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È uscito il nostro notiziario

La copertina del numero di 2 di marzo 2021 della rivista del Centro Studi sulle Migrazioni "Aletheia"

Siamo arrivati al secondo numero del notiziario del Centro Studi sulle Migrazioni “Aletheia”. Grazie alla collaborazione con Antonio Cortese, ex Direttore Centrale dell’Istat – è stato docente presso la Facoltà di Economia
e Commercio di Urbino e presso la Facoltà di Economia di Roma Tre – avrete modo di venire a conoscenza dell’emigrazione veneta in tre paesi del mondo ben definiti: Ploštine, Chipilo e Grigny. Daremo inoltre spazio
a una serie di testimonianze di emigranti bellunesi di ieri e di oggi, tratteremo anche di numeri e degli Agenti di emigrazione. Buona lettura.

8 marzo 2021, Festa della donna

10 storie di emigrazione femminile

Pubblichiamo in questa occasione dieci storie di donne bellunesi che hanno conosciuto l’emigrazione: chi quella temporanea e chi quella definitiva, qualcuna muovendosi entro i confini nazionali altre invece oltre, chi a seguito del marito e dei figli, chi in prima persona. Ognuna di loro è unica, come uniche sono la dedizione di queste donne per la famiglia e il lavoro, la determinazione e la forza nel sopportare le avversità e le sofferenze della vita. 


1. Maria Corso De Nando 

Maria Corso è nata a Pian del Vescovo di Lamon il 14 marzo 1905. Ancora giovane intraprese la strada dell’emigrazione recandosi per lavoro a Milano, poi in Germania e ancora in Svizzera, a Bellinzona. Nel 1940 sposò Romano De Nando di Arsiè ed insieme si spostarono nel Canton Uri. Nel 1942 nacque la loro figlia Marie-Louise. Due anni più tardi una fatale disgrazia le portò via il marito. Si trasferì quasi subito nel Cantone di Schwyz e nel 1950 ritornò a Erstfeld. Ha sempre lavorato come cuoca nelle mense per operai, soprattutto italiani. Rimasta sempre in Svizzera, è deceduta a Schattdorf il 12 agosto 1993.


2. Maria Flora Viezzer Dall’O 

Maria Flora Viezzer nacque a Peron di Sedico nel 1893. Nel 1914 sposò a Libano Antonio Dall’O’, del quale seguì sempre il destino; egli era dipendente della ditta Domenichelli. Nella sua vita Maria ebbe modo di dedicarsi in modo esemplare non solo agli otto figli (una dei quali religiosa in Sud America), ma anche agli altri, soprattutto ai poveri e agli ammalati. Nel 1927 si trasferì con la famiglia a Padova, dove dedicò il suo tempo libero al terzo ordine francescano con l’assistenza ai meno abbienti e ai sofferenti. Trasferitasi successivamente a Verona, svolse le stesse opere caritatevoli a servizio della parrocchia di San Pancrazio in Porto. Fu donna attiva e caritatevole anche presso l’Opera “Dame della Carità”, di cui era presidente, sempre in forma discreta e tempestiva. Morì l’8 novembre 1973 a Verona. 


3. Monica Fontana

foto si Maria Fontana con il suo negozio ambulante sulle spalle

Monica Fontana è stata una donna venditrice ambulante, una cròmera. Il suo viaggio per le vie della Svizzera è cominciato subito dopo l’ultima guerra mondiale. Percorse sei Cantoni e poi si stabilì in quello di Sciaffusa dove viveva con un nipote. Di là Monica pensava a suo marito, malato, e alla figlia che risiedevano a Belluno e regolarmente mandava loro i frutti delle sue fatiche. Era una camminatrice Monica, sempre portando sulle spalle il suo negozio volante tra i casolari sparsi. E con la merce portava il sorriso e la bontà degli italiani. Si ritirò solo quando la salute non le permise di continuare: chiuso con il commercio ambulante, decise di rimpatriare e di raggiungere i suoi cari per godersi insieme a loro le sue belle montagne. Molti hanno rimpianto mamma Monica e la sua bella figura di donna modesta, che va elogiata per la sua perseveranza e abnegazione. 


