Archivio di Febbraio, 2021

Padre Giovanni Battista Argenta, primo sacerdote di Ana Rech

foto di padre Giovanni Battista Argenta

Giovanni Battista Argenta nacque a Murle di Pedavena il 23 luglio 1841, figlio primogenito di Giacomo e di Domenica Rento. Egli fu il primo sacerdote ad insediarsi ad Ana Rech, bairro di Caxias do Sul; a quel tempo Ana Rech non era tuttavia ancora una parrocchia, lo sarebbe diventata solo nel 1912, qualche anno dopo il completamento della chiesa parrocchiale intitolata a Nostra Signora di Caravaggio, la quale fu eretta su un terreno donato da Anna Pauletti Rech e alla cui costruzione hanno contribuito, con donazioni e ore di lavoro gratuite, molti nostri coloni bellunesi. Padre Giovanni Argenta fu consacrato sacerdote nel 1866 nella cattedrale di Feltre e fu successivamente couadiutore a Candide, Pedavena, Seren e Sorriva. Partì per il Brasile nel 1887, in compagnia della madre Domenica, delle sorelle Maria Elisabetta (1862), Maria Teresa (1867), Giovanna Vincenza (1865), del fratello diciottenne Antonio e dei nipoti Giovanni, di sette anni e Maria di due. Raggiunsero così Maria Rosa e Vincenzo Argenta, due fratelli di Giovanni Battista che già risiedevano a Caxias da qualche anno. Gli fu affidata la canonica di Ana Rech, dove rimase per circa sette anni, dopodiché fu promosso vicario a Caxias. Vi rimase fino al 1898, quando fu trasferito a San Paolo, dove operò come missionario; qui morì l’8 maggio 1915, vittima di nefrite. 

Fonte: L. Carniel “Il loro destino stava in Brasile” BNM edizioni

Sisto Bassanello, figura rilevante dell’associazionismo bellunese

primo piano di Sisto Bassanello

Nacque a Casamazzagno di Comelico Superiore il 15 gennaio 1930; dopo gli studi e un breve periodo come vigile del fuoco (aveva superato brillantemente l’esame di ammissione al corpo svoltosi a Roma) e poi come boscaiolo, nel 1958 emigrò in Svizzera, raggiunto subito dalla famiglia. Lavorò prima a Wittenbach come capo scuderia dell’allevamento di cavalli del sign. Jacob Ruckstukl e quindi presso il gruppo panificio della Jowa. Naturalmente predisposto per il lavoro sociale, s’impegnò sempre a favore dei propri connazionali. Fu presidente della Famiglia Bellunese di San Gallo per molto tempo, svolgendo un’attività impegnata e ricca di successi. Sin dall’inizio si distinse come uno dei promotori dell’associazionismo e per anni continuò a lavorare e sostenere la comunità italiana, promuovendo innumerevoli iniziative umanitarie e sociali e sostenendo le persone indigenti e ammalate. Per questi meriti fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana e, nel 2006, della “Stella della Solidarietà” dello Stato Italiano. Grato alla Svizzera per le possibilità che aveva dato a sé e alla sua famiglia, tornava spesso tra le sue montagne ove coltivava la sua passione per i funghi. È deceduto a San Gallo l’11 maggio 2010, lasciando la moglie Graziella, i figli Celso e Giovanni, le nuore Edith e Franziska, oltre agli adorati nipoti e pronipoti, persone di cui era fiero e che amava sopra ogni cosa. 

BNM n. 7/2010

Anna Reolon

Anna Reolon era originaria di Visome di Belluno. A sedici anni, nel 1907, se ne andò in Trentino in cerca di lavoro. Erano quelli gli anni di forte emigrazione di donne e ragazzetti – ciode e ciodet – nelle case dei contadini della vicina regione. Anna si stabilì a Fornace, un paesino nei pressi di Trento e trovò lavoro presso la famiglia Lorenzi; in quel periodo andava forte l’allevamento dei bachi da seta. Anna Reolon sposò il figlio del datore di lavoro e mise al mondo ben diciotto figli, dei quali quattordici viventi (nel 1979): un primato invidiabile e per questo nel 1969 l’hanno proclamata “Mamma dell’anno”. Ma la sua storia non finisce qui, perché la sua vita fu sempre dura. Nel 1915 il marito partì per il fronte lasciandola con sette figli ed un altro stava per nascere. Nella seconda guerra mondiale vide partire ben sette figli; nel 1959 morì il marito, invalido di guerra, che aveva lavorato nei campi e in miniera. Anna Reolon è sempre vissuta nel clima dell’emigrazione, i suoi figli si sono sparsi un po’ in tutta Italia e due si furono trasferiti all’estero. Si può dire che nella vita di Anna c’è sempre stato spazio per il lavoro e la famiglia, i figli da allevare con sacrifici e sofferenze. A chi le chiedeva come è sempre riuscita ad andare avanti rispondeva che deve ringraziare il Signore per averle sempre dato una buona salute, sia a lei che ai figli. E così Anna Reolon da Visome a settantanove anni ha saputo ricordare agli italiani la fierezza e la forza delle donne e mamme bellunesi: un esempio che non può non aver commosso e riempito d’orgoglio i bellunesi in patria e all’estero. 

