Marino Scopel. I miei vent’anni di emigrazione in Svizzera

Compagni di lavoro nel 1966. Marino è il primo in ginocchio da destra
Compagni di lavoro nel 1966. Marino è il primo in ginocchio da destra

Sono partito emigrante da Seren del Grappa all’età di 20 anni, diretto al Cantone di Zurigo e precisamente a Wadenswil, una bella cittadina, dove sono stato occupato in una grande impresa edilizia i cui titolari erano di origine italiana, di Como. Ero partito da Feltre salendo per la prima volta su un treno che allora era ancora condotto da locomotiva a carbone. A Milano mi attendeva uno zio che già da anni lavorava in Svizzera e che mi accompagnò.

Alla frontiera di Chiasso sono sceso, con una moltitudine di altri emigranti come me, per la visita sanitaria e le pratiche doganali. Cosa indispensabile alla frontiera era il permesso di soggiorno ed il contratto di lavoro che io avevo ottenuto tramite lo zio, che tuttora si trova, pensionato, in Svizzera. Fatta la visita medica abbiamo preso un altro treno che ci portò a Zurigo e quindi un altro che mi condusse a Wadenswil dove arrivai alle nove di sera, sempre accompagnato dal caro zio, presso la sede della ditta, una grande baracca di legno.

Io, giovane di Seren che fino ad allora avevo visto solo i prati ed i boschi della mia valle, ero molto timido e preoccupato. Lo zio mi presentò alle persone che erano in baracca che per fortuna erano tutti italiani. Tutti mi rassicuravano: “Vedrai che con noi ti troverai bene”. E così è stato.

L’indomani, puntuale, fui nel posto stabilito; arrivò il baufir, cioè il responsabile dei cantieri della ditta; anch’ egli italiano. Mi presentai a lui e mi chiese se ero muratore o solo manovale; risposi che ero muratore, anche se a mala pena mi arrangiavo avendo frequentato la scuola professionale di Fonzaso. Il baufir ordinò di condurmi ad un cantiere che distava da lì 1,5 Km. Mi portai dietro una piccola valigia di cartone che conteneva pochi attrezzi da muratore che mi ero portato da Seren del Grappa, acquistati con pochi risparmi alla cooperativa del paese. Giunti al cantiere, il magazziniere mi indicò al capo degli operai; preoccupato, perché non conoscevo il tedesco, fui invece sollevato quando vidi che era un italiano anche lui. Alla stessa domanda: ‘muratore o manovale?’ “Muratore”, risposi e mi disse di andare negli scantinati del fabbricato in costruzione a dare l’intonaco alle pareti. Pensai subito che ero fortunato perché fare intonaci era un lavoro che sapevo fare abbastanza bene. Il primo giorno di lavoro è stato abbastanza duro; alla sera non ricordavo nemmeno la strada per ritornare a casa.

La nostra casa era la ‘baracca’, che non era altro che il magazzino della ditta provvista di un certo numero di camerate, una grande cucina ed un salone per mangiare insieme, oltre a delle latrine con doccia. Eravamo circa trenta, disposti in due o tre per camera. Alla sera due di noi cucinavano per tutti secondo turni settimanali con una cucina a legna. Al mattino i più anziani davano la sveglia, una persona faceva bollire una pentola d’acqua, così ognuno di noi poteva farsi il caffé solubile. Ci lavavamo il viso all’aperto al rubinetto del cortile in qualsiasi stagione dell’anno, anche con -10° C.
Però eravamo contenti lo stesso. Ogni 15 giorni, puntuale, veniva consegnata la busta paga.

Il nostro padrone sapeva ricompensare il lavoro dei più meritevoli con frequenti aumenti che avvenivano anche per nostra richiesta.
Ho vissuto in baracca quattro anni. Nel frattempo conobbi una ragazza pugliese, di Ugento (Lecce), che abitava a Wadenswil con la sorella. Con tanta fatica ho trovato un appartamentino in affitto e così ci siamo sposati il 7 ottobre del 1971 a Ugento e dopo qualche settimana siamo tornati in Svizzera. Il grosso problema era che non potevo portare con me la moglie avendo un permesso stagionale; come tanti altri nella mia situazione l’ho fatta venire clandestinamente. Per questo motivo, quando uscivo la mattina, chiudevo la porta a chiave e tenevo le imposte chiuse e lei se ne stava chiusa in casa. Fortunatamente, dopo pochi mesi, sono maturati gli anni necessari per ottenere il permesso annuale e si poté vivere più tranquillamente, perché si poteva tenere con sé la moglie e cercare anche per lei il lavoro.

Dopo un anno di matrimonio nacque il primo figlio e dopo tre il secondo. Nel frattempo mia moglie trovò lavoro. Cominciava così il problema della custodia dei bambini. La sua fabbrica per fortuna aveva un asilo nido con scuola materna; ogni mattina a passava un pulmino della ditta a prelevare da casa mamme operaie e bambini ed alla sera li riportava a casa.

La vita di emigrazione in Svizzera ci soddisfaceva entrambi, si lavorava, ma si guadagnava bene. Io avevo imparato bene il mestiere di muratore e non avevo più alcuna paura, anzi mi venivano assegnate alcune responsabilità da capocantiere. Si viveva veramente bene a Wadenswil, una cittadina in riva al lago di Zurigo. Ogni domenica facevamo delle passeggiate in riva al lago con i bambini, che si divertivano a portare il pane alle anatre ed ai cigni. Il lago e la stazione ferroviaria erano un luogo di incontro degli Italiani, dove si conversava e poi si andava al ristorante a bere una birra in compagnia.

I figli crescevano e arrivò il problema della scuola. Noi, volendo preservare l’Italianità della famiglia e con l’intendimento di dover un giorno tornare definitivamente in patria, nel 1978, a malincuore, lasciammo il primogenito in Italia con i nonni paterni a Seren del Grappa, dove iniziò le elementari. Nel 1980, con l’età scolastica del secondo figlio, decidemmo di tornare per sempre (pensavamo) in Italia. Ma, dopo giusto un anno, si tornò tutti in Svizzera, perché a Seren le cose non andarono come si sperava, e fummo riassunti dalle stesse ditte, senza alcun problema. Nel 1984 nacque il terzo figlio; in questi anni si viveva ancora meglio: erano lontani i tempi del freddo monolocale, ora si stava in un bell’appartamento confortevole e con il riscaldamento.

Nel 1986 la decisione di tornare in Italia fu definitiva, perché il figlio grande voleva continuare a studiare alle superiori. Furono ancora decisioni sofferte: restare ancora in Svizzera o andare in Italia? Questa volta abbiamo detto Italia per sempre. Questa volta ci andò bene, la nostra Italia fu più generosa con noi perchè ci dette a un lavoro e quindi la possibilità di completare la casa, far studiare i figli fino all’Università e raggiungere la meritata pensione.

Gli anni di emigrazione in Svizzera non potremo mai dimenticarli. Sono stati anni di sacrifici, ma molto importanti per tutta la nostra famiglia anche per gli anni a venire. Ho avuto il grande dono di aver trovato lì mia moglie (donna del profondo Sud, che simpaticamente chiamo la mia terrona), la madre dei miei tre figli, nonna dei miei cinque nipoti; ormai siamo insieme da 42 anni.

Ancora oggi, ogni tanto torno a Wadenswil, ed è come un tuffo nel passato; lì mi soffermo in riva al lago, dove un tempo la domenica, tenevo per mano i miei bambini.

Marino Scopel

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