4. Maddalena Selle

Maddalena Selle era originaria di Tiser di Gosaldo. Fu nominata Cavaliere di Vittorio Veneto, una delle pochissime donne che hanno avuto questa onorificenza, una donna che la Grande Guerra non l’ha solo vissuta ma anche combattuta in qualità di portamunizioni: a soli 16-17 anni, portava nella sua gerla l’occorrente per far saltare le rocce teatro di guerra. Dopo il conflitto seguì il destino di molte donne agordine ed emigrò nella zona di Milano, rimanendovi per tanti decenni e dove si è formata una famiglia. Fu socia della Famiglia Bellunese di Milano, divenendo presto la sua beniamina. 


5. Angelina Zampieri

foto di Angelina Zampieri

Angelina Zampieri nacque il 28 dicembre 1898 a Visome di Belluno, figlia di Giuseppe e Teresa Trevisson, una coppia originaria di Polentes di Limana. Angelina apparteneva ad una famiglia povera e quando aveva solo sei anni lasciò famiglia, giochi ed amicizie, per andare in Francia, ospite di parenti. Qui rimase fino ai dodici anni quando era grande abbastanza per dare una mano nei lavori di casa e tornò in famiglia; dovette però rifare ben presto la sua povera valigia e ritornare in casa d’altri, stavolta in condizione di piccola serva, una cioda, come i trentini definivano le donne bellunesi. A Pove di Trento divenne domestica del falegname settantenne Bartolo Maggioli, l’uomo che si rivelò il suo aguzzino e che non tardò a minacciare la ragazza per soddisfare i suoi istinti maschili. Lei lo respinse sempre con decisione e riuscì anche a farsi cambiare di casa, ma lui decise di ucciderla. Lo fece con quindici coltellate sul pianerottolo della casa in cui la giovane prestava servizio. Era il 24 luglio 1913. Migliaia di concittadini presero parte al suo funerale; la salma fu inizialmente tumulata presso il cimitero di Trento, poi, nel 1972, i poveri resti furono portati a Limana. Da molti è considerata la Maria Goretti del Bellunese, dato che prima di morire perdonò il suo assassino chiedendo a Dio che lo accogliesse in Cielo. 


6. Luigia Angela Sacchet

Luigia Angela Sacchet nacque a Cesiomaggiore l’8 gennaio 1899. Quando il marito dovette partire per l’America, emigrò da sola per Biella per poter mantenere i suoi figli, provvisoriamente affidati ai genitori. Era il 1932. Trovò lavoro come balia. Ebbe cinque figli, due dei quali morirono giovani, seguiti dal marito, mai più rivisto. Si riunì con i figli a Biella dove visse e trascorse gli ultimi anni circondata dai suoi cari. Aveva una straordinaria forza d’animo che la sorreggeva nei momenti di dolore e nelle fatiche. Aveva sempre un sorriso e affetto per tutti. Morì a Biella il 23 settembre 1987, andando incontro alla morte con pace e serenità. 


7. Elena Boschet De Vallier

Foto di Elena Boschet che tiene in braccio la bisnipote Elena
Elena Boschet con la bisnipote, sua omonima

