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Bellunesi nel sud del Brasile: la famiglia De Brida da Soffranco

La famiglia De Brida

Partita da Soffranco, in comune di Longarone, la famiglia De Brida fu nel 1878 una delle prime famiglie a stabilirsi ad Urussanga. I capi famiglia erano Domenico, Francesco e Jacintho.
Agli immigrati che arrivavano veniva assegnato un lotto di terra. Poiché i De Brida furono tra i primi, si sistemarono nella zona centrale, all’epoca un territorio vergine, dove nei dintorni non si trovava altro che bosco.
Nel 1879 arrivò a Urussanga una seconda ondata di italiani e, tra questi, la famiglia De Brida era ancora presente. Arrivarono per una nuova vita Giovanni, Gaetano, Giovanna e Francesca.
Sempre presenti nelle azioni di sviluppo del nuovo insediamento, i De Brida si offrirono volontari, insieme ad altre famiglie, per aiutare a costruire la Chiesa Madre “Nossa Senhora da Conceição”, un sogno di tutti.
Oltre a questo, la famiglia occupò una posizione di rilievo nella vitta pubblica locale, principalmente nella sfera politica. Nel 1900 Jacintho De Brida fu nominato primo sovrintendente del Comune di Urussanga. Nel 1970 Lydio De Brida assunse la carica di sindaco e durante il suo mandato, che durò fino al 1973, furono inaugurate diverse opere di grande importanza, come il nuovo palazzo del Municipio, denominato proprio “Palazzo Lydio De Brida”.

Jacintho De Brida

A Lydio, italo-brasiliano, piaceva il calcio. Ebbe una funzione importante nell’“Urussanga Football Club”. Prima come giocatore, poi come allenatore, aiutò la squadra a vincere grandi partite.

Oggi il principale stadio della città è a lui intitolato, si chiama infatti “Estádio Lydio de Brida”. Non erano, però, solo gli uomini della famiglia De Brida ad avere un ruolo nella politica locale. Iris, sposata con Edson De Brida, diventò consigliere del Municipio e poi vice sindaco, con un contributo speciale all’educazione.
Questa è un po’ di storia di alcuni dei protagonisti della famiglia De Brida arrivati nelle terre brasiliane. Come tanti migranti seppero superare le difficoltà e contribuire a costruire un nuovo Paese.

Victor De Brida

Agapito Conz, la sua casa è diventata un museo

La bibbia di Agapito Conz

Il giornale brasiliano on line “O florence” ha dato notizia qualche settimana fa dell’inaugurazione a Flores de Cunha, nel Rio Grando do Sul, del museo dedicato alla famiglia Conz, originaria di Campel di Santa Giustina.
Era il lontano dicembre 1881 quando Agapito Conz, classe 1842, lasciò il paese natio con la moglie Antonia De Gol e i loro figli Giobatta, Alfonso, Virginia e Rosalia per imbarcarsi a Genova sul vapore Colombo che li portò al di là dell’oceano nei primi giorni del nuovo anno. Si insediarono in un lotto della traversa Garibaldi, diventata in seguito il quartiere Videiras di Flores da Cunha. Qui Agapito, che oltre ai lavori nei campi sapeva lavorare il legno e costruire botti, si costruì una casetta di araucaria che fu però distrutta dopo solo un anno da una violenta tempesta. Decise allora di costruirsi una dimora più solida, la stessa che ospitò poi il figlio Tarsilio, il nipote Diogene e il bisnipote Orfeo, presente all’inaugurazione del marzo scorso, che vi visse nove anni, dagli otto ai diciassette.

In realtà questa costruzione ospitava solo le camere da letto, perchè era molto comune che gli emigranti tenessero separati gli edifici che ospitavano la cucina e, appunto, le stanze per dormire.

“Così io, quando pioveva, dovevo prendere l’ombrello se volevo andare a mangiare” ha ricordato Orfeo durante la cerimonia, nel corso della quale ha tenuto anche a sottolineare che il bisnonno Agapito fu consigliere comunale per distretto di Nova Trento. Il museo, che si presenta con le caratteristiche di esposizione etnografica, ospita mobili e oggetti delle prime generazioni di emigranti: dispensa, letti, articoli per la casa, attrezzi per il lavoro di falegname, per quello agricolo e vinicolo, oltre ad una bellissima bibbia (nella foto)

