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Famiglia Ciprian, gelatieri per passione

L’Eis Salon Ciprian

Mi chiamo Attilio Ciprian, ho un fratello gemello di nome Emilio. Siamo nati nel 1945. Ricordo che quando eravamo ragazzini nostra madre e nostro padre partivano per l’estero e quindi noi eravamo accuditi da una zia, sorella di nostro papà. Stavamo con lei fino alle vacanze estive, poi potevamo raggiungere i genitori.
Mio papà era nato a Vienna nel 1908. Vienna era una grande città, che raccoglieva tantissimi emigrati. Molti andavano lì per vendere il gelato artigianale. Anche mio padre faceva il venditore ambulante. Tutte le mattine partiva col carretto e vendeva due sorbettiere di gelato. Prima di cominciare il giro, alle cinque faceva rifornimento di ghiaccio in una grande macelleria. Poi girava tutta la capitale, andando per uffici, scuole, stadi e capitava che vendesse molto di più di quelli che avevano una propria gelateria, perché i clienti lo conoscevano, sapevano l’itinerario che seguiva e l’orario in cui sarebbe passato. Aveva un campanello per richiamarli. Poi tornava e scaricava la salamoia che aveva nel carro.

Più tardi, con un fratello purtroppo morto giovane, aveva deciso di aprire una piccola gelateria in Mariahilfer Strasse, una delle vie più famose di Vienna.

In questa gelateria io e mio fratello ci abbiamo trascorso l’infanzia. Abbiamo infatti frequentato la scuola materna a Vienna. Ricordo che all’epoca, quando avevamo tre o quattro anni, il papà ci metteva uno per sorbettiera. Allora si poteva, oggi non si può più. Poi nostro padre ha deciso di farci rientrare per le elementari e le medie. Io mi sono diplomato all’Iti nel 1967 e sono sempre rimasto in Italia come insegnante tecnico-pratico. Mio fratello, invece, dopo un periodo come meccanico alla Bmw, ha lavorato in Germania. Nel 1956, infatti, nostro padre aveva aperto una gelateria nel Nordreno-Vestfalia. In quella zona la Germania era molto ricca, aveva industrie e miniere e quindi il lavoro non mancava. Purtroppo, però, lui ci ha lasciati a soli 56 anni a causa di un infarto e così mia mamma ed Emilio sono dovuti partire per continuare a mandare avanti la gelateria. Nel 2016 hanno festeggiato i 60 anni di attività.

La storia di Angelo Tabacchi

Angelo Tabacchi e Giorgina Boccingher il giorno del loro matrimonio

Una storia di vita e di emigrazione, bella e dolorosa nello stesso tempo, è quella che ci racconta un ex emigrante, socio della Famiglia emigranti del Cadore: Angelo Tabacchi, classe 1940 di Sottocastello.
«Quelle della mia vita – racconta per introdurre la sua storia – sono piccole e grandi traversie che segnano per sempre la quotidianità di una famiglia.
Finiti gli studi all’Istituto Tecnico di Pieve di Cadore, mi trovai subito faccia a faccia con il lavoro vero in un cantiere quando emigrai nel Cantone Vallese, a Mattmark, dove rimasi dal 1957 al 1959. Su consiglio della mia famiglia, secondo la quale quel lavoro non era adatto a me, rientrai in Italia e iniziai a lavorare nel settore elettrico con la ditta Vascellari di Calalzo. Devo dire che il consiglio fu giusto, perché il nuovo lavoro mi piacque subito, anche grazie alle mansioni che mi vennero assegnate. Nel 1963 lavoravo a Longarone a un compito importante, che riuscii a completare appena venti giorni prima della frana del Monte Toc che travolse il paese. Mi andò bene, visto che lo sto raccontando, contrariamente a molti miei colleghi che furono travolti dalla piena. Per me fu ugualmente un brutto colpo.

Due anni dopo, nel 1965, mi sposai con Giorgina Boccingher. Una bella giornata, in parte rovinata dalla notizia della tragedia di Mattmark, che si portò via molti miei paesani e amici.