Elena Boschet è originaria di Celarda di Feltre; dopo due anni di lavoro presso l’ospedale cittadino, all’età di diciotto anni decise di emigrare in Svizzera, dove conobbe quasi subito Adelio De Vallier, originario di Laste di Rocca Pietore, emigrante nella zona di Neuchatel come operaio meccanico specializzato. Era il 1947. Si sposarono dopo un anno e dopo due ebbero la loro prima figlia, Diana, a cui fece presto compagnia il secondogenito, Walter. Dopo quattro anni in terra elvetica, Adelio decise di andarsene dall’Europa e raggiungere il Sudafrica, dove ottenne quasi subito un contratto di lavoro. Elena però era incinta e quindi decise di partorire prima il terzo figlio, Gianni, e di affrontare poi il viaggio da sola, senza il marito. Nel settembre 1958 Elena si imbarcò ad Amsterdam sulla nave Duncan con i tre figli per raggiungere il marito a Vanderbijlpark, città situata nella zona nordorientale del Paese. Qui si sistemarono inizialmente in una casetta in affitto ed Elena ricorda la felicità di vivere in un clima caldo, dove i bambini potevano giocare all’aria aperta per buona parte dell’anno. Dopo alcuni anni si trasferirono a Johannesburg, dove nacque l’ultimo figlio, Patrick. Per un certo periodo, quando i ragazzi cominciarono a frequentare l’università, Elena lavorò in un supermercato, dove era a capo del personale, costituito perlopiù da uomini e donne di colore, dai quali ha sempre avuto rispetto e collaborazione. Dopo più di quarant’anni di Sudafrica, nel 1999 Adelio e Elena decisero di tornare definitivamente a Laste, pur con l’intenzione di ritornare di tanto in tanto a Johannesburg, dove risiedono Walter e Gianni con le loro famiglie; Diana invece si è stabilita a Londra e Patrick a Brisbane, Australia. Purtroppo però, poco dopo il ritorno, Adelio si ammalò di un male incurabile che lo condusse alla morte. Tuttora Elena è in Sudafrica e la pandemia non le consente il rientro nel Bellunese; si gode l’ultima bisnipote, che porta il suo stesso nome. Dolcezza, umiltà e grande spirito di adattamento sono tratti caratteristici di questa donna straordinaria, un’altra espressione di laboriosità e dedizione alla famiglia, tipica della nostra emigrazione. 


8. Caterina De Martin Rosso

Caterina De Martin Martinon era originaria di Sedico, dove era nata nel 1848. Rimasta vedova del marito Giovanni Rosso, dopo pochi mesi lasciò il suo paese e la povertà che vi regnava e con i sette figli, tutti minorenni, emigrò verso il Brasile. Era il 20 dicembre 1888. Il figlio più piccolo aveva due anni, il maggiore venti ed aveva con sé la moglie diciassettenne, originaria di Barp. Si stabilirono nella zona di Criciuma, nello Stato di Santa Caterina, che raggiunsero da Laguna grazie al treno con uno dei primi viaggi sulla neonata linea ferroviaria. Ottenne inizialmente un unico lotto per sé e per i figli: qui costruirono la loro casa e vissero coltivando la terra. A Morro Albino, Caterina morì nel 1920.


9. Maria Cason Tonet

foto di Maria Cason, forse ventenne

Maria Cason nacque a Pren di Feltre il 14 settembre 1916, decima figlia di Giuseppe e Antonietta Buttol, i quali si erano conosciuti in Svizzera a fine Ottocento, entrambi emigranti. Giuseppe e Antonietta vissero per un certo periodo a Zurigo, dove ebbero i loro primi quattro figli, poi rientrarono a Pren; tra un figlio e l’altro Giuseppe continuò ad emigrare, dapprima in Svizzera e in Francia come muratore e poi nell’Agro Pontino per le bonifiche dell’epoca fascista. Anche i figli conobbero presto l’emigrazione, chi in “Tirol”, come si diceva allora, ciodet presso i contadini trentini, chi nell’edilizia, chi a servizio di qualche famiglia facoltosa della pianura. Maria partì a diciassette anni e la sua prima destinazione fu Milano, a servizio presso una famiglia del centro città. Il lavoro era duro, cominciava presto il mattino e finiva tardi la sera; solo la domenica pomeriggio aveva qualche ora libera. Teneva qualche soldo per sé, il resto lo spediva a casa. Di solito faceva il contratti di un anno o un anno e mezzo, poi finalmente faceva ritorno a casa per riabbracciare genitori e fratelli, quelli che c’erano. Si fermava un mese circa, poi ripartiva, con un altro contratto in mano. Anche se non si trovava bene come lavoro, cercava di tener duro almeno un anno, per timore che si dicesse che non aveva voglia di lavorare. Anche a distanza di tanti anni, Maria ricordava tutti i nomi dei datori di lavoro, dei quali conservava un bel ricordo. Tutte le sue amiche del paese sono partite per andare a servizio, molte sono ritornate, qualcuna ha trovato marito là. Nel ’49 si è sposata con Antonio Tonet. Dopo qualche anno a Pren, ha seguito il marito che emigrava come muratore stagionale in Svizzera; inizialmente lavorò come cameriera in un ristorante, poi prestò servizio presso una famiglia di Zurigo, occupandosi della casa e dei due figli della coppia. Nel 1961 rientrarono definitivamente in Italia e si sistemarono nella casetta che avevano costruito con tanti sacrifici. Maria morì a Pren il 27 aprile 2017. 