Luisa Carniel

Vida e Laoro. Storie della Famiglia di Quintino Padoin e Irma Scarpato

Irma Scarpato e Quintino Padoin

La storia della famiglia di Quintino Padoin e Irma Scarpato inizia nel Nord Italia, da dove partirono i loro nonni. Domenico Padoin ed Eleonora Teresa de Doni, nonni di Quintino, provenivano da Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. Luigi Scarpato e Maddalena Seraffin, i nonni di Irma, provenivano da Polcenigo, in provincia di Pordenone.
La nave “Umberto I” partì dal porto di Genova diretta a Rio de Janeiro, in Brasile. Su questa nave c’erano Domenico Padoin, sua moglie Teresa, i figli Pietro, Gregorio e Luigi, e suo fratello Giuseppe.
Da Rio de Janeiro arrivarono a Laguna, nel Sud dello stato di Santa Catarina. Da Laguna, attraverso il fiume Tubarão proseguirono fino alle colonie di Azambuja e Urussanga.
Gli immigrati trevisani occupavano le terre inferiori del fiume Urussanga, dove si trovano le comunità di São Pedro, De Villa, Estação Cocal e Morro da Fumaça. La terra in cui si insediarono si trovava nella comunità di San Pedro, in una fitta foresta; poi con molto lavoro si dedicarono alla coltivazione delle piantagioni, all’allevamento degli animali e alla costruzione di una piccola residenza. Tutto questo nel 1879. Lì nacque Pellegrin Padoin, padre di Quintino.
Pellegrin Padoin nacque il 13 maggio 1884, all’età di venticinque anni sposò Joana Zaccaron con cui ebbe otto figli: Antônio, Ida, Amélio, Quintino, Aurora, Izélia, Zuleima e Agenor. La coppia viveva nella comunità di Linha Pagnan, vicino a Estação Coal. Pellegrin era considerato un bravo lavoratore. Insieme ai figli e alla moglie aveva grandi piantagioni e allevamenti di bestiame.
Quintino crebbe intorno alla comunità di Estação Cocal. Nei primi giorni di scuola, rimase sorpreso dal modo in cui l’insegnante parlava in portoghese. Dopotutto, in quella zona parlavano italiano, o meglio, il dialetto veneto. Il suo divertimento era quello di andare nei boschi con gli amici e a pescare sul bordo del fiume Urussanga. Una volta non riuscì più a pescare – ricorda Quintino – perché l’estrazione del carbone a Urussanga nei primi anni ‘30 inquinò le acque del fiume, facendo sparire ogni tipo di pesce. Lavorava alla fattoria, a volte caricava i vagoni dei treni con sacchi di grano per guadagnare un po’ di più, e produceva anche scope da vendere, fatte con le foglie di alberi di cocco.
La famiglia di Luigi Scarpato si stabilì nel 1885 nel Núcle Accioly de Vasconcelos, attuale località di Linha Espanhola, dove nacque João Scarpato, il padre di Irma.
João Scarpato sposò Joana Brunato, con la quale ebbe tredici figli: Primo, Angelica, Otávio, Zeferino, Domingo, Vitório, Irma, Maria, Quintino, Agenor, Rosalino Amelia e Zuleima. João era un abile costruttore e trascorse molto tempo lontano dalla famiglia, operando in tutta la regione e anche nello stato di Rio Grande do Sul.

Mina Fluorita

Irma Scarpato da piccola lavorava alla fattoria con i suoi fratelli e la madre, viaggiava in carrozza trainata dai buoi, guidata da suo fratello Octavio. Frequentava la scuola al Rio Comprudente e ci andava alle prime ore del mattino, anche durante l’inverno, con i prati coperti di brina. A mezzogiorno tornavano a casa per il pranzo e di solito mangiavano formaggio, polenta, radicchio e salame. Ogni volta si fermavano durante il cammino, guardavano gli alberi pieni di frutti e raccoglievano la araçá, un frutto molto buono.
Irma terminò gli studi al quarto anno elementare perché, com’era comune per le donne dell’epoca, doveva prepararsi per diventare sposa e per prendersi cura di una famiglia generalmente numerosa. Negli anni ‘40, tra i quindici e i sedici anni, iniziò a frequentare le domingueira, ovvero le feste nel pomeriggio domenicale che si svolgevano nel centro comunitario della chiesa. I genitori erano molto severi, lei e le sue amiche dovevano tornare a casa prima che il sole tramontasse, quando il padre non le accompagnava alle feste. Andavano a piedi nudi, tenendo le scarpe in mano fin quando erano vicine al posto della festa, si lavavano i piedi e si mettevano le scarpe pulite.
In una di queste domeniche, nella comunità di São Pedro, Irma incontrò Quintino Padoin, ma lui, che era molto timido, esitò a rivolgerle la parola. Prima parlò con gli amici e solo più tardi con lei. Una volta la accompagnò a casa nel ritorno da una delle feste. Poco tempo dopo chiese di sposarla al padre di lei, e ciò avvenne il 22 giugno 1952.