Un anno di vita tranquilla, attendendo la nascita del primo figlio, Matteo, venuto al mondo nel novembre 1966, proprio in concomitanza con la grave alluvione che stravolse il Cadore e il Bellunese. Un avvenimento duro e tragico per chi lavorava nel settore elettrico. Seguirono anni di vita tranquilla, rallegrati nell’aprile del 1976 dalla nascita del secondo figlio, Nevio. Una vita normale, con tante gioie in famiglia e in attesa di festeggiare le nozze d’oro, che ricorrevano nel settembre del 2015.
Furono anni felici, nei quali la nostra famiglia visse facendo anche terminare la scuola ai due figli. Purtroppo, all’inizio di quell’anno mia moglie venne colpita da un tumore che si aggravò velocemente, tanto che a malapena riuscì a sopravvivere alla festa e morì il 31 dicembre. Fu un dolore immenso, l’amavo molto. Si era dimostrata veramente una madre di famiglia come avevo desiderato.
Un dolore reso ancora più forte dal fatto che solo due mesi prima, il 28 ottobre, era morto anche mio fratello Giovanni.
Ora vivo nella casa di famiglia a Sottocastello, sempre vicino ai miei figli Matteo e Nevio, che mi stanno dando tante soddisfazioni.

Storia raccolta
da Vittore Doro

Giampiero Selle. Da Tiser di Gosaldo allo stato del New Jersey, Stati Uniti

Giampiero Selle
Giampiero Selle

Giampiero Selle è nato a Tiser di Gosaldo, provincia di Belluno, il 30 aprile del 1932, è deceduto il 16 febbraio 2018 nello stato del New Jersey, Stati Uniti. 
E’ cresciuto a casa con sua madre Bruna, sua nonna Giovanna e la zia Irma, perchè suo padre era emigrato diversi anni prima a New York negli Stati Uniti e abitava nel quartiere chiamato Little Italy. Nel 1949 a soli 17 anni Giampiero a Manhattan ha raggiunto suo padre. Per un po’ di anni ha lavorato in diversi ristoranti della città, diventando un bravo cuoco.
Questo gli è servito qualche anno dopo, quando nel 1952 è stato chiamato a fare il militare per due anni al tempo della guerra in Corea. Nel 1958 è ritornato in Italia e si è fermato per un anno. Ha conosciuto Giuseppina Bedont e si sono sposati in ottobre di quell’anno.
Nel 1959 è andato a vivere nello Stato del New Jersey, ha cambiato lavoro, ha fatto il piastrellista per il resto della sua vita, anche con l’aiuto della moglie. Hanno avuto due figli e una figlia e ora la famiglia si è ingrandita e conta dodici nipoti che gli volevano tanto bene.

Giampiero aveva un fratello che vive a Belluno, sposato con due figlie e due nipoti.

Giampiero ha vissuto una vita molto produttiva, era un artista sul lavoro e un bravissimo cuoco, cucinava spesso per la famiglia, la sua specialità era la torta di formaggio, chiamata cheese cake.

