Non è mai troppo tardi

Narciso Cassol
Narciso Cassol

Forse, non è mai troppo tardi per raccontare la storia di un ragazzo che a 13 anni, nel 1958, è emigrato in Svizzera.

Erano anni molto difficili, dove a casa non era più possibile vivere, le condizioni economiche erano disastrose, non c’era lavoro e già nel 1956 mio padre emigrò in Francia.Mia madre non avendo la possibilità di mandare avanti da sola la piccola proprietà, nello stesso anno decise di andare in Svizzera.

Io allora fui collocato presso una famiglia di Cesiomaggiore (dalla Norina e Vettor De Toffoli), dove ora c’è l’albergo Posta.

Il 12 settembre 1958 partii con mia madre per la Svizzera, destinazione Zurigo, presso la famiglia dove lavorava come domestica.

I genitori di Narciso Cassol
I genitori di Narciso Cassol

Prendemmo il treno a Feltre, era la prima volta che salivo su un treno. Arrivati a Padova si doveva cambiare per prendere la coincidenza per Zurigo.

Mi ricordo che mentre aspettavamo, vidi passare un treno merci che mi sembrò così lungo come non avesse mai fine e mi mise anche un po’ di paura.

Arrivati a Chiasso ci fecero scendere e fummo portati in uno stanzone dove c’era molta altra gente che aspettava. Io chiesi perché dovevamo stare lì e mia madre rispose che dovevano farmi la visita di controllo per evitare che persone ammalate di tubercolosi o altre infezioni entrassero in Svizzera.

Arrivati a Zurigo in tarda notte, prendemmo il tram che ci portò vicino a casa, nella zona quartiere 6 nelle vicinanze del Rigiblick, da dove si scorge un bellissimo panorama di tutta la città di Zurigo e del lago.

Quando si aprì la porta la prima cosa che mi venne incontro scodinzolando era un cagnetto, un bassotto di nome Strolch (tradotto, vuol dire vagabondo) e ci fu subito tra noi una grande amicizia.

Inizialmente era anche l’unico essere oltre a mia madre che riuscivo a capire.

Avevo un permesso di soggiorno per tre mesi e per non stare sempre in casa o girovagare con Strolch, i proprietari della casa dove abitavo – lui un ingegnere tedesco di Dresda fuggito nel 1939 in Svizzera, lei una signora svizzera molto dolce con un figlio di nome Reto cinque anni più vecchio di me che poi fu anche mio padrino di cresima, decisero di mandarmi presso una loro azienda a Schlieren, dall’altra parte della città dove venivano fatti dei lavori in ferro battuto.

L’unico operaio italiano che lavorava presso questa fabbrica era un pugliese di nome Savino, ricordo che ebbi più difficoltà a capirmi con lui che con gli altri operai svizzeri che in qualche modo si adoperavano ad insegnarmi la loro lingua.

Per arrivare a Schlieren dovevo prendere due diversi tram e un filobus, quindi niente di straordinario. Senonchè un giorno, a causa di un cambio d’itinerario del filobus, scesi molto prima della fermata giusta (Paradeplatz) e mi trovai spaesato e impaurito per non sapere più dove andare. Per fortuna non mi mossi dal posto dove ero sceso e non vedendomi arrivare all’azienda, chiamarono a casa, si allertò la polizia e dopo un paio d’ore mi trovarono. Da quel momento capii che era arrivato il tempo di cominciare sul serio a imparare il tedesco.

Intanto i mesi passavano e il mio permesso di soggiorno si avvicinava alla scadenza. Fu solo grazie alle conoscenze personali del sig. Hermann Kirschke e di sua moglie sig.ra Elisabeth Minet, che riuscii ad avere presso la Fremdenpolizei una nuova proroga di un anno a patto che frequentassi una scuola svizzera.

Inizialmente fu un girovagare da una scuola all’altra perché non parlavo tedesco e non c’erano insegnanti con conoscenza della lingua italiana. Finalmente ebbi fortuna presso la scuola Letten, (vicino a Limmat Platz), dove un insegnante di nome Bernhard che aveva un po’ di dimestichezza con la lingua italiana, mi prese nella sua classe di prima media (Sekundarschule), unico italiano su 650 studenti dell’intera scuola.

In casa si parlavano due lingue, con il marito solo il Hochdeutsch, la lingua di Göthe, con la moglie e il figlio lo schwitzerdütsch, cioè il dialetto.
Dai tre mesi di previsto soggiorno, ritornai in Italia per la prima volta solo dopo quattro anni, ormai adolescente. Frequentavo già le scuole professionali di Arte e Mestieri della città di Zurigo dove feci la maturità con successo e sicuramente non mi perdevo più anche se sbagliavo fermata!
Avrei molte altre cose da raccontare, ma voglio solo dire, che dei tre mesi previsti, rimasi in Svizzera per altri 22 anni consecutivi.

Il rientro in Italia, per me fu una vera emigrazione! Qui tutto era diverso e sicuramente ho avuto notevoli difficoltà ad adattarmi. Dopo il mio rientro ho continuato e lo faccio ancora, a girare frequentemente il mondo per lavoro, ma solo per brevi periodi di qualche settimana, al massimo qualche mese.

Però una cosa mi è rimasta nel cuore, il ricordo di quegli anni passati in Svizzera e delle opportunità che mi sono state date. Perciò non è mai troppo tardi per dire grazie ai signori Kirschke che porto sempre nel cuore come due secondi genitori, grazie al maestro Bernhard che ebbe tanta pazienza e senza il cui impegno forse le cose sarebbero andate diversamente. Non è mai troppo tardi per ricordare e dire grazie a tutte quelle persone che mi sono state vicine e che solo da adulti si riesce a capire e apprezzare tutto quello che hanno fatto per me.

Quello che non scorderò mai e che mi è rimasto come insegnamento, è che nell’emigrazione la vera integrazione sta nel prendere qualcosa dagli altri e dare qualcosa di noi stessi, con modestia e senza pregiudizi.

Solo quando si accettano gli usi e i costumi del Paese dove si è ospitati e nello stesso tempo si trasmettono le qualità del nostro modo di pensare e di vivere, si può crescere in simbiosi con la popolazione ospitante e si creano anche le condizioni per un vivere insieme in armonia ed uguaglianza.
Uguaglianza:una parola importante, soprattutto oggi che viviamo in una Europa Unita di vari Stati, parola che deve avere per tutti un significato profondo che è la base per un vivere comunitario inteso al bene comune di tutti i popoli.

Non è mai troppo tardi per dire grazie anche a voi per il tempo che avete dedicato a leggere questa storia di un ragazzo che ormai non lo è più, ma che porta sempre nel cuore dei bellissimi ricordi di tante persone.

Narciso Cassol

N.B. Le indicazioni sono solo per quelle persone che conoscono la città di Zurigo.

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