Category “Vite migranti”

Storie di emigranti bellunesi

La straordinaria storia delle famiglie Larese Roia e Pais De Libera

La famiglia Becher in Argentina

Il 16 marzo 2013 si sono incontrati in una antica casa appena fuori Buenos Aires i numerosi discendenti delle famiglie di Antonio e Valentino Larese Roia e Pais De Libera, per ricevere dalle mani di Gianni Pais Becher venuto da Auronzo, una foto scattata nella capitale dell’Argentina nel lontano maggio 1906 e inviata in varie copie ai famigliari rimasti in Cadore.

Una foto che aveva attraversato ancora una volta l’oceano Atlantico per ricordare le sembianze ormai dimenticate dei loro antenati che dopo la metà del 1800 avevano lasciato per sempre le crode delle Dolomiti ed il loro paese natio, per cercare in Argentina di costruire una vita migliore.
Antonio era riuscito ad aprire una libreria in pieno centro di Buenos Aires, vicino alla Casa Rosada. Una libreria frequentata dal fior fiore della cultura argentina, ed una sua figlia ebbe come padrino un Presidente della Repubblica dell’epoca. Valentino aveva sposato una compaesana, Maria Antonia Pais De Libera, ed il nipote Agostino Giuseppe era convolato a nozze con Rosaria Pais Marden.

L'incontro del 13 marzo 2013

Avevano deciso di fare quella foto per inviarla ai famigliari rimasti ad Auronzo, per far conoscere i visi dei figli e nipoti sconosciuti in Patria. La commozione era visibile sul viso di tutti, anziani e giovani quando rigiravano tra le mani la foto, cercando di riconoscere chi il bisnonno o la nonna, chi il proprio padre che allora era ancora un bambino.

Non avevano nel loro archivio una foto di quell’epoca e discutevano tra loro per riconoscere chi fosse questo o quello.
Alla fine si trovarono tutti concordi, i loro antenati tenevano un volto ed un nome e le lacrime rigavano il viso di molti.

Gli abbracci ed i ringraziamenti a Gianni, i brindisi alla foto tornata a casa e al neo eletto cardinale Bergoglio a Papa Francesco.

Le foto di gruppo vengono fatte mentre tutti anche i più piccini gridano ¨Auronzooo!!!”.

Programmano per il futuro di imbarcarsi su una nave e raggiungere Venezia per poi visitare tutta la Provincia di Belluno.

Antonio, Valentino, Giuseppe, Maria Antonia sembrano sorridere felici… sembra… che sia il vino, o sorridono davvero?

Gianni Pais Becher

Antonio Renon, Ottawa

Antonio Renon, da Ottawa (Canada), originario di Tiser, dopo gli auguri per l’anno nuovo e il ringraziamento per Bellunesi nel Mondo e per il calendario (“Tutto ciò mi riporta ai bei tempi che ricordo ancora chiaramente”) ha accolto il nostro invito, inviandoci la sua “storia di emigrante”, che qui riassumiamo.

“A sei anni cominciai ad andare a guardare le mucche al pascolo, assieme ad un anziano. Quindi, a dieci divenni conža (seggiolaio) con mio padre, prima in Toscana, poi nel Bresciano, dove nel 1943, lavorai nella gelateria di mio cognato. Dopo un periodo trascorso a casa, nel ‘44 fui di nuovo in gelateria e quindi ancora conža e nuovamente in gelateria, finché questa fu costretta a chiudere perché il proprietario del fabbricato aveva bisogno dei locali. Esonerato dal servizio militare (avevo il padre inabile e un fratello minorenne), nel 1947 partii per il Belgio (“braccia in cambio di carbone”), ma dopo un anno di lavoro da minatore mi trovai che non avevo più forze, e, dopo varie visite mediche, ritornai in Italia, da mia madre. Nel 1951 partii per il Canada, con destinazione St. Thomas (Ontario), prima come bracciante agricolo, poi come installatore di fognature e condutture d’acqua,e, più tardi, nel 1952, nel Nord Ontario, come boscaiolo in una ditta che aveva una cartiera che forniva la carta ai giornali di New York. Nel dicembre del 1958 partii per l’Italia per sposarmi, a Monza, con Daria, anche lei di Tiser, emigrata con la sua famiglia ancora nel 1942. Non mi fermai a lungo; d’accordo con mia moglie, decisi di ritornare in Canada per il clima, dato che non sopporto il caldo. Presi subito lavoro ad Ottawa e cominciavo ad imparare il mestiere di muratore, quando un’ulcera duodenale mi costrinse, su suggerimento del medico, ad un lavoro meno faticoso. Dato che avevo già la cittadinanza canadese riuscii ad ottenere un impiego come addetto alla pulizia e manutenzione di fabbricati, lavoro che praticai per ben 29 anni, fino al pensionamento, a 65 anni. Sono stato fortunato: non ho mai avuto infortuni sul lavoro, anche in mestieri pericolosi come minatore e boscaiolo (In Belgio mi sono salvato per tre minuti, grazie ad un sorvegliante). Mi scuso di questa lunga chiacchierata (ho fatto solo la quarta elementare e la quinta serale) e vi lascio con il rinnovo del mio abbonamento”.

Antonio Renon

Gildo De Bortol, padre e marito

Gildo De Bortol in Svizzera

Gigliola De Bortol con la madre desiderano pubblicare la testimonianza di Gildo De Bortol (padre e marito): emigrante in Svizzera per ben 30 anni. Questo scritto è stato steso da Gildo poco prima della sua morte avvenuta il 28 agosto 2009.

“Mi chiamo Ermenegildo De Bortol. Sono nato a Trichiana in provincia di Belluno nel 1934.