Giuseppina (Josephine) Bedont Selle

La vita di Gemma Coletti, da Salce alla Svizzera

Davanti alla fabbrica di cioccolato “SPOSA”. Gemma è laseconda da sinistra

Mi chiamo Gemma Coletti, provengo da una famiglia di mezzadri che abitava a Salce. Avevo sedici anni quando iniziai a lavorare come cameriera in un albergo a Sappada. Prestai servizio per una stagione invernale e una estiva. Allora Belluno era ancora una città rurale che off riva poche opportunità lavorative. Quando un conoscente riferì a mio padre che in Svizzera cercavano dei dipendenti nella fabbrica di cioccolato SPOSA, lui decise di organizzare il trasferimento per me e mia cugina Mirella, di un anno più giovane. Così, nel settembre del 1954, a diciannove anni, partii per la Svizzera, dove trascorsi in tutto sei anni. Dopo dodici ore di treno per raggiungere la meta io e lamia compagna di viaggio ci sentivamo stanche e spaesate e una volta giunte a destinazione dovevamo percorrere ancora due chilometri a piedi per raggiungere l’abitazione che ci avevano assegnato: una casa fredda, riscaldata solo con una piccola stufa a legna. La fabbrica si trovava a Laupen, una frazione del piccolo paesino di Wald, nella periferia di Zurigo. La nostra casa, che condividevamo con altre ragazze, vi distava pochi metri. L’attività contava cinquanta dipendenti tra i quali solo cinque, comprese me e Mirella, di nazionalità italiana. Si lavora mediamente nove ore al giorno, ma durante i periodi di festività si raggiungevano anche le sedici ore. Ricordo che ad ogni pausa mangiavamo un po’ di cioccolato perché non c’era tempo di andare a comprare altro. Ovviamente, con questa cattiva abitudine mi rovinai i denti per il troppo zucchero e dovetti porre rimedio una volta tornata in Italia. All’interno della fabbrica si lavorava con grandi macchinari che davano forma e confezionavano il cioccolato. Dopo due anni ebbi un incidente sul lavoro nel quale persi i ldito medio della mano destra.

Tuttora ricordo il dolore acuto che provai in mancanza di rimedi analgesici, razionati il più possibile e somministrati solamente quando il dolore era insopportabile.

Tuttavia, i macchinari e il lavoro non ci preoccupavano: la principale difficoltà era la lingua. Riuscire a padroneggiare una lingua tanto diversa dall’italiano (e soprattutto dal nostro amato dialetto) sembrava impossibile. All’inizio non sapevo una paroladi tedesco e non c’era quasi nessuno che parlava la nostra lingua; di conseguenza, la comunicazione era ostacolata. Fortunatamente andavamo molto d’accordo con i responsabili, che erano socievoli e cercavano di coinvolgerci in ogni attività e di insegnarci la lingua, finché riuscimmo finalmente a impararla dopo circa un anno. Anche i colleghi erano molto disponibili e gentili, esclusi alcuni del posto che ci chiamavano “zingare”. Sentivamo nostalgia di casa e quasi ogni settimana scrivevamo alle nostre famiglie, ma, si sa, le corrispondenze di una volta non erano veloci come lo sono ora e le risposte ci arrivavano dopo due settimane. Passati circa tre anni in Svizzera, vennero a visitarci mia mamma e mia zia, la mamma di Mirella. Quel giorno fu una grande festa, accompagnata dalla felicità di ritrovarsi dopo così tanto tempo. Si lavorava molto, ma c’erano anche momenti di svago: i proprietari della fabbrica organizzavano spesso delle gite fuori porta per i dipendenti, era un’iniziativa che rendeva tutti felici. Alcune sere, poi, dopo il lavoro, io e Mirella andavamo a ballare in un edificio a due chilometri dalla nostra casa. Vi si giungeva percorrendo una strada sterrata che ci obbligava a indossare le ciabatte e portare lescarpe da ballo in una borsa perché non si impolverassero. Una volta arrivate a destinazione ci cambiavano. Ogni sabato sera veniva invitata un’orchestra diversa e si conoscevano nuove persone. Dopo cinque anni alla fabbrica SPOSA, mi trasferii da mia cugina Ida a San Gallo. Iniziai a lavorare stirando modelli di vestiti nella sartoria Stark, ma trascorso un anno decisi di tornare in Itali aa causa di un clima sfavorevole alla salute. Una volta rientrata a Belluno mi ripresi subito e ricominciai a lavorare. Si concluse così la mia esperienza all’estero. Mi ricordo la grande preoccupazione iniziale, la paura di non essere accettata in un mondo così diverso da quello a cui ero abituata.Mi ricordo di come queste paure si dissolsero col tempo, grazie a persone comprensive, pazienti e divertenti. Mi ricordo la difficoltà e la soddisfazione di imparare una nuova lingua che ancora oggi riesco a riconoscere.