Dall’Illinois, una storia tragica ma di grande umanità
di Luisa Carniel
Due fratelli di Arsié sono protagonisti di questa toccante storia di emigrazione: si tratta di Giuseppe e Antonio Arboit, che all’inizio del secolo scorso lasciarono definitivamente il loro paese per trovare lavoro nella contea di Le Salle, Illinois.
Qui Giuseppe, classe 1875, dopo alcuni anni come dipendente, divenne un commerciante, mentre il fratello minore Antonio, prima della sua tragica fine, era impiegato come autista per un mercato di carne italiana nella cittadina di Oglesby, poi rinominata Portland. Erano figli di Pietro (emigrato anche lui e morto in America) e Maria, i quali avevano avuto dieci figli, metà dei quali erano approdati in Illinois: tra questi, Santo (1880-1968), Angela Teresa (1880-1973, sposata con Giovanni Battista Turra) e Beniamino (1889-1970).
La sera del 5 aprile 1910 Antonio Arboit e quello che poi diventerà il suo assassino, Modesto Zilioli, un emigrante italiano originario della provincia di Bergamo, si erano ritrovati in un bar e la serata pareva si svolgesse tranquilla, tra chiacchiere e qualche bicchiere. Poco dopo le ventidue i due furono visti uscire insieme dal locale, incamminandosi verso casa in compagnia di un’altra persona. Non si sa cosa sia successo e il motivo che possa aver scatenato la tragedia, ma ad un certo punto Zilioli estrasse un coltello e inferse pochi ma letali colpi alla gola e alla nuca del povero Arboit.
Passarono i giorni, i mesi, gli anni: il fatto fu quasi dimenticato, eccetto che dal fratello Giuseppe, il quale aveva fatto voto di trovare l’assassino di Antonio.
Gli furono prestate cure immediate e poi fu portato in ospedale, dove i medici cercarono in tutti i modi di salvarlo, ma le ferite erano troppo profonde e il malcapitato aveva perso molto sangue, per cui sopraggiunse la morte. Qualcuno disse che forse il movente del folle gesto fosse da ricercare nella gelosia di Zilioli, che aveva visto Arboit parlare con la sua fidanzata: in realtà i veri motivi non sono mai stati chiariti. Nel frattempo l’assassino aveva fatto perdere le sue tracce, come anche il terzo uomo, il possibile testimone.
Antonio Arboit, che aveva solo venticinque anni, fu sepolto nel cimitero di Oglesby, dove è ancora presente la sua lapide, sulla quale i parenti vollero scrivere “Rapito dalla mano brigantesca nel bel fiore della vita”. Fu emesso un mandato d’arresto per Zilioli (nella foto) e ci fu un’intensa caccia all’uomo con il dispiego di numerose forze di polizia, ma non si riuscì a catturarlo. Passarono i giorni, i mesi, gli anni: il fatto fu quasi dimenticato, eccetto che dal fratello Giuseppe, il quale aveva fatto voto di trovare l’assassino di Antonio. Per questo, segretamente continuava nelle sue ricerche, seguendo ogni pista, non lasciando niente di intentato.
Un giorno, quasi diciassette anni dopo, venne a sapere che Zilioli era stato visto per le strade di Great Falls, in Montana: così si recò lì e lo affrontò. Giuseppe gli disse apertamente che aveva intenzione di consegnarlo alla polizia. L’uomo non negò di essere stato lui e si scusò dicendo che era stato uno stupido e che era ubriaco, poi aggiunse: «Cosa ne sarà ora della mia famiglia? Ho moglie e cinque figli». Dopo una breve conversazione, Giuseppe si recò nella casa di Zilioli, il quale gli presentò i suoi familiari. «Aveva una brava sposa e bambini educati e gentili» disse Giuseppe Arboit quando ritornò in Illinois.
«Ho riflettuto un po’ e poi mi sono detto che, se lo avessi mandato in prigione, a quella famiglia sarebbe mancato il padre, l’avrei spezzata, mentre niente avrebbe potuto riportare in vita mio fratello Toni. Così me ne sono tornato a casa senza fare niente». Aveva però fatto una grande cosa, non da tutti: aveva saputo perdonare.