10. Orsolina Zatta Cecchin

foto di Orsolina Zatta

Orsolina Zatta nacque il 6 luglio 1923 a Tomo di Feltre, figlia di Umberto e Ida Marin. Dopo la seconda guerra mondiale, sperando in un futuro migliore al di là dell’oceano, decise di emigrare in Brasile con il marito Guerrino Cecchin e la figlia Rita. Si stabilirono nel Rio Grande do Sul, dove furono agricoltori per i primi quattro anni; poi Guerrino ebbe problemi agli arti inferiori, così decisero di trasferirsi nel centro urbano di Caxias, dove Orsolina fu impiegata nella fabbrica di tavole di compensato Gethal per quindici anni. In Brasile la coppia ebbe altre due figlie, Rosalba e Rosanna. Orsolina e Guerrino seppero mantenere anche in Brasile la loro cultura italiana, specialmente per ciò che concerne la religiosità e la cucina. Ambedue speravano un giorno di poter rivedere l’Italia: “la è dentro qua tel còr” diceva Orsolina riferendosi alla sua amata Patria. Nelle ore libere amava camminare e coltivare il piccolo orto, accontentandosi delle piccole cose. Con allegria, generosità e umiltà lasciò un esempio di vita per tutti. Morì il 3 febbraio 2012. 

A cura di Luisa Carniel

Giovanni Giuseppe De Toffol

Anni 1920 - Giovanni Giuseppe De Toffol con il nipote Giuseppe Orzes
Anni 1920 – Giovanni Giuseppe De Toffol con il nipote Giuseppe Orzes

Non ho conosciuto mio nonno materno, un bellunese nel mondo nato più di 150 anni fa e precisamente il 9 luglio 1862, quando il Veneto era ancora sotto l’Austria. È nato nel comune di Belluno, sembra a Nogarè, paese che allora faceva parrocchia a sé stante, in seguito conglobata in quella di Cusighe. Poiché l’archivio storico della parrocchia di Cusighe è stato distrutto da un incendio, non si hanno notizie riguardanti la sua famiglia d’origine. Dal documento anagrafico risulta che il nome del nonno fosse Giovanni, ma mia madre ce lo ricordava col nome di Giuseppe, come del resto viene indicato nella lapide della sua tomba di famiglia ancora esistente nel cimitero di Cusighe. Egli aveva sposato una giovane del suo paese, Maria Da Ros, ed andarono ad abitare in una baracca di legno a Sargnano. Hanno avuto sette figli, di cui una, Amabile, è morta a quattro mesi ed è stata ricordata nel nome dalla sorellina nata dopo la sua morte.

Il nonno lavorava da scalpellino. Per un periodo ha prestato la sua opera a Sospirolo, dove si recava a piedi da Sargnano. Nei primi anni del 1900 è emigrato due volte in America, una volta in Argentina e una in Columbia. Mia madre ci raccontava che con una certa regolarità gli veniva inviato un giornale sul quale la nonna, punteggiando con uno spillo le lettere delle parole degli articoli, gli componeva il testo di una lettera. In questo modo, oltre alle notizie del giornale, egli aveva anche quelle della sua famiglia evitando per queste ultime la spesa del francobollo.