Fonte: BNM n. 5/1970

Angelo Antoniol

Nacque a Lamon il 2 novembre 1900. Appena sposato ad una giovane del luogo, Anna Mastel, lascia il paese natale nel 1923 ed emigra nel Belgio, bacino di Liegi, seguendo il destino di tanti a cui la terra era stata avara. La vita della sua famiglia, accresciuta di sei figli è una continua lotta sia per le difficoltà ambientali che per i tempi difficili che corrono; ma egli, uomo dalla volontà ferrea, con una fede in Dio più forte delle montagne che aveva lasciato, onora la sua terra e quella ospitale con il duro lavoro di minatore. La fede negli ideali di famiglia, Dio e Patria, lo vede lavorare fianco a fianco coll’allora primo missionario italiano in Belgio, il defunto Piumatti per la realizzazione della prima Missione Cattolica Italiana in Belgio per dare agli emigranti italiani un luogo in cui riunirsi negli anni trenta-trentacinque, sormontando le difficoltà d’ambiente e qualche volta anche certe ostilità per l’insorgere di questa missione guardata dalla gente del luogo come un’avventura. Il “savoir faire” e la pazienza però di questi due pionieri, è il caso di dirlo, e il coraggio acquistano col tempo il benestare tanto della parte civile e religiosa belga. La guerra non smorza in Angelo Antoniol lo spirito creativo e combattivo, continua nel lavoro di apostolato perché la missione che Dio gli aveva affidato non scompaia. Lavora con il signor Vincenzo Bombardieri alla fondazione dell’Azione Cattolica nel 1947. Gli emigranti italiani trovano in lui il consigliere, l’aiuto, le suore delle Poverelle chiamate alla missione per dare assistenza agli emigranti non bussano mai invano alla sua porta: povere tra i poveri. Gli è compagna fedele la moglie Anna che nei momenti difficili lo sostiene con amore e dedizione. L’attaccamento agli ideali della famiglia, del lavoro della chiesa gli merita la Croce di San Silvestro Papa benignamente concessagli dal Santo Padre e che Monsignor Forte gli rimette in una riunione straordinaria a cui partecipano amici, conoscenti e tutte le Organizzazioni Cattoliche. Minato dall’inesorabile male della mina, continua nel suo cammino anche sofferente  e lo si continua a vedere nelle varie riunioni a carattere religioso. Morì il 27 novembre 1968 a Seraing, Liegi.

Fonte: BNM 1970

Primo Capraro, fondatore di Bariloche

foto di Primo  Capraro con la moglie Matilde e la figlia Luisa.
Primo Capraro con la moglie Matilde e la figlia Luisa.

