte, prepotente. Ecco, là in fondo, il Tronador, il Lanin; e, più vicino a lui, il Lopez dalle pareti imponenti, e il Catedral, tutto una guglia; e poi altri e altri ancora, monti che si specchiano nei laghi limpidi e azzurri, e le isole, e i ruscelli saltellanti tra pietre e tronchi.
Capraro è sbalordito e lì, su due piedi, decide. Si sente come un nuovo Cristoforo Colombo. Se il genovese ha scoperto l’America, egli scoprirà la regione più bella dell’America!
Uomo pratico, cerca subito dove alloggiare e sceglie il Correntoso. È un torrente impetuoso che esce dal lago dello stesso nome e sfocia nel lago Nahuel Huapi. Correntoso! Il nome stesso significa quello che è, e Capraro lo comprova subito, perché vuole guadarlo.
Sono i primi anni, anni febbrili e pieni di intenso lavoro. Capraro è il capo. Corre da una parte all’altra dando ordini, istruzioni, consigli. A volte alza la voce, grida, sbraita. Vuole imporsi e nello stesso tempo vuole che ogni cosa si faccia bene.
Sulla riva opposta ci sono tende indie e quando Antriauc, caciche della zona, lo vede spogliarsi per gettarsi in acqua, gli grida: «Attento! Acqua forte! Non passare!» Capraro non ci bada e si tuffa. Nuota un po’ ma la corrente è troppo forte. Allora si immerge e quando riappare è a pochi passi dalla riva. Allunga le braccia in cerca di appiglio. I rami dei cespugli non resistono e cade in acqua due, tre volte. La situazione si fa pericolosa e si salva afferrandosi a una fune che gli tira il caciche.
Asciugate le vesti, Capraro continua il viaggio. Ha sentito che nella provincia del Chubut (distante circa quattrocento chilometri!), in una fattoria, c’è bisogno di manodopera. Il viaggio procede bene e conosce paesetti, meglio dire gruppi di case, e regioni. Esplora pure le sorgenti del Chubut, il fiume più grande della zona, e impara come si va a cavallo. Laggiù la gente si diverte nel vedere come il cavallo fa ruzzolare il cavaliere. Capraro, per amor proprio, si attacca fortemente all’animale e resiste.
Neppure a Leleque Primo ha fortuna. Non c’è posto per quello che vuole e sa fare e non ci sono quattrini. Capraro pensa che è il destino che vuole così perché vuole che si dedichi a far conoscere al mondo questa zona privilegiata.
Durante il viaggio di ritorno pensa e ripensa. Sente una voce interna che gli dice: «Ti ho aspettato tanto tempo e ora che sei arrivato non ti lascerò scappare. Pensaci e deciditi. Tu sei capace di questo e di altro ancora!»
E Capraro si decide e vede – come in una visione – come si converte in realtà un sogno accarezzato da tanti predecessori: Bariloche, città incantata! Già di ritorno, entusiasmato dal suo sogno, ospite in casa di amici a Bariloche espone loro il suo progetto e la decisione di attuarlo subito. Lo ascoltano e vedendolo così euforico, non lo interrompono. Ma quando si ritira, uno dice: «Quell’italiano è un pazzo!» «No – lo corregge un altro – è un sognatore e i sogni difficilmente si avverano!»
Capraro non si preoccupa per questa indifferenza. Si preoccupa invece di ottenere manodopera. Ci sono strade da fare, e ferrovie, e ponti e case e alberghi, moli, imbarcazioni ecc. ecc. e piantare industrie, officine, falegnamerie, centrali elettriche e mille cose ancora e allora incomincia una fitta corrispondenza con i suoi paesani di Castion e di Belluno e qualche lettera va anche in Germania dove, sulle rive del Reno, una ragazza aspetta e spera. Convince tanto gli uni che l’altra e nel 1903 parte per Buenos Aires.
Arriva la sposa e arrivano anche i primi emigranti, attratti dal fascino che ha ispirato loro Capraro. Sul molo è un vociare e un gridare in dialetto, italiano, tedesco. Amici che rivede, amici ai quali parla con entusiasmo della zona che popoleranno.
Finite le pratiche doganali, la carovana si mette in marcia. Ci saranno vari giorni di viaggio, però non importa. Arrivano a San Carlos de Bariloche dopo 1.800 chilometri di marcia, disposti a occupare terre, a costruire case e strade, a fondare un paese, una città. Capraro li guida dando ordini, istruzioni e consigli. In poco tempo sono sistemati e lavorano. Le industrie principali sono presto pronte: centrale elettrica, falegnameria, fucine meccaniche… Il paese progredisce sotto lo stimolo di Capraro.
Sono i primi anni, anni febbrili e pieni di intenso lavoro. Capraro è il capo. Corre da una parte all’altra dando ordini, istruzioni, consigli. A volte alza la voce, grida, sbraita. Vuole imporsi e nello stesso tempo vuole che ogni cosa si faccia bene. Pensa al futuro: pensa alle centinaia di migliaia di turisti che visiteranno Bariloche. Si dedica anche ad altre attività: commerciali, politiche, diplomatiche e giornalistiche.
Ed è così che, nelle lettere che scrive, si può leggere, tra le altre cose, una intestazione che dice: “Commercio in generale, frutta, importazione ed esportazione, falegnameria, carpenteria, centrale elettrica, agente Ford, cantiere navale, corrispondente del Banco d’Italia”. E avrebbe potuto aggiungere: agente consolare d’Italia, corrispondente dei giornali “La Nación” e “La Patria degli Italiani”, sindaco e agricoltore.
Il paese è ancora piccolo ed è logico che si avveri ciò che dice un proverbio: “Paese piccolo, inferno grande!” Sorgono gli oppositori e il paese si divide in Capraristi e Anticapraristi.
Continua…