Anni ’30 - Sargnano, Belluno - da sinistra Teresa - sposata in D’Incà - e Angela De Toffol - rimasta nubile. Angela ha gestito fino alla sua morte l’osteria “Le bionde” di Sargnano
Anni ’30 – Sargnano, Belluno – da sinistra Teresa – sposata in D’Incà – e Angela De Toffol – rimasta nubile. Angela ha gestito fino alla sua morte l’osteria “Le bionde” di Sargnano

Intorno al 1910 i nonni si sono costruiti la casa a Sargnano usando sassi e sabbia trasportati dal Piave, soprattutto dalle figlie. Nel loro solaio per qualche tempo hanno ospitato gratuitamente gli alunni della scuola elementare. Di salda fede socialista, il nonno in quegli anni si è adoperato perché venisse costruita la scuola di Fiammoi e, affinché fosse raggiunto il numero di frequentanti necessario per l’istituzione delle classi 4^ e 5^, ha iscritto anche le sue figlie che già avevano superato l’età per quella frequenza. Nel 1916 è morta la nonna, privandolo di un grande sostegno. Verso gli anni ’30, coadiuvato dalle quattro figlie che gli erano rimaste, ha aperto l’osteria che proprio da loro ha preso il nome: “Le bionde”.

Il 2 febbraio 1933 il nonno è morto. Durante la sua agonia sulla strada che fiancheggia la sua casa è stata sparsa della paglia per evitare che egli venisse disturbato dal passaggio dei carri.

L’epigrafe che annunciò la morte del nonno di Teresa d’Incà
L’epigrafe che annunciò la morte del nonno di Teresa d’Incà

Il nonno è stata una persona stimata: lo dimostra anche l’epigrafe funeraria che una cinquantina di amici e conoscenti hanno fatto stampare in occasione della sua morte.

Mia madre ci descriveva entrambi i nonni come persone di una certa levatura sociale e culturale; per quanto riguarda il nonno lo testimoniano anche alcune frasi vergate da lui con calligrafia elegante sul retro di una fotografia che gli è stata scattata intorno agli anni ’20 mentre era insieme al suo primo nipote. Questo è il testo: domenica 19 … “Il giorno del sole”.

Occorre un certo stacco con la vita di tutti i giorni e bisogna ornare il cuore” – “La decrepitudine del corpo è saggia. 31 luglio 1888” (non so a che cosa si riferisce questa data).

Penso che non sia possibile che qualcuno ricordi il nonno avendolo conosciuto personalmente. Certamente invece qualcuno, soprattutto della zona dell’Oltrardo, ricorderà qualcuna delle sue figlie, in particolare Angela, la maggiore, che ha gestito, fino alla sua morte, l’osteria “Le Bionde”, tuttora esistente.

Ringrazio “Bellunesi nel Mondo” per l’opportunità che mi è stata data di rivisitare attraverso le scarne notizie di cui sono in possesso la figura di questo mio nonno che avrei avuto tanto piacere di conoscere di persona.

La nipote, Teresa Maria D’Incà

Non voglio perdermi nulla

Nella foto Gloria e i fratelli Elmer, Geno, Francesco e Silvio in una foto scattata in Italia prima del ritorno negli Stati Uniti
Nella foto Gloria e i fratelli Elmer, Geno, Francesco e Silvio in una foto scattata in Italia prima del ritorno negli Stati Uniti

La storia di emigrazione di Gloria Zucco ha origini lontane: parte dal nonno, Bortolo Zucco, il quale arrivò in America nel 1901 per lavorare nelle miniere di carbone della Pennsylvania; la scarsità di lavoro qua lo spinse a oltrepassare l’oceano perchè doveva mantenere sua moglie e i loro quattro figli, rimasti a Frassené di Fonzaso.