Irma e Quintino, dopo il matrimonio vissero con i genitori di Quintino nella comunità di Linha Pagnan. Ebbero cinque figli: Ademar, Neiva, Natal, Vanilda e Edson. Dopo la nascita del secondo figlio costruirono una casa nella comunità di Linha Torrens, vicino alle famiglie Casagrande e Sartor. La vita rurale continuò, Quintino in agricoltura e allevamento di maiali, Irma, invece, produceva formaggi per venderli.

La storia di questa tipica famiglia di immigrati italiani cambiò direzione in seguito a un sogno. Uno dei vicini, Venicio Casagrande, sognò che c’era della pietra fluorite in un corso d’acqua nella proprietà di Quintino, vicino a dove si trovavano i maiali. Quintino, che sapeva poco del minerale, disse: «Nella terra dei poveri non c’è nulla, solo serpente, rospo e rana». Il giovane Venicio sognò altre tre volte la stessa cosa e un giorno, mentre lui e suo fratello stavano pescando in quel piccolo fiume, trovarono delle pietre verdi e gialle. Poco tempo dopo tornarono con i picconi per cercare altre di quelle stesse pietre e trovarono pezzi più grandi di quelli che avevano mostrato a Quintino; lui fu entusiasta e da quel momento, nel 1960, iniziarono in modo rudimentale a scavare la pietra fluorite nel posto.
Quintino e i giovani Giacco, Cuba e Venicio Casagrande estraevano mucchi di pietre, ma senza sapere se ci fosse realmente valore commerciale. Nessuno aveva conoscenze tecniche su quel tipo di lavoro, ma iniziarono con quello che avevano: picconi, pale, mazze, sudore e coraggio. Dopo la scoperta del valore commerciale, vennero costruite delle miniere, e intorno ad esse venne fondata una nuova comunità: la comunità Vila Mina Fluorita. La gente iniziò a cercare lavoro e si stabilì in quella zona; altre miniere furono scoperte, come la miniera della famiglia Sartor. Nel 1961 fu fondata la Mineração Santa Catarina.
Anche se l’attività principale della famiglia era quella mineraria, a Quintino e Irma piaceva la semplice vita rurale. Nella loro nuova casa, più lontano dall’area mineraria, crebbero i loro figli, nipoti e pronipoti.
Quintino ha salutato il mondo nel 2006, dopo una domenica in famiglia alla festa di Sant’Antonio.

Fernando Luigi
Padoin Fontanella

La Famiglia De Nes. Dall’Italia al Brasile

137 anni di emigrazione in Brasile. È il traguardo raggiunto dalla famiglia De Nes, che ha festeggiato il 16 novembre 2019 con il primo incontro dei discendenti nella città di Encantado (Rio Grande do Sul). Proprio lì dove tutto ebbe inizio.
I primi ad arrivare furono Francesco De Nes, nato a Longarone il 18 settembre 1869, e sua mamma Giacomina Bratti, nata il 4 giugno 1846. Francesco aveva tredici anni e Giacomina era rimasta vedova. Con loro, a ricominciare la vita oltreoceano, c’erano anche i nonni materni, Andrea Bratti, nato il 19 febbraio 1821, e Domenica De Bona, nata il 30 agosto 1819.
La famiglia arrivò in Brasile, nel porto di Rio de Janeiro, il 15 dicembre 1882, a bordo della nave “Berlin”. Scelsero il Sud del Paese per vivere, stabilendosi nell’attuale città di Encantado – allora 3ª frazione di Lajeado – dove lavorarono come contadini.

Il 7 maggio del 1892 Francesco sposò Pia Giongo, nata nel 1870 nell’Impero austro-ungarico. Anche lei era arrivata nel porto di Rio de Janeiro, il 7 luglio 1879, quando aveva 10 anni. Era emigrata con i genitori, David Giongo e Maria Penes, viaggiando sulla nave “La France”. Nei registri dei passeggeri di quella nave sono presenti 54 austriaci. Di questi, 26 – inclusa Pia – ricevettero un sussidio dal Consolato brasiliano a Genova.