Nel 1954 sono partito per andare in Svizzera a lavorare in una ditta edile; mi sono fatto mandare, per interessamento di mio fratello, il contratto di lavoro e il permesso della “Polizia stranieri” obbligatori a quel tempo.
Verso la fine del mese di aprile sono partito per Zurigo via treno con fermata a Chiasso. Passo la dogana e alcuni responsabili della polizia degli stranieri mi portano in un altro luogo, distante circa due chilometri dalla stazione, per la visita – obbligatoria – sanitaria: quelli che non reputavano sani venivano rimandati in Italia.

Arrivato a Zurigo sono andato subito al distretto di Polizia per stranieri per presentare la carte sanitarie che mi erano state rilasciate a Chiasso.
Come abitazione avevo una baracca che era stata scartata dai militari perché vecchia e rotta. In molti fori entrava anche dell’aria. C’era una stufa a legna dove veniva scaldata l’acqua per il bagno. Si lavava la biancheria in un mastello. Eravamo gruppi di quattro, sei persone e ognuno aveva il proprio compito: chi andava a fare la spesa, chi cucinava, chi lavava i piatti e così via. Il 1° maggio 1954 fu il mio primo giorno di lavoro in Svizzera. La paga era di 2,97 franchi all’ora. La stessa paga era riportata nel contratto.

Nel 1957 è nata in Italia mia figlia. Non ho potuto farle frequentare l’asilo (Kindergarten) e di seguito le elementari in Svizzera perché, per i figli nati in Italia non c’era il permesso. Il “permesso annuo” veniva rilasciato solo dopo dieci anni; questo almeno per i nati fuori dalla Svizzera. Io avevo il permesso di soggiorno per tre mesi all’anno.

Ermenegildo De Bortol

Emigranti bellunesi si sentono a casa nella “Citè del minatore” in Belgio

Da sinistra a destra Rino, Noemi e Riccardo sotto la statua della regina Elisabetta
Da sinistra a destra Rino, Noemi e Riccardo sotto la statua della regina Elisabetta

I fratelli ‘Bob’ Riccardo (81) e Rino (76) e la sorella Noemi (79) Sponga sono nati a Eisden (Belgio) negli anni trenta, e vivono ancora nel quartiere giardino della “Cité del minatore”. “Nostro padre , Attilio, con radici a Sedico (Belluno), è nato a Selbeck in Germania. Da lì è venuto in Belgio via Francia con due fratelli, prima a Charleroi, poi a Beringen e infine, nel 1926, a Eisden. Seguirono quattro sorelle” – così Bob inizia a raccontare la storia di una famiglia di emigranti bellunesi – “ Nostro padre ha incontrato qui nella cité nostra madre Mafalda Brentel, anche lei venuta dalle Alpi, da Aune di Sovramonte, vicino a Feltre”.

“Siamo tutti nati nella stessa casa, dove ho poi portato un figlio e una figlia nel mondo – continua Noemi. “Papà aveva solo 48 anni quando, dopo 30 anni lavoro pesante nella miniera di carbone, dopo sei mesi di pensione è deceduto a causa della polvere di carbone nei polmoni. Triste destino di molti dei suoi amici minatori della sua generazione!”, dice Rino, che pure ha lavorato per diversi anni nella miniera di carbone di Eisden, dove anche Bob, cominciando a 14 anni, ha lavorato per 30 anni.

Soprattutto gli anni della guerra hanno lasciato una profonda impressione. “Nel giardino dei nostri vicini, una bomba è esplosa” ricorda Rino. “Tutte le finestre nella casa sono andate in mille pezzi e il soffitto è venuto giù,” racconta Noemi che, insieme con i fratelli, è cresciuta all’ombra del parco reale, costruito in onore della visita della regina Elisabetta.

“Abbiamo trascorso tutta la nostra vita qui a Eisden. Ora non vogliamo più andare via da qui. A volte ritorniamo a Belluno in montagna. L’atmosfera delle Dolomiti non si trova nella nostra regione in Belgio”.

Jos Miscoria (Eisden – Belgio)

Don Dino, il pastore degli emigranti

Don Dino Ferrando

Don Dino era il pastore degli emigranti, umile e generoso. Dava tutto sé stesso per vedere contenti e soddisfatti gli altri. Mi diceva che io era la prima nella lista degli emigrati.

Un giorno mi trovavo in un supermercato per liquidare della merce; si ferma, guarda e prende una tela per fare la bandiera della “Cascina”, per una festa dei Bellunesi; da allora, quando passava, se avevo qualcosa che gli poteva essere utile, glielo presentavo. Era sempre nei cantieri per trovare gli operai e gli portava degli indumenti che gli davano e per aiutarli nelle pratiche scrivendo per loro. Io gli portavo dei pacchi di merce per gli operai.

Un giorno gli ho dato un quadro della Madonna di Morbio da benedire, perché volevo donarlo alla chiesa di Cirvoi; lui mi disse che aveva una persona che lo portava e così è arrivato a destinazione. Mentre mi trovavo da lui mi disse: “Anch’io ho nel cuore il mio paese” e mi fece vedere un calice che avrebbe regalato al suo paese.

Mi fece anche vedere una stanza piena di cose da regalare ai poveri. Lui pensava sempre a come aiutare i bisognosi e non si tirava mai indietro quando c’era da lavorare. Lo si vedeva con l’ascia per tagliare la legna e con la pala per smuovere la terra; dopo alcuni istanti metteva il camice e celebrava la Messa da campo (…).

Don Dino per me è stato un grande amico, la sua morte è stata una grande perdita per me e per tutti quelli che l’hanno conosciuto (…).

Miriam Dal Farra Agustoni