Questa è la storia di Primo Capraro, che all’inizio del secolo partì da Castion di Belluno per le Americhe con una semplice valigia per “far fortuna”. Egli nacque nel 1875. Giovane studioso, tenace nei propositi e con una grande ambizione, lavorò in Austria, in Svizzera e in Germania presso imprese di costruzioni di strade, di ponti, di dighe, finché i problemi in discussione sulla stampa per l’avvenire del Messico e della Florida, col miraggio della ricerca dell’oro, non richiamò la sua attenzione. Concluso un contratto per due anni con la ditta Mother e Sous Ltd di Londra che cercava mano d’opera per le miniere di Pachusa nel Messico, partì come capo di una squadra di operai con una semplice valigia e tante speranze. Il viaggio fu un’avventura! Giunti a Pachusa, quando credono di essere alla mèta, il gerente della Compagnia delle miniere Mr Conrad Wilde non vuol riconoscere le autorità londinesi che hanno rilasciato il contratto e rifiuta l’ingaggio. Capraro non si perde d’animo e convince i compagni a proseguire per le miniere di Potosì dove un’altra delusione li aspetta. In quelle miniere non si lavora più. Nella squadra c’è chi pensa la ritorno, ma Capraro tiene duro e riesce a persuadere i compagni ad andare più oltre e tentare la via Valparaiso – Buenos Aires. Giunti a Santiago, inopinatamente, gli avvenimenti precipitano e la squadra si sbanda. Capraro, con qualcun altro, decide di restare in quella città e subito si dà alla ricerca di una soluzione prendendo in considerazione il problema della zona del Nahuel Huapi e della Patagonia, la cui valorizzazione è validamente sostenuta da Perito Moreno. La regione è incantevole per i suoi laghi, le sue montagne, i suoi boschi. Visita Porto Blest, Los Cantaros, Isola Vittoria, Baia Lopez, i laghi Moreno e Mascardi e, appreso che nei torrenti che si gettano nel Correntoso si può trovare l’oro, ne tenta la ricerca. L’avventura fallisce! Disponendo di mezzi che gli consentono una certa indipendenza, si dedica al taglio di boschi per la produzione di legname che è ricercato. È la volta buona: è la strada che lo condurrà al successo. A Mendoza risiede suo fratello Secondo e con la sua collaborazione conclude con l’ing. Princeton, direttore di una impresa proprietaria di grandi fattorie a Leleque, un contratto per la fornitura del legname per la costruzione di baracconi, recinti per animali ed altre opere necessarie per tre grandi fattorie. In seguito, avendo ottenuto con poco denaro, dal Governo Argentino 625 ettari di terreno con grandi boschi, decide di stabilirsi nella tranquilla insenatura di Correntoso che ha alle spalle il monte Belvedere, di fronte il lago e in fondo la Baia Ultima Esperanza. La ricchezza del suolo e la bellezza dei paesaggi sono tali da offrire tutte le possibilità per la creazione di una zona turistica. Espone agli amici i suoi progetti, ma non è preso sul serio, tante sono le difficoltà da superare. Capraro, forte del suo spirito di iniziativa e della sua giovinezza, vince ogni perplessità e, trovati dei capitali, getta la base. Siamo nel 1903. A Baden, in Germania, ha la fidanzata con la quale è sempre stato in corrispondenza e decide di sposarsi. Celebra il matrimonio a Buenos Aires dove egli si reca ad attendere la sposa e, nella capitale ha modo di contrarre amicizie con personalità della diplomazia, ingegneri, ed ottiene di essere presentato al ministro dell’Agricoltura e al direttore degli Uffici di immigrazione. Celebrato il matrimonio in forma assai semplice e raggiunto in treno General Roca, il viaggio di nozze prosegue su di un carro diretto a Nahuel Huapi. L’equipaggiamento ha del curioso: la sposa porta con sé ben quindici bauli, lo sposo una semplice valigia come quando emigrò. Stabilito quale dovrà essere il quartier generale delle sue attività, il Capraro inizia il reclutamento della mano d’opera. Partirà così da Genova un numeroso gruppo di artigiani di Castion e di Belluno insieme alle loro famiglie e la carovana dei futuri abitanti di Bariloche e della nascente San Carlos offrirà al suo arrivo uno spettacolo insolito perché è un piccolo esercito di pacifici conquistatori organizzati e disciplinati verso un avvenire di lavoro e di fortuna, grazie alle favorevoli disposizioni che il Capraro, durante la sua permanenza a Buenos Aires, ha saputo ottenere dal Ministero dell’Agricoltura. I progetti, con un lavoro che non conosce soste, cominciano a realizzarsi. Sorgono le prime case, poi industrie con una centrale elettrica, segherie, falegnamerie, officine meccaniche. Con l’andare del tempo il Capraro ha modo di sviluppare le sue attività. Diventa grossista di frutta della regione; importa ed esporta bestiame. È Agente Ford e dell’YPF (yacimentos petroliferos fiscales), Corrispondente della Banca d’Italia. Non trascura la politica e collabora ai giornali argentini: “La Nacion” e “La Patria degli Italiani”. Sostenuto dalla stampa, continua la valorizzazione della zona e San Carlos va progredendo in modo tale da consentire agli emigrati un sempre migliore tenore di vita. Il Governo gli concede la costruzione della Succursale del Banco di Napoli e poiché non trascura l’istruzione della popolazione riesce a far sorgere una scuola tutta in pietra su suo progetto. Giunge così, dopo tanti anni di ininterrotto lavoro, il momento di fare un bilancio non solo dell’attivo e del passivo, ma anche un esame dell’organismo del Capraro che è andato logorandosi ma, Primo non è un uomo da arrendersi perché vuole sempre restare sulla breccia. Fu l’inizio di un dramma ignorato sia dalla famiglia che dagli amici. Quando la massicciata che dovrà collegare Nahuel Huapi alle linee di comunicazione della capitale e assicurare l’arrivo dei treni in Bariloche, massicciata che gli costò tanti sacrifici finanziari e battaglie, non è più una utopia, ma una realtà, il destino beffardo gli giocherà un brutto tiro. L’uomo che da solo, dal nulla, lottando in tempi difficili durante un trentennio non avrà la soddisfazione di cogliere il premio di tanto lavoro. La mattina del 4 ottobre 1932, nel suo studio, Capraro fu trovato accasciato sul tavolo da lavoro. Il popolo che lo amava riconobbe in lui un pioniere e, sul declivio della piazza “Espedicionarios del Deserto” fece sorgere un monumento in bronzo perché sia ricordato alle generazioni. Al suo nome è stata intitolata una delle più suggestive strade di Bariloche. San Carlos  è oggi un centro turistico, una Svizzera argentina.

Fonte: BNM 1970