Gli sposi ebbero sette figli: David Pio De Nes, nato il 28 aprile 1893; Antonio Augustinho (28 novembre 1894), Ernesto Luiz (14 novembre 1896), Benjamin Degnho (25 agosto 1898), Giacomina De Nes (19 luglio 1900), Maria (22 settembre 1905) e Giusto João (1904).
Anche Giacomina Bratti, la madre di Francesco, in Brasile si risposò con Antonio Lucca. Morì a Encantado il 18 dicembre 1929, a 84 anni.
Francesco si spense invece il 26 aprile 1930, a 61 anni, e Pia venne a mancare il 12 settembre 1948, a 78 anni. Furono sepolti nel cimitero di Santo Antão, a Encantado.
Attualmente il cognome De Nes è diffuso tra gli stati di Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, São Paulo, Mato Grosso e Rio de Janeiro.
I discendenti si impegnano a portare avanti ricerche per conoscere meglio la loro storia e per ampliare i rapporti fra parenti di questa grande famiglia italo-brasiliana.

Valdir Francisco De Nes Chapecó, SC, Brasile

Dall’Italia al Brasile: fotografie che raccontano storie

Aletheia_Santa_Catarina_07Sono state recentemente caricate delle foto dei nostri emigranti bellunesi e veneti che hanno scelto il Brasile come paese di destinazione e di speranza. Immagini che ritraggono i nostri conterranei tra l’800 e il ‘900: delle vere e proprie testimonianze che raccontano storie, tutte diverse fra loro, ma per questo uniche e fondamentali per conoscere la nostra storia come emigrati, ma anche come immigrati.
In questo viaggio fatto di fonti visive, si ripercorrerà in qualche modo alcune fasi di questo grande fenomeno e di come il Brasile si è trasformato in questo arco di tempo grazie ai lavori degli immigrati italiani, soprattutto bellunesi.  Un percorso nel quale si conosceranno varie famiglie stanziate in diverse zone del paese oltreoceano (nel Rio Grande Do Sul, a Caxais Do Sul, a Bahia ecc) alcune delle quali con nomi che rimandano all’Italia (Nova Trento, Nova Vicenza, Nova Belluno chiamata anche Siderópolis, Nova Bassano, Nova Venezia). Tra le tante persone fotografate, troveremo Angela Pellin e Antonio Bigolin ritratti con le loro rispettive famiglie; Vittoria Santa Bortoluzzi con i figli Franco e Nerina in una foto destinata al passaporto nel 1949; Giovanni Budel con la moglie; Giovanni Menegaz e Amalia Zanolla; numerose foto di Italo Pierobon a Macapà negli anni ’60 e a Mato Grosso Do Sul; Martino Da Rin Zanco a Bahia; Matteo De Bona Sartor e Maria Feltrin Cesconetto ad Urussanga nello stato di Santa Catarina; la famiglia di Vincenzo De Prà a Vitória nel 1931; foto di sacerdoti e missionari e un’immagine della famiglia Bof in una tipica casa bellunese a Caxais Do Sul nel 1904, fonte che fa capire quanto i nostri connazionali avessero cercato di mantenere le proprie tradizioni e quanto queste ultime abbiano influenzato paesi così lontani. Viene anche ricordata (non citarla è impossibile) l’importantissima figura di Anna Rech di Pedavena che da sola nel 1876 decise di lasciare il nostro territorio e di trasferirsi in Brasile con i suoi 7 figli. Anna, nonostante fosse analfabeta, grazie alla sua determinazione e intelligenza, diede piano piano origine ad una cittadina che oggi porta proprio il suo nome.
Le fotografie non servono solo a testimoniare i fatti storici: si invita ad osservare gli sguardi e ricordare che dietro alla figura del migrante, dietro agli studi storici, dietro alle date e ai numeri, si nascondono essere umani pieni di sentimenti, di sofferenze, di dolore, di nostalgia, ma anche di tanta soddisfazione per coloro che riuscirono a far fortuna in un altro paese. Perché migrare non è mai facile, specialmente per coloro che partirono per il Brasile, viaggio di tanti dubbi e incertezze, con la consapevolezza che forse non si sarebbe più ripresentata la possibilità di ritornare alla propria terra d’origine.
Alcune foto sono, però, più recenti e rappresentano raduni di discendenti di famiglie bellunesi o venete come la famiglia Sebben a Garibaldi nel 2000, o la famiglia Tormen a Caxais Do Sul nel 2013.
Insomma, un viaggio tra ieri e oggi: tra coloro nati nel territorio bellunese e che sono emigrati e i loro discendenti che a distanza di anni non hanno dimenticato le loro radici e mantengono un legame profondo con la patria natia dei loro nonni o bisnonni. In entrambi i casi si intuisce che preservare le proprie origini diventa necessario e fondamentale per non dimenticare chi siamo.