Nel 1913 Bortolo fu raggiunto da suo figlio Antonio “Tony” Zucco, che aveva allora 18 anni. Tony e suo padre lavorarono insieme come minatori nella cittadina di Lowber, PA. Nel frattempo Tony incontrò una ragazza italiana, Adelina Bracco, e si sposarono nel 1919; ebbero tre figli maschi e poi una figlia a cui diedero il nome di Gloria. Gloria aveva solo sei mesi quando nel 1928 Tony mandò la moglie Adelina e i suoi quattro figli in Italia a conoscere la suocera e le sorelle. Al suo arrivo qui Adelina scoprì di essere incinta e così il quinto figlio, Francesco, nacque a Frassenè nel 1929. Quella che doveva essere una breve visita risultò durare 6 lunghi anni, perchè Tony perse il suo lavoro di minatore a causa della Grande Depressione Americana del 1929. Finalmente nel 1934 Tony riuscì a mettere insieme i soldi sufficienti per il viaggio, così la moglie e i cinque figli poterono far ritorno negli Stati Uniti. Gloria non ha mai dimenticato la sua fanciullezza a Frassenè ed ha un vivido ricordo anche della sua partenza dall’Italia: tutto il paese li accompagnò allora a piedi alla stazione di Feltre, dove presero il treno per Genova: qui si imbarcarono sulla nave Conte di Savoia che raggiunse la costa statunitense. Nel 1945 Gloria sposa Lester Mulholland, figlio di una padovana emigrata negli Stati Uniti nel 1903. Lester ha servito la flotta statunitense nella Seconda Guerra Mondiale e poi ha lavorato per la Westinghouse Electric Corporation. Gloria e Lester hanno avuto quattro figli: Linda, Lee, Gary e Bruce. Dapprima Gloria rimase a casa ad accudire i suoi figli, poi per 18 anni lavorò come cuoca presso la locale scuola elementare. Ha cucinato anche per la sua chiesa, St. Januarius (San Gennaro), preparando specialità italiane per il clero e i membri della comunità parrocchiale. Da quel lontano 1934 non aveva più fatto ritorno in Italia; è arrivata nel settembre scorso, in compagnia dei suoi figli e dei suoi nipoti. Non vedeva l’ora di poter riscoprire i sapori dei cibi della nostra terra (in particolare la polenta) e di rivedere il paese dove ha trascorso i suoi primi anni di vita. A chi si preoccupava se camminare per il centro storico di Feltre o andare sul Campon d’Avena fosse faticoso per lei, coi suoi occhi attenti ed estasiati rispondeva: “I don’t want to miss a thing!”- non voglio perdermi niente!

Storia raccolta da Luisa Carniel,
con la collaborazione di Sara Marcon

Pompeo Sacchet, il sedicenne espatriato clandestino

Pompeo Sacchet

Era nato ad Argenta (Ferrara) nel 1891. Il padre, maresciallo dei carabinieri, comandante la stazione della succitata cittadina, giunto al 30° anno di servizio, decise di ritornare al paesello natio e cercare una nuova attività.

Così Pompeo Sacchet, a nove anni, giunse a Cesiomaggiore, paese che non aveva mai visto e dove rimase orfano della madre. Fu inviato a Feltre presso il patronato diocesano, dove terminò le scuole elementari. Dopo di che frequentò i tre anni delle “complementari” a Belluno.

Ritornato a Cesiomaggiore, si trovò a che fare con la matrigna (il padre si era risposato): furono i due anni più tristi della sua vita. Fuggì da casa e con l’aiuto di un carrettiere che lo aveva nascosto nel sacco del foraggio appeso sotto il carro, passò il confine svizzero.

Probabilmente era a conoscenza che parecchi Cesiolini alloggiavano ad Altdorf e lavoravano a Kuber, nei dintorni, in una cava di porfido che trasformavano in cubetti adibiti a vari usi. Fu lì che mio padre, all’età di sedici anni, conobbe i sacrifici dei lavoratori espatriati; ma per fortuna conobbe anche i suoi paesani che lo accolsero come un figlio.

Ed è lì che venne ritratto, con la mazza in mano, in questa spettacolare foto.

Giovanni Sacchet